martedì, Febbraio 11, 2025

Ponte sullo Stretto di Messina: un “progresso” che suscita dubbi e polemiche

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IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA, SIMBOLO DI “PROGRESSO” PER ALCUNI E MINACCIA AMBIENTALE PER ALTRI, CONTINUA A DIVIDERE L’OPINIONE PUBBLICA. LEGAMBIENTE, LIPU E WWF ITALIA HANNO PRESENTATO UN RICORSO AL TAR DEL LAZIO CONTRO IL PARERE POSITIVO DELLA COMMISSIONE VIA, SOLLEVANDO DUBBI SULL’IMPATTO AMBIENTALE. A DICEMBRE LA PROCURA DI PALERMO HA CONDANNATO CIUCCI, AD DEL PONTE, A QUATTRO ANNI DI RECLUSIONE

Il “Ponte della discordia”: il contesto storico di un progetto annoso tra visioni e ostacoli

L’idea di un ponte che colleghi la Sicilia alla Calabria ha radici profonde che risalgono all’antichità. Già in epoca romana si ipotizzava la costruzione di una struttura che potesse unire le due sponde dello Stretto di Messina, anche se la tecnologia dell’epoca non permetteva di tradurre in realtà questa visione. Plinio il Vecchio e altri storici menzionavano la possibilità di creare un collegamento fisico, sebbene sotto forma di ponti di barche o catene di navi.

Nei secoli successivi, l’idea riaffiorò ciclicamente, alimentata dalla necessità di superare l’ostacolo naturale rappresentato da uno dei tratti di mare più turbolenti e pericolosi del Mediterraneo, noto per le correnti impetuose e i leggendari Scilla e Cariddi descritti nell’Odissea.

Il XX Secolo: dall’utopia agli studi di fattibilità

Fu solo nel XX secolo che il progetto iniziò a prendere una forma più concreta. Durante il fascismo, Benito Mussolini avanzò l’idea di costruire una struttura che celebrasse la grandezza dell’Italia, ma la Seconda guerra mondiale interruppe ogni tentativo.

Negli anni ‘50 e ‘60, con la ripresa economica e la nascita dell’Italia repubblicana, si avviarono i primi studi di fattibilità, sebbene la complessità tecnica e i costi elevati ne rallentarono l’avanzamento.

Il vero dibattito politico e ingegneristico si accese negli anni ‘70 e ‘80, quando furono elaborati i primi progetti preliminari. Nel 1981, nacque la Stretto di Messina S.p.A., una società creata appositamente per valutare e gestire la realizzazione dell’opera. Tuttavia, le difficoltà legate alla natura sismica dell’area e ai rischi ambientali continuarono a ostacolare i lavori.

Ai giorni nostri, il programma tra slanci e frenate

Nei primi anni 2000, il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina ricevette nuovo slancio durante il mandato di Silvio Berlusconi, che lo elevò a simbolo del proprio programma infrastrutturale. Nel 2005, l’esecutivo approvò ufficialmente il progetto definitivo, stimando un costo di circa sei miliardi di euro. Tuttavia, l’instabilità politica e la crisi economica del 2008 rallentarono l’iniziativa, che nel 2013 venne definitivamente congelata. L’incertezza sui finanziamenti, unita alle crescenti opposizioni per i rischi ambientali, contribuì a sospendere l’opera, lasciandola ancora una volta in una fase di stallo.

La rinascita del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina

Nel 2023, l’idea del ponte è stata rilanciata con decisione dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. L’obiettivo, secondo Salvini, è quello di migliorare i collegamenti, ridurre l’isolamento della Sicilia e incentivare il turismo e il commercio tra l’isola e il continente.

Il governo Meloni, quindi, ha stanziato nuovi fondi pari, per ora, a 14miliardi di euro e riacceso l’interesse per l’opera, inserendola all’interno di un piano infrastrutturale più ampio per modernizzare il Mezzogiorno, secondo l’esecutivo. 

Salvini, quindi, ha ridato vita alla Stretto di Messina S.p.A., incaricata della costruzione del ponte da Silvio Berlusconi e (ri)affidato l’incarico di amministratore delegato a Pietro Ciucci.

Pietro Ciucci oggi è imputato per il crollo del viadotto Scorciavacche sulla strada statale Palermo-Agrigento, il 30 dicembre 2014. In quel periodo, Ciucci ricopriva il ruolo di amministratore delegato e presidente dell’ANAS. Durante la sua gestione sono crollati altri tre viadotti. la procura di Palermo a dicembre 2024 ha chiesto per Ciucci una condanna a quattro anni di reclusione.(fonte Report)

Il 20 dicembre 2024, quindi, Legambiente, LIPU e WWF hanno formalizzato un ricorso al TAR del Lazio contro l’approvazione del progetto, contestando la validità del parere positivo rilasciato dalla Commissione VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale). Le associazioni ambientaliste hanno denunciato una serie di incongruenze e lacune, ponendo l’accento su quella che considerano una valutazione superficiale e contraddittoria. Cerchiamo di capire meglio.

Mancata l’applicazione del principio di precauzione

Alla base del ricorso delle associazioni ambientaliste si colloca un principio cardine delle leggi europee e italiane: il principio di precauzione.

Questo stabilisce che, in presenza di incertezze scientifiche sugli effetti negativi di un progetto, la sua realizzazione deve essere sospesa fino a quando non si disponga di dati certi e completi. Tale norma si rivela particolarmente rilevante per il Ponte sullo Stretto, poiché lo stesso proponente dell’opera, cioè la società Stretto di Messina S.p.A. (attualmente sotto il controllo di Rete Ferroviaria Italiana (RFI), del gruppo Ferrovie dello Stato Italiano), ha riconosciuto la possibilità di impatti significativi su alcune aree appartenenti alla Rete Natura 2000, un sistema europeo di aree protette istituito per tutelare gli habitat più vulnerabili.

Nonostante la Valutazione d’Incidenza Ambientale (VINCA) avesse espresso un parere negativo, la Commissione VIA ha approvato il progetto, subordinandolo a sessantadue prescrizioni. Tuttavia, molte di queste condizioni non si fondano su analisi conclusive ma su approfondimenti che avrebbero dovuto essere completati in fase preliminare, prima dell’approvazione definitiva.

Questo approccio risulta contraddittorio e rischioso, poiché la mancanza di dati precisi aumenta il margine di errore e riduce la possibilità di mitigare efficacemente i danni ambientali. Secondo le associazioni, l’approvazione del progetto senza una conoscenza approfondita delle conseguenze viola apertamente il principio di precauzione e rende il ponte un azzardo ambientale di proporzioni inaccettabili.

Un’area sismica e vulcanica: i rischi naturali

Uno degli aspetti più controversi riguarda la sismicità e l’attività vulcanica dello Stretto. L’area si trova in una delle zone più attive dal punto di vista geologico d’Italia, caratterizzata da faglie sismiche e da fenomeni tettonici continui.

A rendere il quadro ancora più preoccupante è la presenza del vulcano sottomarino Marsili, situato a circa 150 km dalle coste calabresi e siciliane. Marsili è considerato uno dei vulcani sottomarini più pericolosi al mondo, la cui eruzione potrebbe generare tsunami devastanti in grado di colpire l’intera area dello Stretto. La possibilità di un’eruzione, sebbene considerata remota, rappresenta una variabile impossibile da ignorare nella progettazione di un’opera di tali dimensioni.

Secondo il ricorso, la Commissione VIA avrebbe dovuto richiedere approfondimenti specifici sulla stabilità geologica e sulla vulnerabilità sismica dell’intera struttura, anziché rimandare tali studi alla fase esecutiva. 

L’acqua: una risorsa critica e insufficiente

Un altro aspetto centrale del ricorso riguarda la gestione delle risorse idriche. La costruzione del Ponte richiederà un’enorme quantità d’acqua, sia per le operazioni di cantiere sia per i processi di raffreddamento delle attrezzature. Messina, purtroppo è una città che affronta ciclicamente gravi crisi idriche, con interruzioni dell’approvvigionamento che mettono a dura prova la popolazione locale.

L’assenza di un piano dettagliato per garantire l’acqua necessaria ai cantieri senza compromettere le risorse destinate alla cittadinanza viene considerata una delle principali falle del progetto. Le associazioni ambientaliste temono che, senza interventi mirati, l’opera possa aggravare una situazione già critica, privando i cittadini di un bene essenziale.

Altri punti controversi: le modalità di costruzione

Un aspetto particolarmente controverso risiede nella scelta del Consiglio dei ministri italiano di autorizzare la cantierizzazione per stralci, una metodologia che suddivide la realizzazione del Ponte sullo Stretto in segmenti distinti e autonomi. Questo approccio, sebbene concepito per facilitare l’avvio dei lavori e ridurre i tempi di attuazione, solleva preoccupazioni significative in termini di sostenibilità e controllo degli impatti ambientali.

Tale prassi rischia di minare uno degli elementi fondamentali della Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA), che richiede una prospettiva d’insieme per identificare e mitigare i danni potenziali.

L’assenza di una pianificazione globale rende inoltre più complesso individuare soluzioni efficaci per proteggere la biodiversità marina e terrestre.

Lo Stretto di Messina, per le sue peculiari caratteristiche geografiche e biologiche, rappresenta un delicato equilibrio di correnti, fondali e habitat unici, e la suddivisione dei lavori rischia di alterare progressivamente l’ecosistema senza che i danni diventino immediatamente visibili.

Quest’area, infatti, non è solo una barriera fisica tra Sicilia e Calabria, ma costituisce un vero e proprio scrigno di biodiversità, un corridoio ecologico che ospita un’eccezionale varietà di specie animali e vegetali, sia terrestri sia marine. La sua importanza risiede non soltanto nelle acque, ma anche nei cieli, poiché lo Stretto rappresenta una delle più significative rotte migratorie per gli uccelli in Europa. Ogni anno, milioni di volatili attraversano questo tratto di mare, seguendo percorsi ancestrali che collegano l’Africa all’Europa continentale.

La realizzazione di un’opera imponente come il Ponte rischierebbe di spezzare questo fragile equilibrio, interferendo con i cicli migratori e alterando irrimediabilmente l’ambiente circostante. Le strutture stesse del cantiere, i piloni e i cavi sospesi potrebbero costituire ostacoli mortali per numerose specie, molte delle quali già minacciate. E non finisce qui.

Iter poco trasparenti

Dal punto di vista tecnico, la cantierizzazione per stralci comporta anche difficoltà logistiche e organizzative. Ogni segmento realizzato deve infatti connettersi perfettamente con il successivo, creando una complessa interdipendenza tra le varie fasi del progetto. Qualsiasi errore o ritardo in uno degli stralci potrebbe compromettere l’intera opera, generando costi aggiuntivi e prolungando i tempi di completamento.

Le associazioni ambientaliste e numerosi esperti hanno espresso forti perplessità su questa strategia. Secondo loro, il rischio di parcellizzazione non riguarda solo l’ambiente, ma investe anche la trasparenza dell’intero iter burocratico, con il pericolo che le diverse sezioni del progetto vengano approvate senza un reale confronto pubblico. Ma se venisse realizzato?

Scenari futuristici 

Il Ponte sullo Stretto di Messina, se realizzato, rappresenterebbe un’opera di ingegneria titanica, destinata a riscrivere i primati mondiali nel campo delle infrastrutture sospese. Con una lunghezza stimata di circa 3,3 chilometri, supererebbe il Ponte di Akashi Kaikyō in Giappone, attualmente detentore del record di ponte sospeso più lungo al mondo.

La costruzione di un’opera di tale portata richiederebbe un arco temporale stimato tra i sette e i dieci anni, una finestra che riflette la complessità dell’intervento e le sfide intrinseche legate alla particolare conformazione geografica dello Stretto. Questo tempo include la preparazione delle fondazioni, la realizzazione delle torri di sostegno e la posa dei cavi che sorreggerebbero l’impalcato, un’operazione che necessiterebbe di mezzi tecnologicamente avanzati e manodopera altamente specializzata.

La costruzione non riguarderebbe solo il ponte in sé, ma comporterebbe anche la creazione di infrastrutture accessorie, tra cui strade di collegamento, svincoli e opere di consolidamento del terreno, indispensabili per garantire la stabilità del viadotto e la sicurezza degli utenti. Ogni fase rappresenterebbe una sfida ingegneristica e logistica, con implicazioni significative per l’intero sistema di trasporti tra Sicilia e Calabria.

L’avversario invisibile: le correnti dello Stretto

Le acque dello Stretto di Messina costituiscono uno degli scenari più suggestivi, ma al contempo più ostici, per la navigazione. Le correnti marine possono raggiungere una velocità di 9 km/h, creando vortici e fenomeni di risacca che rendono lo specchio d’acqua uno dei più complessi del Mediterraneo. Questo flusso incessante rappresenterebbe una sfida per la costruzione del ponte, poiché condizionerebbe l’installazione delle fondamenta sottomarine e richiederebbe tecniche avanzate per la posa degli elementi strutturali.

Il fenomeno delle correnti influirebbe anche sulla stabilità dell’impalcato sospeso, esponendolo a sollecitazioni dinamiche continue. Per contrastare questi effetti, il progetto dovrebbe prevedere l’impiego di materiali innovativi e ammortizzatori antisismici, capaci di assorbire l’energia prodotta dal movimento delle acque e dai venti, preservando così l’integrità dell’opera.

Un ponte su un territorio inquieto: la sismicità dello stretto

Come accennato, la zona dello Stretto di Messina è classificata come area sismica di primo grado, la più elevata in Italia. Questa peculiarità implica che il territorio è soggetto a scosse di notevole intensità, legate alla complessa attività tettonica del Mediterraneo. Storicamente, la regione è stata teatro di devastanti terremoti, come quello del 28 dicembre 1908, che distrusse Messina e Reggio Calabria, causando oltre 80mila vittime.

Costruire un ponte in una delle aree più instabili d’Italia comporta l’applicazione di tecnologie all’avanguardia per resistere a potenziali scosse di magnitudo elevata. Il progetto dovrebbe contemplare l’utilizzo di fondazioni profonde e piloni dotati di sistemi antisismici avanzati, in grado di assorbire e disperdere l’energia sismica, limitando così i danni alla struttura. Inoltre, la flessibilità dell’impalcato sospeso dovrebbe agire come un elemento di sicurezza naturale, permettendo al ponte di oscillare senza compromettere la stabilità complessiva.

Un sogno o un rischio?

Il Ponte sullo Stretto di Messina continua a dividere l’opinione pubblica. Da una parte, rappresenta un’opera faraonica, titanica, dall’altra, incarna un potenziale pericolo per l’ambiente e la stabilità geologica della regione.

La storia di questo progetto rimane emblematica dell’Italia stessa: una nazione sospesa tra grandi visioni, ostacoli naturali e sfide politiche. Resta da vedere se il Ponte sullo Stretto diventerà una realtà o se rimarrà, ancora una volta, un sogno irrealizzato.

Le associazioni ambientaliste non si oppongono al progresso, ma chiedono che esso sia accompagnato da una pianificazione rigorosa e rispettosa dell’ambiente. Il ricorso al TAR rappresenta una battaglia per affermare un principio fondamentale: nessuna opera, per quanto grandiosa, può giustificare la distruzione di un ecosistema fragile e prezioso.

Numero verde ONA

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