lunedì, Dicembre 2, 2024

IL Lago d’Aral, una “bomba a orologeria” nell’Asia Centrale

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NEGLI ULTIMI SESSANT’ANNI, L’ASIA CENTRALE HA ASSISTITO ALLA QUASI TOTALE SCOMPARSA DELL’ARAL, UN TEMPO IL QUARTO LAGO SALATO PIÙ GRANDE DEL MONDO. SITUATO AL CONFINE MERIDIONALE DEL KAZAKISTAN E NEL NORD DELL’UZBEKISTAN, L’ARAL ERA UNA FONTE VITALE PER LA REGIONE, SIMBOLO DI PROSPERITÀ PER LE COMUNITÀ LOCALI CHE VIVEVANO DI PESCA E ATTIVITÀ PORTUALI. OGGI, PERÒ, QUELLA VASTA DISTESA D’ACQUA SI È TRASFORMATA IN UN DESERTO SALATO, CON CONSEGUENZE DEVASTANTI SULL’ECONOMIA LOCALE, LA SALUTE PUBBLICA E L’AMBIENTE

L’inizio della fine: il declino del lago d’Aral

Il progressivo disastro ambientale che ha colpito il lago d’Aral affonda le sue radici nel XIX secolo, quando le autorità russe iniziarono a deviare le acque dei fiumi Amu Darya e Syr Darya, i due principali affluenti del lago, per sostenere l’irrigazione delle piantagioni di cotone nelle aride steppe circostanti.

Questo processo venne drammaticamente intensificato durante l’epoca sovietica, quando il regime perseguì l’obiettivo di trasformare l’Asia Centrale in uno dei maggiori poli mondiali per la produzione di cotone. Le pratiche agricole insostenibili portarono a un massiccio prelievo delle risorse idriche, riducendo progressivamente il flusso d’acqua verso il bacino dell’Aral.

A partire dagli anni Sessanta, il lago aveva già perso metà della sua superficie originaria. Nel corso dei decenni successivi, l’inarrestabile contrazione delle sue acque lo portò a dividersi in due bacini separati: il Mare d’Aral Settentrionale, situato in Kazakistan, e il Mare d’Aral Meridionale, nel territorio uzbeko. Questa frammentazione segnò simbolicamente l’inizio del collasso di un ecosistema un tempo florido e indispensabile per la vita locale.

Gli effetti devastanti della desertificazione

La trasformazione dell’Aral in un deserto salato ha generato ripercussioni di vasta portata sull’ambiente, l’economia e la salute delle popolazioni locali. Il fondale lacustre, che per decenni aveva agito come una sorta di deposito naturale, è risultato contaminato da un accumulo di sostanze chimiche tossiche.

Questi inquinanti, principalmente pesticidi e fertilizzanti utilizzati in modo massiccio durante le campagne agricole intensive dell’epoca sovietica, si sono sedimentati nel tempo, integrandosi al suolo del lago ormai prosciugato.

La forza dei venti, caratteristici di questa regione arida, funge inoltre da vettore per le polveri contaminate, disperdendole su vastissime aree, ben oltre i confini immediati del bacino. Questo fenomeno amplifica l’impatto del disastro, estendendo la contaminazione a centinaia di chilometri di distanza.

Le particelle trasportate, composte da sali minerali e residui chimici, si depositano sui terreni agricoli, riducendone progressivamente la fertilità. I raccolti risultano compromessi, sia in termini di quantità sia di qualità. Il che, mette a rischio la sicurezza alimentare delle comunità locali. Ma l’inquinamento non si ferma al suolo. 

La dispersione di queste particelle nell’aria contribuisce a un grave deterioramento della qualità atmosferica, aumentando l’incidenza di problemi respiratori, allergie e patologie croniche tra le popolazioni esposte. Inoltre, queste polveri sottili, attraverso la pioggia e le infiltrazioni, finiscono per contaminare anche le già limitate riserve idriche, aggravando una crisi che pesa da decenni sulla regione.

Un pericoloso circolo vizioso

Il risultato è un circolo vizioso devastante: i terreni diventano progressivamente meno produttivi, l’acqua potabile sempre più scarsa e inquinata, mentre l’aria diventa un veicolo costante di sostanze nocive.

Un esempio eloquente dell’impatto della scomparsa del lago d’Aral è rappresentato dalla città di Moynaq, un tempo fiorente porto peschereccio situato sulle sue rive. Oggi, questa città è il simbolo desolante di un disastro ambientale senza precedenti: un paesaggio surreale di barche arrugginite e relitti abbandonati giace sparso su un terreno arido, una distesa di sale e polvere dove un tempo si trovavano le acque lacustri.

Il declino del lago ha spazzato via l’intero settore ittico, privando le comunità locali della loro principale fonte di reddito e relegando Moynaq a una condizione di profonda marginalità economica. Con la scomparsa dei pesci e delle attività connesse, le generazioni che per secoli avevano basato la loro esistenza su questa risorsa sono state costrette a lasciare le loro case e migrare verso altre regioni o città in cerca di lavoro e stabilità.

Il lago d’Aral e la lotta per la sopravvivenza delle comunità locali

La comunità odierna, ridotta a un piccolo nucleo di “residenti resistenti”, ha dovuto trovare modi alternativi per adattarsi a un ambiente ostile.

Tra le attività emergenti, spicca l’allevamento di gamberi di salamoia, una risorsa che prospera nelle acque estremamente saline dei pochi bacini residui del lago d’Aral. Sebbene questa pratica non riesca a compensare pienamente le perdite derivanti dalla pesca tradizionale, rappresenta comunque una fonte di reddito per alcune famiglie.

Nei villaggi vicini al lago prosciugato, come Tastubek in Kazakistan, le giornate sono quindi scandite da ritmi lenti e silenziosi, interrotti solo dal ritorno dei pochi pescatori rimasti. All’alba e al tramonto, queste piccole comunità si animano brevemente, mentre le barche rientrano con magri carichi di pesce, frutto di una pesca sempre più ardua e imprevedibile.

Oltre alla pesca residua, alcuni abitanti hanno iniziato a dedicarsi ad attività legate al turismo, seppur in forma limitata. Moynaq, con i suoi relitti di barche arrugginite e il paesaggio lunare di sale e polvere, è diventata una sorta di museo a cielo aperto, che attira sporadicamente ricercatori, giornalisti e semplici curiosi. Questo turismo “del disastro” offre un’opportunità economica per la comunità, anche se rimane insufficiente per garantire un futuro sostenibile.

In parallelo, alcuni progetti di riforestazione, come la piantumazione di alberi di saxaul (un piccolo arbusto), sono stati avviati per combattere la desertificazione e ridurre la dispersione delle polveri tossiche. Sebbene i risultati siano ancora limitati, queste iniziative rappresentano un tentativo concreto di invertire, almeno in parte, i danni ambientali causati dalla scomparsa del lago.

L’intervento del Kazakistan e la costruzione della diga Kok-Aral

Nel 2005, il Kazakistan, con il sostegno della Banca Mondiale, ha intrapreso un importante progetto per mitigare la catastrofe ecologica del lago d’Aral, costruendo la diga Kok-Aral. Questa infrastruttura è stata progettata per contenere le acque del fiume Syr Darya e stabilizzare il livello del Mare d’Aral Settentrionale, ormai separato dal bacino meridionale. Grazie alla diga, l’acqua è tornata a riempire parte dell’area settentrionale, riducendo la salinità che per anni aveva reso impossibile la vita acquatica.

Il progetto ha permesso il ritorno di alcune specie ittiche, come il cefalo e il siluro, che avevano abbandonato il lago a causa delle condizioni estreme. Di conseguenza, si è registrata una parziale ripresa della pesca.

Tuttavia, nonostante questi risultati incoraggianti, il progetto ha mostrato i suoi limiti. Il livello dell’acqua ha continuato a essere vulnerabile, influenzato dal ridotto afflusso del Syr Darya, ancora fortemente sfruttato per l’irrigazione agricola a monte. La sezione meridionale del lago, invece, è rimasta in uno stato critico, ormai trasformata in un deserto salato.

Insomma, il successo della diga ha rappresentato un primo passo, ma non ha potuto risolvere il problema nella sua interezza, lasciando il futuro dell’Aral incerto e subordinato a interventi più ampi e coordinati.

Il declino irreversibile del Mare d’Aral Meridionale e le difficoltà del Karakalpakstan

La situazione nel bacino meridionale del Mare d’Aral è drammaticamente più grave rispetto alla controparte settentrionale. Priva di interventi infrastrutturali come la diga Kok-Aral, la sezione meridionale del bacino continua a scomparire, aggravando una crisi ecologica, economica e sociale che colpisce duramente il Karakalpakstan, una regione autonoma situata nell’Uzbekistan occidentale.

Il fiume Amu Darya, un tempo uno dei maggiori affluenti del lago d’Aral, rappresenta oggi l’unica fonte d’acqua per il Karakalpakstan. Tuttavia, il suo corso è fortemente sfruttato per l’irrigazione intensiva a monte, in particolare per la coltivazione del cotone e di altre colture, lasciando solo un residuo insufficiente per sostenere la popolazione locale e l’ecosistema della regione. La scarsità d’acqua ha devastato le attività agricole, un pilastro dell’economia locale, e ha reso estremamente difficile soddisfare i bisogni fondamentali delle comunità.

Crisi umanitaria e tensioni politiche

La crisi ecologica del lago d’Aral Meridionale ha avuto profonde implicazioni sociali e politiche per il Karakalpakstan, una regione già vulnerabile. La minoranza karakalpaka, che costituisce la maggior parte della popolazione locale, si trova ad affrontare un isolamento crescente e una costante pressione politica da parte delle autorità centrali uzbeke.

Questa situazione ha portato a tensioni latenti, alimentate dal senso di abbandono e dall’ineguale distribuzione delle risorse. La mancanza di interventi significativi da parte del governo centrale per affrontare le devastazioni ambientali ha generato un diffuso malcontento. E non finisce qui. 

L’impatto del cambiamento climatico

Le temperature in Asia Centrale stanno aumentando a un ritmo doppio rispetto alla media globale, e la riduzione della riserva d’acqua sta peggiorando ulteriormente. Il cambiamento climatico aggrava la desertificazione e riduce i ghiacciai che alimentano i fiumi Amu Darya e Syr Darya. Senza interventi urgenti, gli esperti avvertono che vaste aree dell’Asia Centrale potrebbero diventare inabitabili entro pochi decenni, con milioni di persone costrette a emigrare.

Il futuro del Lago d’Aral: tra speranza e incertezza

Il ripristino del lago d’Aral è ostacolato non solo da problemi ecologici ma anche da complessi fattori politici e gestionali. In Uzbekistan, l’uso agricolo intensivo e le obsolete pratiche di irrigazione sovietiche, ancora in vigore, continuano a sprecare enormi quantità d’acqua.

Il settore agricolo, dominato dalla coltivazione del cotone, assorbe il 90% delle risorse idriche del Paese. Per affrontare questa crisi, il governo ha introdotto un “regime d’emergenza per la conservazione dell’acqua”, incentivando tecniche di irrigazione più efficienti e cercando una gestione più equa delle risorse idriche tra le nazioni confinanti.

In conclusione, l’Aral è diventato un simbolo della lotta contro la crisi idrica globale, un promemoria di come scelte a breve termine possano avere conseguenze devastanti. Mentre la Kok-Aral Dam offre una parziale soluzione al nord, la situazione nel sud rimane disperata. Con l’aiuto della comunità internazionale, i Paesi dell’Asia Centrale possono ancora sperare di mitigare i danni e garantire un futuro sostenibile, ma il tempo stringe, e il rischio di un disastro umanitario incombe.

Fonte

When Water Turns to Sand Up First: The Sunday Story

Numero verde ONA

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