martedì, Ottobre 7, 2025

Spreco alimentare: dove siamo davvero a dieci anni dall’Agenda 2030

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NEL DECENNALE DELL’AGENDA ONU 2030 TORNA LA DOMANDA CHIAVE: STIAMO DAVVERO DIMEZZANDO LO SPRECO ALIMENTARE ENTRO LA SCADENZA? I DATI DICONO CHE IL MONDO SPERPERA ANCORA OLTRE 1,5 MILIARDI DI TONNELLATE L’ANNO. L’ITALIA MIGLIORA MA NON BASTA: LO SPRECO SETTIMANALE MEDIO RESTA SOPRA L’OBIETTIVO 2030. ECCO COSA CAMBIA, COSA FUNZIONA E COSA MANCA PER CENTRARE IL TRAGUARDO

Nel settembre 2015, con l’approvazione dell’Agenda 2030 dell’ONU, il mondo intero si è dato obiettivi ambiziosi. Tra questi, uno particolarmente concreto: dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030. Dieci anni dopo, in occasione della 6ª Giornata Internazionale della Consapevolezza sulle Perdite e gli Sprechi Alimentari, il 29 settembre 2025, l’Italia ha provato a fare un bilancio.

I dati, come spesso accade in questi casi, raccontano una storia fatta di progressi e resistenze. Secondo l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Waste Watcher International – promosso dalla campagna Spreco Zero e dall’Università di Bologna – ogni cittadino italiano spreca ancora 555,8 grammi di cibo alla settimana. Una quantità che, pur in calo rispetto ai 683 grammi dello scorso anno, resta lontana dall’obiettivo dei 369,7 grammi settimanali previsto per il 2030.

Spreco alimentare: come varia da Nord a Sud

Osservando la geografia dello spreco, emergono differenze significative tra le varie aree del Paese. Il Centro Italia si conferma la zona più virtuosa, con 490,6 grammi di spreco settimanale pro capite. Al Nord si sale a 515,2 grammi, mentre il Sud continua a rappresentare la maglia nera con una media di 628,6 grammi.

Un dato che testimonia quanto ancora servano campagne mirate di sensibilizzazione, soprattutto nelle aree dove il cambiamento culturale fatica ad affermarsi.

Ma non è solo una questione di latitudine. Anche la composizione delle famiglie gioca un ruolo. Le famiglie con figli si dimostrano più attente: sprecano il 17% in meno rispetto a quelle senza figli. Inoltre, i grandi comuni risultano più virtuosi dei centri medi e piccoli, con una riduzione dello spreco del 9%.

Spreco alimentare: cosa finisce ancora nella spazzatura

La classifica degli alimenti più sprecati non riserva grandi sorprese. In cima c’è la frutta fresca (22,9 g a settimana per persona), seguita dalla verdura (21,5 g), dal pane (19,5 g), dall’insalata (18,4 g) e da cipolle e tuberi (16,9 g). Questi dati suggeriscono che gran parte dello spreco riguarda prodotti deperibili e facilmente deteriorabili, spesso acquistati in eccesso o conservati male.

Secondo Andrea Segrè, fondatore di Spreco Zero e direttore scientifico dell’osservatorio, l’inflazione alimentare – che quest’estate ha registrato un aumento del 3,7% – potrebbe aver incentivato comportamenti più accorti. In altre parole, quando il cibo costa di più, si tende a gestirlo meglio. Ma non basta.

Spreco alimentare: un problema etico, ambientale ed economico

Il cibo che finisce nella spazzatura non è solo un’occasione mancata per nutrire chi ha fame. È anche un colossale spreco di risorse naturali. Basti pensare che ogni anno, a livello globale, vengono buttate via 1,05 miliardi di tonnellate di cibo: un terzo della produzione alimentare mondiale.

Questo paradosso si consuma in un pianeta dove 673 milioni di persone soffrono ancora la fame e oltre 2,3 miliardi vivono in condizioni di insicurezza alimentare. In Italia, sono circa 4,9 milioni le persone che non hanno accesso regolare a un’alimentazione adeguata. In Europa, la cifra sale a 33 milioni.

Ma c’è di più. Lo spreco alimentare pesa anche sul clima: è responsabile di quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra. Per produrre cibo che non verrà mai consumato, vengono utilizzati il 28% dei terreni agricoli del pianeta – un’area pari a quattro volte l’Unione Europea – e un quarto dell’acqua dolce impiegata in agricoltura.

Sprevo alimentare: una nuova consapevolezza, ma anche nuove sfide

Secondo Luca Falasconi, coordinatore del Rapporto Waste Watcher “Il caso Italia”, i dati del 2025 indicano l’inizio di una trasformazione culturale. Il 95% degli italiani dichiara attenzione alla prevenzione dello spreco: il 59% si dice “attentissimo”, il 36% “per lo più attento”. Solo il 4% confessa di non avere a cuore la cucina e la gestione del cibo, per mancanza di tempo o interesse.

Questa sensibilità si traduce in comportamenti concreti: 6 italiani su 10 si assicurano che gli alimenti più deperibili vengano consumati per primi, e il 58% congela ciò che non riesce a mangiare subito. Inoltre, il 52% acquista sempre frutta e verdura di stagione e più di un terzo (37%) valuta le quantità prima di cucinare.

Eppure, le difficoltà restano. Un italiano su 10 pensa che le proprie azioni non facciano la differenza. Il 29% dice che si dimentica il cibo in frigo, il 31% che va a male o scade prima di essere consumato. E ancora: il 29% dà la colpa alle offerte troppo allettanti, mentre il 18% dichiara che prevenire lo spreco richiede troppo tempo.

L’Europa abbassa l’asticella

Nel frattempo, l’Europa ha deciso di rivedere i propri obiettivi. La nuova Direttiva approvata dal Parlamento Europeo il 9 settembre 2025 ha abbassato le ambizioni previste dall’Agenda ONU. Invece di puntare a una riduzione del 50% in tutti i segmenti della filiera, Bruxelles ha fissato l’obiettivo al −10% per lo spreco nella trasformazione e manifattura e al −30% per i consumi finali (famiglie, ristorazione e retail).

Inoltre, la nuova normativa elimina il riferimento alle “perdite alimentari in campo”, ovvero quelle che avvengono nelle fasi di produzione e raccolta. Una scelta che ha suscitato perplessità e che rischia di depotenziare l’impatto dell’azione europea.

L’Italia resta sopra la media europea

Guardando ai numeri, l’Italia risulta ancora sopra la media europea per spreco settimanale pro capite. Con i suoi 555,8 grammi, supera la Germania (512,9 g), la Francia (459,9 g), la Spagna (446,5 g) e i Paesi Bassi (469,5 g). Dunque, pur avendo migliorato le proprie performance, il nostro Paese ha ancora molta strada da fare.

Spreco alimentare: la Gen Z traina il cambiamento

Tra le note più incoraggianti del 2025 c’è il ruolo crescente della Generazione Z. I circa 9 milioni di italiani tra i 18 e i 30 anni si dimostrano più sensibili, più attenti e più creativi nella lotta allo spreco. Utilizzano più frequentemente ricette per riutilizzare gli avanzi (+10%), congelano gli alimenti (+2%), condividono il cibo con vicini o parenti (+5%).

Inoltre, sono i più propensi a usare strumenti digitali come l’app Sprecometro, che consente di monitorare e ridurre gli sprechi domestici. Un esempio? Finora la app ha raccolto dati su oltre 40 tonnellate di cibo sprecato, pari a 80mila pasti completi. Ogni tonnellata ha generato 260mila kg di CO₂, 15mila metri cubi di acqua consumata inutilmente e 270mila metri quadrati di suolo sottratti.

Per questo Andrea Segrè sottolinea che la Gen Z può essere il motore del cambiamento: non solo per le sue abitudini antispreco ma per la capacità di diffondere comportamenti virtuosi anche tra le generazioni meno digitali.

Sprecare meno in tempo di guerra e crisi climatica

Un altro dato significativo riguarda l’impatto del contesto internazionale. Le guerre in Ucraina e Medio Oriente, l’instabilità geopolitica e la crisi climatica influenzano le scelte alimentari degli italiani. Il 37% dichiara di puntare di più sui prodotti made in Italy, e il 22% privilegia quelli locali o a chilometro zero. Solo 1 su 10 dice di cercare i prodotti più economici, e il 5% ha ridotto la spesa alimentare per ragioni economiche.

Non mancano tuttavia le resistenze: il 20% degli italiani afferma di non aver cambiato le proprie abitudini alimentari nonostante le crisi. Ma il dato più allarmante riguarda chi nega il legame tra cambiamenti climatici e spreco alimentare: il 17% sostiene che non esista alcuna correlazione tra temperature anomale e deterioramento del cibo.

Nel mondo vengono sprecate ogni anno 1,05 miliardi di tonnellate di cibo, 1/3 della produzione alimentare globale. Di questo 33%, il 19% del cibo viene sprecato a livello di vendita al dettaglio, ristorazione e famiglie, mentre il 13–14% nella fase di produzione e raccolta  

Eppure, proprio le temperature elevate dell’estate 2025 hanno spinto il 45% degli italiani a consumare prima gli alimenti più deperibili, e il 21% ad acquistare prodotti non deperibili o a lunga conservazione. Segnali che indicano una crescente consapevolezza, anche se non ancora universale.

Food is Never Waste: il cibo come diritto, non come rifiuto

In occasione della Giornata Internazionale del 29 settembre 2025, è stato presentato anche il progetto “Food is Never Waste”, promosso dall’Università di Bologna e da CIHEAM Bari con il sostegno del ministero degli Affari Esteri. Il programma, attivo in Paesi come Tunisia, Egitto e Albania, punta a ridurre lo spreco alimentare rafforzando le competenze locali e migliorando le infrastrutture.

Un esempio concreto arriva dalle mense universitarie tunisine, dove il pane rappresenta il 29% dello spreco totale. Il progetto prevede soluzioni semplici ma efficaci: porzioni modulabili, campagne informative e sistemi di misurazione dello spreco. Perché il diritto al cibo passa anche dalla lotta allo spreco.

G20 Agricoltura e lo spreco alimentare

Nel corso del G20 Agricoltura attraverso il SOFI è stato messo in rilievo la strategicità di un lavoro intorno allo spreco ma anche alle perdite alimentari, per intervenire sul tema collegato della prevenzione del rincaro dei prezzi. Un adeguato stoccaggio delle produzioni significa un approvvigionamento costante e stabile, quindi un aiuto alla stabilità dei prezzi e in definitiva alla sicurezza alimentare delle comunità, soprattutto nei Paesi più fragili.

«In questa direzione – è scritto nella nota – deve andare la trasformazione sostenibile ed equa dei mercati alimentari, perché impatta direttamente sulla sicurezza alimentare. Perdite e sprechi alimentari sono due facce della stessa medaglia». 

La dichiarazione di Maria Chiara Gadda

Alla presentazione è intervenuta anche Maria Chiara Gadda, promotrice della Legge 166/2016 che disciplina la donazione e distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici per la solidarietà sociale: «sono passati quasi 10 anni dall’approvazione della legge 166 antispreco – ha osservato Gadda – Tanti i risultati positivi Le cose sono migliorate sul piano della maggiore consapevolezza e del migliore rapporto fra le imprese della filiera produttiva che donano e il mondo del volontariato e del terzo settore. Migliaia le tonnellate di cibo recuperate e sono aumentati i luoghi di raccolta delle eccedenze: non solo da parte della grande distribuzione, ma anche delle imprese di produzione, dei mercati rionali, dei grandi eventi E si recuperano in Italia anche i prodotti freschi e freschissimi. Ora si può senz’altro migliorare sul piano della logistica e sostenere questo sforzo anche attraverso nuove misure normative».

Numero verde ONA

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