TRA IL 15 E IL 18 MAGGIO DEL 2023, LA ROMAGNA È STATA TRAVOLTA DA UN’ALLUVIONE SENZA PRECEDENTI, CON CONSEGUENZE DEVASTANTI. A DUE ANNI DI DISTANZA LA DOMANDA PIÙ URGENTE È: COSA STIAMO FACENDO PER EVITARE CHE ACCADA DI NUOVO?
Cambiamento climatico: non un rischio futuro ma una realtà presente
Tra il 15 e il 18 maggio del 2023, la Romagna è stata travolta dall’alluvione con decine di vite perse, argini spezzati, migliaia di frane e un conto salatissimo, quantificato in 8,5 miliardi di euro di danni.
Si è trattato dell’evento alluvionale più grave in Italia dopo quello del Polesine nel 1951. A due anni di distanza, il ricordo è ancora vivido ma la domanda più urgente è un’altra: cosa stiamo facendo per evitare che accada di nuovo?
Il clima sta cambiando, e lo fa a un ritmo che le nostre infrastrutture non riescono più a sostenere. Secondo i dati raccolti dal CentRo studi sugli ImpatTI dei CambiAmenti cLimatici (CRITICAL), dell’Università di Padova, nell’ambito del progetto RETURN finanziato dal PNRR le piogge estreme sono già aumentate del 20% rispetto alla metà del Novecento.
E in futuro andrà peggio. Entro la fine di questo secolo, nelle aree colpite dall’alluvione del 2023, le precipitazioni più intense aumenteranno fino al 50%. Significa che eventi come quello romagnolo diventeranno più frequenti e diffusi e non solo in quella regione.
Un territorio fragile, una risposta ancora troppo lenta
Non si tratta solo di sfortuna o imprevedibilità: a essere inadeguato è il modo in cui costruiamo e progettiamo le nostre città e infrastrutture. Strade, ponti, ferrovie, edifici residenziali e industriali vengono spesso realizzati ignorando le mappe di rischio idraulico e le proiezioni sul cambiamento climatico. Eppure, oggi abbiamo strumenti precisi per sapere dove e quanto sarà più intenso l’impatto climatico.
Principio di invarianza climatica nella pianificazione
La proposta avanzata dai ricercatori del centro CRITICAL è semplice quanto rivoluzionaria: ogni intervento sul territorio – sia esso urbanistico, infrastrutturale o agricolo – deve essere progettato tenendo conto non del passato, ma del futuro.
Serve adottare un principio di invarianza climatica, ossia garantire che i rischi legati ad alluvioni e fenomeni estremi, da qui al 2100, non superino quelli affrontati dalle stesse aree all’inizio del secolo scorso. Solo così potremo rendere davvero resiliente il nostro territorio.

Ripensare la pianificazione: dalle istituzioni al cittadino
Il cambiamento deve partire dall’alto, ma coinvolgere anche le scelte individuali. Chi oggi costruisce una casa, acquista un appartamento o avvia un’attività commerciale, raramente si informa sul rischio idraulico della zona in cui si trova.
Eppure dovrebbe essere un criterio fondamentale, tanto quanto la vicinanza ai servizi o il prezzo al metro quadro. «Dobbiamo cambiare il nostro modo di pianificare – spiega Marco Marani, direttore di CRITICAL – sia a livello pubblico che privato. Non possiamo più permetterci l’improvvisazione».
Il cambiamento climatico può essere subìto oppure gestito. Abbiamo le conoscenze, i dati e le tecnologie per farlo. Ogni anno senza un’attenta pianificazione equivale a più vite a rischio, più danni, più costi da sostenere.





