È STATO PRESENTATO IL PRIMO MAGNETE SUPERCONDUTTIVO PER IL PROGETTO DTT, DIVERTOR TOKAMAK TEST. UNA DELLE PIÙ AMBIZIOSE INIZIATIVE ITALIANE NEL CAMPO DELLA FUSIONE NUCLEARE
Alto oltre 6 metri e pesante 16 tonnellate, questo magnete superconduttivo rappresenta il cuore tecnologico del reattore DTT che sarà installato al Centro Ricerche ENEA di Frascati. La sua funzione sarà quella di contenere 33 metri cubi di plasma a oltre 100milioni di gradi. Una condizione estrema necessaria per replicare sulla Terra il processo fisico che alimenta il Sole e le stelle: la fusione nucleare.
Il progetto DTT si inserisce in una visione di lungo periodo. L’obiettivo di accelerare la transizione energetica grazie a una fonte di energia virtualmente inesauribile. Nato dalla collaborazione tra ENEA, Eni, università e centri di ricerca. L’investimento è stato di oltre 600milioni di euro. Il DTT è anche un elemento strategico per collegare il grande progetto internazionale ITER e il futuro reattore dimostrativo europeo DEMO, previsto per il post-2050.
Il magnete è stato realizzato da ASG Superconductors, azienda di La Spezia con una solida esperienza nei grandi progetti internazionali sulla fusione, come ITER, JT-60SA e JET.
Cos’è la fusione nucleare?
La fusione nucleare è il processo attraverso cui due nuclei leggeri, come quelli dell’idrogeno, si uniscono generando energia e producendo elio.
Esistono due principali modalità per ottenere la fusione. Quella magnetica, usata nel progetto DTT, in cui potenti magneti superconduttori confinano e riscaldano il plasma all’interno di una camera a forma di ciambella (tokamak). Poi c’è quella inerziale, che utilizza laser potentissimi per comprimere piccole sfere di combustibile.
Un polo scientifico
Il DTT non è solo un impianto sperimentale. Sarà anche un polo scientifico, aperto alla comunità internazionale e destinato a generare un impatto economico stimato in circa 2miliardi di euro tra nuove assunzioni e vantaggi energetici.


Tra innovazione e interrogativi
L’ambizione di riprodurre il “motore delle stelle” in laboratorio resta una sfida affascinante e cruciale per il futuro del pianeta. Tuttavia l’utilizzo del nucleare, anche a scopi civili, solleva naturalmente degli interrogativi legati alla sicurezza e all’impiego per il futuro.
Un’iniziativa che ha avuto l’obiettivo di avvicinare la scienza ai cittadini
L’ENEA di Frascati, ha organizzato l’evento di presentazione. L’ente di ricerca ha cercato di fare chiarezza sul funzionamento, le potenzialità e l’impatto del reattore sperimentale a fusione che sta prendendo forma nei propri laboratori.
“È fondamentale spiegare cos’è il DTT, cosa significherà per il territorio”, ha sottolineato Matteo Martini, presidente di Frascati Scienza in un’intervista su Teleambiente.
Oltre all’aspetto scientifico e ambientale, il progetto ha anche una rilevante ricaduta economica e occupazionale: durante la fase di costruzione del DTT, si prevede l’impiego di circa 250 persone, mentre nella fase operativa saranno numerosi i giovani ricercatori coinvolti.
Il dilemma delle scorie della fusione
“La fusione, pur essendo un processo nucleare, è molto diversa dalla fissione. La reazione primaria non produce scorie pericolose, bensì elio, un gas inerte – ha spiegato Francesco Romanelli docente di fisica nucleare nella stessa intervista su Teleambiente – e possiede caratteristiche intrinseche di sicurezza. La fusione potrà affiancarsi alle rinnovabili, fornendo energia stabile anche quando queste non sono disponibili”.
Tuttavia se è vero che nel caso della fusione non ci sono scorie primarie, ma solo elio, rimane la questione materiali attivati e il problema dello smaltimento.
I neutroni ad alta energia prodotti dalla fusione interagiscono con i materiali strutturali del reattore. (Come ad esempio le pareti del contenitore e i componenti interni).
Tutte le strutture solide interne al reattore, e in particolare quelle vicine al plasma, diventano radioattive a causa del bombardamento neutronico.
Anche se non producono “scorie nucleari” nel senso classico (come i prodotti della fissione), queste strutture dovranno ad un certo punto essere smantellate, gestite e stoccate come rifiuti radioattivi. Diventano quindi scorie radioattive, ma la quantità e la pericolosità di queste sarebbero molto inferiori rispetto a quelle prodotte dai reattori a fissione.
Grazie all’uso di materiali a bassa attivazione progettati appositamente, l’attivazione neutronica può essere limitata, permettendo che la radioattività delle scorie diminuisca a livelli sicuri in un periodo dichiarato di circa 100 anni o meno (contro migliaia di anni per le scorie di fissione).
I risultati dei calcoli di Monte Carlo
I calcoli di Monte Carlo (*) sono un metodo matematico e statistico che utilizza la simulazione casuale per risolvere problemi complessi. Sono usati in molti campi: fisica, ingegneria, finanza, intelligenza artificiale, biologia, e in particolare nella fisica nucleare, per analizzare processi difficili da prevedere con formule dirette.
Immaginiamo di voler prevedere un evento molto complesso (ad esempio, come si comportano miliardi di neutroni dentro un reattore). Invece di calcolare ogni possibile traiettoria con formule complicatissime, vengono simulate tante “prove” a caso (come tirare dadi moltissime volte) e poi viene effettuata la media dei risultati.
I calcoli Monte Carlo sono stati usati usate per prevedere il comportamento dei neutroni all’interno del reattore e le interazioni con i materiali. In alcuni casi, secondo questi calcoli, specialmente con materiali non ottimizzati o con neutroni ad altissima energia, si potrebbero generare isotopi a vita molto lunga, con tempi di decadimento che si estenderebbero a migliaia di anni.
Ciò si verificherebbe però senza un’attenta scelta dei materiali, ma la ricerca punta a evitarlo. Ne ha parlato Simone Baroni, professore di fisica all’Universitat Autònoma de Barcelona e professore di matematica all’Universitat Pompeu Fabra della capitale della regione spagnola della Catalogna.
Studi e sviluppo di materiali innovativi mirano a ridurre questa radioattività residua a tempi di decadimento di circa 150 anni, molto inferiori rispetto alle scorie da fissione.
Aspetti pratici
Con un solo chilogrammo di combustibile, la fusione produce una quantità di energia equivalente a migliaia di tonnellate di gas naturale, senza emissioni di CO2. L’Italia, con il progetto DTT (Divertor Tokamak Test), partecipa a questa sfida globale per rendere la fusione una realtà entro il 2050, offrendo una fonte energetica praticamente inesauribile.

(*) Perché si chiama “metodo Monte Carlo”?
Il metodo Monte Carlo, oggi usato per simulare sistemi complessi basati sulla probabilità, deve il suo nome a un luogo famoso per tutt’altro: il casinò di Monte Carlo, nel Principato di Monaco.
Il collegamento non è casuale: proprio come al casinò si gioca puntando sulla sorte, anche questo metodo si basa sull’uso di numeri casuali per esplorare una vasta gamma di possibili risultati. L’idea nacque negli anni Quaranta, durante il Progetto Manhattan, quando lo scienziato polacco Stanisław Ulam, insieme con John von Neumann, cercava un modo per affrontare problemi fisici estremamente complessi.
Fu Ulam a proporre l’approccio probabilistico, ispirato anche dalle abitudini del proprio zio, appassionato di gioco d’azzardo. Il nome “Monte Carlo” venne scelto proprio in omaggio al celebre casinò, simbolo dell’imprevedibilità.
Il metodo fu descritto per la prima volta nel 1949, in un articolo pubblicato da Ulam e Nicholas Metropolis sulla Journal of the American Statistical Association. In quelle pagine, il legame con il mondo del gioco veniva dichiarato apertamente: per prevedere il comportamento della materia, a volte bisogna scommettere sui numeri.
Fonte: Metropolis, N., & Ulam, S. (1949). The Monte Carlo Method. Journal of the American Statistical Association, 44(247), 335–341.





