venerdì, Ottobre 31, 2025

Traffico illegale di rifiuti: l’altra faccia del ciclo green italiano. Inchiesta del Giornale dell’Ambiente

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IL TRAFFICO ILLEGALE DI RIFIUTI IN ITALIA CRESCE E CAMBIA VOLTO. DIETRO LA FACCIATA DELLA LEGALITÀ, SI NASCONDE UN SISTEMA ORGANIZZATO CHE ARRICCHISCE IMPRESE E CRIMINALITÀ, MINACCIANDO AMBIENTE E SALUTE PUBBLICA

Traffico illegale di rifiuti: l’Italia sotto accusa

Ogni anno a persone comuni che compiono azioni straordinarie per proteggere il nostro pianeta, viene assegnato il Goldman Environmental Prize. Nel 2025 il riconoscimento, spesso chiamato “Premio Nobel per l’Ambiente”, è stato assegnato Semia Gharbi, 57 anni, scienziata, educatrice e attivista ambientale tunisina. La giuria del Premio Goldman ha evidenziato il suo recente lavoro di denuncia delle spedizioni illegali di rifiuti pericolosi dall’Italia alla Tunisia, sottolineando la corruzione nel suo Paese.

Nel 2020, un carico partito da Salerno è arrivato al porto di Sousse. In Tunisia. Conteneva 2mila tonnellate di rifiuti ed era il primo di una lunga serie. In pochi mesi, quasi 8mila tonnellate di rifiuti – spediti illegalmente dall’Italia – hanno raggiunto il Paese nordafricano violando norme internazionali e mettendo a rischio la salute pubblica del posto.

Grazie alla battaglia di Semia Gharbi, ora presidente dell’Association of environmental education for future generations, la vicenda si chiuse con la firma di un accordo tra Roma e Tunisi per la restituzione dei container rimasti al porto di Sousse. Il TAR e il Consiglio di Stato italiani hanno sostenuto l’azione della Regione Campania e del governo per imporre alle società coinvolte il rimpatrio e la corretta gestione dei carichi.

In seguito al caso, l’Unione Europea ha rafforzato le norme in materia di esportazione dei rifiuti.

 Il ruolo di PolieCo

In Italia un ruolo importante nella risoluzione della querelle lo ha avuto PolieCo, Consorzio che dal 1997 esercita un ruolo di interfaccia fra le imprese e le istituzioni ambientali italiane.

«Ci chiamavano in continuazione da Tunisi perché non riuscivano a parlare con nessuno per sapere come mai questi rifiuti erano là». A parlare è la direttrice generale del Consorzio PolieCo Claudia Salvestrini, intervistata per Il Giornale dell’Ambiente dalla collega Ilaria Cicconi.

L’azienda investigata ha esportato rifiuti indifferenziati e sanitari – che provenivano dalla “Terra dei Fuochi” – invece di plastica, secondo la documentazione allegata, ed era regolarmente autorizzata dalla Regione Campania. Una tipologia di scarti che, per le convenzioni di Basilea e di Bamako non può essere esportata tra paesi UE ed extra UE. Andavano conferiti a impianti autorizzati, invece sono finiti in un capannone vuoto.

«Se i rifiuti inviati dall’Italia sono stati destinati a un impianto inesistente partendo da un’autorizzazione – riferisce Salvestrini –, allora c’è da chiedersi quali sono gli strumenti che mancano per garantire procedure corrette da parte degli organi preposti a rilasciare le autorizzazioni». 

 Il Rapporto Ecomafia 2025 di Legambiente

Il traffico illegale di rifiuti continua a crescere in Italia, trasformandosi in una rete sempre più organizzata e difficile da controllare. Secondo il Rapporto Ecomafia 2025 di Legambiente, il ciclo dei rifiuti è aumentato del 19,9% rispetto all’anno precedente. Il fenomeno coinvolge flussi sia verso l’estero sia all’interno del Paese.

 Dalla Sardegna alla Turchia: le nuove rotte dei rifiuti

In Italia, nel 2019 emerse un caso emblematico: fanghi fognari provenienti da altre regioni furono spediti illegalmente in Sardegna e interrati a Magomadas.

Nel 2023, a Olbia, undici cittadini di origine bosniaca e quattro italiani furono indagati per traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi. Le autorità sequestrarono oltre 1.300 tonnellate di rifiuti metallici e apparecchiature elettroniche in un sito abusivo.

 Dalle esportazioni illegali alle finte legalità

In passato le esportazioni illegali erano più visibili. I camion venivano controllati ai porti e molte aziende tentavano di spedire rifiuti senza autorizzazione.

Oggi, invece, la pratica è più sofisticata: le spedizioni appaiono regolari, ma si trasformano in traffici illeciti lungo il percorso.

«Esportare i rifiuti non è illegale, è come li esporti che diventa illegale», risponde Salvestrini.

Autorizzazioni legali, destinazioni false

Oggi esportano imprese che magari dispongono anche di un’Autorizzazione Integrata Ambientale. L’AIA non si limita a una sola forma di inquinamento (aria, acqua o suolo), ma considera tutti gli impatti insieme, da qui il termine “integrata”.

Questa norma, recepita con il D.Lgs. 152/2006, autorizza la gestione di rifiuti speciali o pericolosi ma, come spiega la direttrice generale del Consorzio, «anche chi possiede questo tipo di autorizzazione, sotto una finta parvenza di legalità, esporta illegalmente rifiuti cambiando il codice o scegliendo destinazioni in impianti inesistenti o non idonei a trattare gli stessi».

Il rischio nascosto del codice CER

Nella gestione dei rifiuti, anche quando tutto sembra regolare, serve massima attenzione. Il codice CER, se attribuito in modo scorretto, può diventare il primo punto critico in fase di esportazione.

Definire un rifiuto con un codice 19 invece di un codice 15 – sottolinea Salvestrini – cambia completamente la gestione e le responsabilità. Con il codice 19 purtroppo si perde la tracciabilità del rifiuto ma il rischio maggiore arriva quando il rifiuto viene dichiarato sottoprodotto pur non avendo ancora ottenuto lo status di end of waste: in questo modo riesce a viaggiare più facilmente.

 I controlli che non si possono più fare

«Le condizioni normative cui ci ha messo il nostro legislatore sono fatte in modo tale che le stesse dogane non possono più fare controlli come facevano prima».

L’UE ha modificato il Documento di Esportazione Europeo 1013, che viene emesso dal sistema informatico dell’Agenzia delle Dogane al momento della registrazione della dichiarazione di esportazione. Ora si richiede che il Paese di origine verifichi l’esistenza e l’equivalenza tecnica dell’impianto di destinazione. Ma le dogane non hanno più la possibilità di effettuare controlli approfonditi.

Pertanto, oggi, non c’è neanche più il problema di affondare le navi come avvenuto anni fa. Vedi la motonave Rigel, affondata nel 1987 al largo di Capo Spartivento, (Reggio Calabria). E la Jolly Rosso, che il 14 dicembre 1990 si è si è spiaggiata ad Amantea (Calabria). Secondo fonti investigative e parlamentari, l’affondamento servì per liberarsi di rifiuti pericolosi o radioattivi.

 Paesi di transito e triangolazioni

Oggi molti rifiuti prendono la strada della Grecia, ma spesso si tratta solo di un Paese di transito, come qualche altro. Il sistema dei controlli è limitato: le verifiche devono avvenire entro 48 ore, pena sanzioni per i doganieri. Non possono aprire tutti i container, vincolati da scadenze rigide.

 Il ruolo dei consorzi e la responsabilità “in vigilando”

I consorzi rivestono un ruolo cruciale. Hanno una responsabilità “in vigilando” sulla loro filiera. Cioè sono tenuti al monitoraggio della tracciabilità dei rifiuti di propria competenza.

La presenza di “aziende dormienti” o intermediari “schermo”, i cosiddetti problem solvers, hanno contribuito a rendere difficoltosa la tracciabilità reale dei rifiuti.

«Polieco ha effettuato vari viaggi in giro per il mondo sulla rotta dei rifiuti che venivano inviati nel sud est asiatico – evidenzia la direttrice -. Prima era la Cina, dove abbiamo verificato come gli impianti indicati per il corretto trattamento dei rifiuti in realtà fossero inesistenti, poi è stata la volta della Malesia, dell’est Europa. Oggi si esporta tanto in Turchia. Quanto emerso dalle nostre ricognizioni è sempre stato segnalato alle forze di polizia e alla magistratura, in piena coerenza con la nostra mission». 

 Rifiuti e criminalità organizzata

«Oggi, gli imprenditori dei rifiuti si sono organizzati come la mafia». Il sistema coinvolge appaltatori senza scrupoli mossi da profitti altissimi e rischi minimi. Per anni la Cina è stata la meta principale dei container carichi di rifiuti.

Ma, come spiega l’intervistata, nel Paese asiatico hanno operato come organizzazioni di stampo mafioso che ricevevano ingenti quantità di rifiuti, sulla carta destinati agli impianti ma nei fatti inseriti in circuiti lavorativi nei villaggi cinesi, in assenza di ogni regola a tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza.

«Un sistema strutturato che per tanti anni ha alimentato un business milionario».

 Un business da miliardi con pochi controlli

Il traffico illegale di rifiuti è un business spaventoso. Secondo un rapporto UNEP/Interpol, riferito al traffico e smaltimento illegale di rifiuti elettronici (e-waste), il “fatturato” annuo si aggira tra i 12,5 e 18,8 miliardi di dollari. Per Legambiente, in Italia, l’attività criminale, tenuto conto dei costi evitati, dell’uso di discariche abusive e comprese varie attività criminali ambientali, la cifra ammonta a 9,3 miliardi di euro nel 2024.  In questo affare miliardario, la ‘ndrangheta si è radicata con tutto il suo potere economico sommerso. 

Tutto parte da contributi pubblici distribuiti senza controlli adeguati. «Io da una vita – afferma Salvestrini – dico che i contributi dati a pioggia, con pochi controlli drogano il mercato dei rifiuti perché, se io per raccogliere i rifiuti pago un’azienda, questa azienda tu la devi controllare e controllare non significa andare verso l’azienda a verificare se effettivamente raccoglie quei rifiuti e li seleziona ma dove essa li manda dopo! Come vengono trattati dopo? Come finiscono e dove finiscono dopo?». 

 Il nodo italiano: mancano gli impianti finali

Tra Napoli e Caserta, la “Terra dei Fuochi” è il simbolo dello smaltimento illegale dei rifiuti. Qui, per anni, roghi – da cui l’appellativo – e interramenti tossici hanno inquinato suolo e aria, sotto il controllo della criminalità organizzata. Oggi l’area è al centro di bonifiche e interventi ambientali.

«La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che il nostro Paese ha violato il diritto alla vita degli abitanti della “Terra dei fuochi” per non essersi occupato del problema in modo tempestivo ed efficace. La strada è ancora molto lunga per dare delle risposte – sostiene la direttrice generale del PolieCo – con i 15 milioni di euro stanziati per le bonifiche si riuscirà, al momento, a fare ben poco, perché per un intervento complessivo saranno necessari in dieci anni almeno 2miliardi di euro».

In Italia il traffico illecito nasce soprattutto nel Nord-Est, ma oggi coinvolge tutto il Paese. La causa principale è la mancanza di impianti di trattamento e riciclo. Il PNRR, che doveva finanziare impianti terminali per l’economia circolare, è stato utilizzato per piattaforme di raccolta e stoccaggio.

«Ma come si fa a fare l’economia circolare se non abbiamo gli impianti finali? In questo modo non si riesce a chiudere la filiera e intanto si favorisce il sistema dei viaggi all’interno dell’Italia, da una regione all’altra, e delle esportazioni. Più aumentano le movimentazioni e più si rischia di agevolare spazi per i sistemi criminali. È necessario che si agisca soprattutto sulla prevenzione, favorendo anche una raccolta di qualità e non solo di quantità per evitare la produzione di scarti che non sono di facile gestione. L’innovazione, soprattutto nella progettazione di prodotti più facilmente riciclabili, può di certo aiutarci, contribuendo a quella transizione green che, sebbene ci appaia così lontana, resta una sfida da cogliere per ambiente, salute ed economia», conclude Claudia Salvestrini.

L’intervista alla d.sa Claudia Salvestrini è stata raccolta dalla collega Ilaria Cicconi

Fonti:

Parlamento Europeo

Convenzione di Basilea

L’altra Tunisia

Unione Europea (EUR-Lex)

Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica

Rifiutoo

Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea

Camera dei Deputati

RaiNews.it

UNEP (UN Environment Programme)

Qui Finanza

La Nuova Sardegna

Il Fatto Quotidiano

ARPAC

Legambiente

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