L’AMIANTO CONTINUA A MIETERE VITTIME NEL SILENZIO. QUESTA È LA STORIA DI UN UOMO CHE HA LAVORATO UNA VITA TRA LE POLVERI KILLER, ED È MORTO POCO PRIMA DELLA PENSIONE. UNA SENTENZA TARDIVA RIACCENDE LA SPERANZA PER CHI ANCORA ATTENDE GIUSTIZIA
Non possiamo più tollerare che si continui a morire a causa dell’amianto
Un altro lavoratore è stato strappato alla vita pochi giorni prima della pensione, senza vedere riconosciuti i suoi diritti previdenziali. La sua storia, crudele e purtroppo emblematica, richiama con forza l’urgenza di giustizia per migliaia di vittime silenziose. L’amianto continua a uccidere. E troppo spesso lo fa nel silenzio e nell’indifferenza.
È morto a 64 anni, pochi giorni prima di lasciare il lavoro per la pensione, MC, ex operaio dello stabilimento Colgate Palmolive di Anzio. Era affetto da enfisema polmonare e broncopatia, patologie legate a un’esposizione prolungata all’amianto sul luogo di lavoro. A stroncarlo, un arresto cardiocircolatorio.
La Corte d’Appello di Roma ha accolto il suo ricorso, presentato prima del decesso. Lo ha reso noto l’Osservatorio Nazionale Amianto, che segue da anni i casi di vittime esposte a fibre killer.
Una sentenza di grande rilievo giuridico ma la Giustizia è ancora lenta
«Una sentenza di grande rilievo giuridico, purtroppo offuscata dalla scomparsa del lavoratore che ne avrebbe dovuto beneficiare – commenta l’avv. Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto -. Il lungo iter processuale e la resistenza di Inps e Inail hanno ritardato un riconoscimento che arriva solo dopo la sua morte. MC è deceduto, con ogni probabilità, a causa delle gravi conseguenze dell’esposizione all’amianto».
MC, residente a Nettuno, aveva iniziato a lavorare nello stabilimento nel 1988. Ha ricoperto vari ruoli: operaio addetto alla manutenzione, carrellista e, dal 2010, manutentore in tutti i reparti produttivi.
Il Tribunale di Velletri, in primo grado, aveva negato il riconoscimento dei benefici previdenziali, nonostante la perizia medico-legale avesse confermato il legame tra la malattia e l’esposizione professionale.
Ora, la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza. Ha riconosciuto 14 anni di esposizione certificata, dal febbraio 1988 al dicembre 2002.
L’INPS è stata condannata ad accreditare le maggiorazioni contributive corrispondenti. Una decisione che, se fosse arrivata prima, avrebbe consentito al lavoratore il pensionamento anticipato con una prestazione economica più favorevole.
Un passo avanti importante
La sentenza, sebbene non possa restituire la vita a MC, rappresenta un passo avanti importante. Offre una possibilità concreta di tutela per gli altri lavoratori ancora in vita.
«Chiediamo, ancora una volta, la bonifica completa dei siti contaminati – continua il legale della famiglia del lavoratore -. Non possiamo più tollerare che si continui a morire o ad ammalarsi per colpa dell’inerzia. Ogni fibra inalata è un rischio per la vita».
Molti di loro, pur sopravvivendo, convivono ogni giorno con patologie gravi causate dall’amianto, come asbestosi e tumori pleurici.
Questo pronunciamento apre una strada. È un precedente che potrà aiutare chi lotta per il riconoscimento dei propri diritti dopo anni di esposizione e malattia.
Ma resta il dramma umano e sociale: morire a causa del lavoro, nell’attesa di una giustizia che arriva troppo tardi.
«Ora l’azione legale proseguirà in favore della vedova, che potrà ottenere un incremento della pensione, da circa 500 a 800 euro al mese, oltre alla rendita di reversibilità Inail e al risarcimento per il danno subito», conclude Bonanni.