mercoledì, Gennaio 22, 2025

Il futuro del cibo è vegetale. Un viaggio tra tendenze, storia e benefici del veganismo

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DATI RECENTI INDICANO CHE IL MERCATO DEGLI ALIMENTI VEGETALI IN ITALIA HA TOCCATO I 641MILIONI DI EURO NEL 2023, REGISTRANDO UN INCREMENTO DEL 16% RISPETTO AL 2021 (FONTE GFI EUROPE). QUESTA CRESCITA NON RAPPRESENTA SOLO UN AUMENTO NELLE VENDITE, MA UN CAMBIAMENTO RADICALE NEL MODO IN CUI LE PERSONE CONCEPISCONO IL CIBO E LA VITA. DIETRO QUESTO FENOMENO SI CELA UNA LUNGA EVOLUZIONE STORICA E SCIENTIFICA CHE INTRECCIA ETICA, SOSTENIBILITÀ E BENESSERE. ESPLORIAMO LE RADICI DI QUESTA TRASFORMAZIONE E I CINQUE MACRO TREND CHE NE DEFINISCONO IL FUTURO

Le radici storiche del veganismo e il futuro del movimento 

Il termine “vegan” nasce nel 1944, coniato dall’attivista britannico Donald Watson, fondatore della Vegan Society. Watson immaginò un modello alimentare e filosofico che rifiutasse qualsiasi forma di sfruttamento animale. Tuttavia, le radici di questa scelta risalgono a secoli prima, con tradizioni come il Jainismo (una delle religioni più antiche del mondo, originaria dell’India) e il Buddismo, che predicavano il rispetto per tutte le forme di vita.

Negli anni ’70 e ’80, il veganismo iniziò a prendere piede nei movimenti controculturali occidentali, spinto da attivisti per i diritti degli animali e da studi pionieristici sui benefici di una dieta priva di derivati animali. Ma è solo negli ultimi due decenni che è divenuto un fenomeno globale, grazie a una maggiore consapevolezza dei problemi ambientali e alla diffusione di alternative alimentari innovative. Ma perché scegliere questa filosofia di vita?

Abbracciare il futuro con uno stile di vita etico, salutare e rispettoso dell’ambiente 

Il veganismo si configura come una scelta rivoluzionaria che intreccia la salvaguardia dell’ambiente, il miglioramento della salute e il rispetto per la vita animale. Abbracciare questo stile di vita significa compiere un passo deciso verso un futuro più sostenibile e compassionevole.

Dal punto di vista ecologico, gli allevamenti intensivi rappresentano una delle maggiori cause di emissioni di gas serra a livello globale, contribuendo in modo significativo al riscaldamento climatico. La FAO stima che questa attività incida per il 14,5% delle emissioni mondiali. 

Inoltre, la produzione di carne comporta un dispendio ingente di risorse, come acqua e suolo e alimenta fenomeni devastanti quali la deforestazione e la perdita di biodiversità. In contrapposizione, un regime alimentare basato su ingredienti di origine vegetale richiede risorse notevolmente inferiori. Per esempio, ottenere proteine vegetali consuma una quantità di suolo e acqua sensibilmente più bassa rispetto a quelle animali.

Sul fronte della salute, adottare una dieta priva di prodotti animali può portare benefici significativi. Numerosi studi dimostrano che una nutrizione incentrata su frutta, verdura, cereali e legumi riduce il rischio di malattie croniche come obesità, diabete di tipo 2, disturbi cardiovascolari e alcune forme di tumore. Gli alimenti vegetali sono inoltre ricchi di fibre, vitamine e minerali, essenziali per il benessere generale e la prevenzione di molte patologie.

Dal punto di vista etico, questa scelta alimentare rappresenta un rifiuto attivo del sistema industriale che sfrutta miliardi di animali ogni anno. Questi esseri viventi, spesso costretti a condizioni di vita atroci, subiscono sofferenze evitabili. Orientarsi verso un’alimentazione vegetale significa schierarsi contro queste pratiche, dimostrando che è possibile vivere senza arrecare danno ad altre forme di vita.

Ma veniamo ai cinque macro trend per il 2025 delineati dall’Osservatorio VEGANOK.

Cucina fusion vegana: un melting pot di sapori

La cucina vegana contemporanea sta diventando un crocevia di tradizioni culinarie provenienti da tutto il mondo, in grado di valorizzare ingredienti unici e tecniche innovative che raccontano la storia e la cultura dei luoghi da cui provengono.

Uno degli esempi più rappresentativi è il ramen (una zuppa di noodles, ossia spaghetti orientali) tradizionalmente arricchita con brodi di carne o pesce), in versione vegetale. Questo piatto, simbolo della cucina giapponese, trova una nuova interpretazione grazie all’uso di alghe kombu e funghi shitake.

Le prime, alghe marine utilizzate per creare il tradizionale dashi (brodo), conferiscono una profondità di sapore nota come “umami”, mentre i secondi, funghi intensamente aromatici, arricchiscono la base del piatto con un gusto terroso e avvolgente. I noodles, spesso realizzati artigianalmente con farine prive di uova, mantengono la consistenza elastica caratteristica del ramen tradizionale.

Un altro esempio di questa contaminazione culturale si ritrova nei tacos di jackfruit. Il jackfruit, un frutto tropicale originario del Sud-Est asiatico, è apprezzato per la sua polpa fibrosa che, una volta cotta e speziata, richiama sorprendentemente la consistenza della carne sfilacciata. Utilizzato come ripieno, il jackfruit viene sapientemente marinato con spezie e condimenti che richiamano la cucina messicana, mentre le tortillas di mais o di grano mantengono intatta l’autenticità del piatto.

L’importanza della fermentazione

Un aspetto importante della cucina vegana globale è l’utilizzo delle tecniche di fermentazione, un processo antico che non solo esalta i sapori, ma apporta anche importanti benefici nutrizionali e funzionali agli alimenti. Essa avviene grazie all’azione di batteri, lieviti e muffe che trasformano gli ingredienti, migliorandone la digeribilità, arricchendoli di nutrienti e conservandoli naturalmente.

Uno degli esempi più emblematici è il miso, una pasta fermentata originaria del Giappone ottenuta dalla combinazione di soia, riso o orzo e un agente fermentante chiamato koji. Il miso si distingue per la sua versatilità: può essere usato per insaporire zuppe o per arricchire marinature, salse e condimenti. Il suo sapore varia da delicato e dolce a intenso e salato, a seconda del tempo di fermentazione e degli ingredienti utilizzati.

Un altro alimento di grande rilevanza è il kimchi, un pilastro della cucina coreana. Si tratta di verdure, tipicamente cavolo e ravanelli, fermentate con spezie, aglio, zenzero e peperoncino. Il kimchi non solo dona una vivace nota pungente e piccante ai piatti, ma è anche un alimento probiotico naturale, utile per migliorare la salute dell’intestino e rafforzare il sistema immunitario.

Dall’Indonesia arriva invece il tempeh, un alimento ottenuto dalla fermentazione della soia intera con l’uso di uno specifico fungo. A differenza del tofu, che ha una consistenza più morbida, il tempeh è compatto e presenta una struttura granulosa, ideale per essere grigliato, saltato in padella o usato come sostituto della carne in svariate ricette.

Il futuro è nella fermentazione di precisione

Una frontiera innovativa che sta rivoluzionando il panorama della cucina vegana è rappresentata dalla fermentazione di precisione, una tecnologia che combina biotecnologia e sostenibilità. Questo processo si basa sull’uso di microrganismi programmati per produrre molecole specifiche di origine animale, come le proteine del latte, senza il coinvolgimento di animali.

Grazie a questa tecnica, è possibile creare formaggi vegani e alternative al burro che replicano fedelmente il sapore, la consistenza e le proprietà nutrizionali dei prodotti tradizionali. Questa innovazione non si limita alla produzione alimentare: rappresenta un cambio di paradigma nella lotta all’impatto ambientale dell’allevamento intensivo e all’uso di risorse non sostenibili.

Secondo le proiezioni, entro il 2025 questa tecnologia sarà ampiamente diffusa. Cosa che renderebbe più accessibili formaggi vegani di alta qualità e altre alternative. Insomma, l’interazione tra tradizione, come la fermentazione classica, e innovazione, come la fermentazione di precisione, non solo arricchisce la cucina vegana, ma ridefinisce il futuro dell’industria alimentare globale.

Le alternative vegetali 

La cucina vegana si avvale anche di proteine vegetali più conosciute come il tofu e il seitan. Il tofu, prodotto dalla cagliatura del latte di soia, è un alimento versatile che assorbe facilmente i sapori delle spezie e dei condimenti con cui viene preparato. Il seitan, invece, deriva dal glutine del grano e si distingue per la sua consistenza sorprendentemente simile a quella della carne, rendendolo una scelta perfetta per chi desidera piatti sostanziosi e ricchi di proteine.

Il futuro è Vegan?

Negli ultimi anni, l’industria alimentare ha assistito a una trasformazione significativa, guidata dall’ascesa del veganismo e dalla crescente consapevolezza del consumatore riguardo alla sostenibilità ambientale, al benessere animale e alla salute personale. Questo cambiamento culturale ha spinto persino i grandi marchi storici, tradizionalmente legati a prodotti di origine animale, a riconoscere il potenziale delle alternative vegetali.

L’interesse verso il movimento non è solo etico, ma anche economico. Secondo recenti analisi, il numero di consumatori che scelgono una dieta vegana o plant-based è in costante aumento, con un tasso di crescita annuale del mercato che si attesta intorno al 9-10%.

Negli Stati Uniti e in Europa, oltre il 6% della popolazione segue una dieta basata esclusivamente su alimenti vegetali, mentre milioni di individui si identificano come flexitariani, ovvero persone che riducono il consumo di prodotti animali senza eliminarli completamente.

Questo segmento di mercato, già multimiliardario, rappresenta una delle aree più dinamiche e promettenti dell’industria alimentare, attirando l’interesse dei grandi marchi per la sua capacità di crescere più rapidamente rispetto al mercato tradizionale.

Colossi come Ferrero e Nestlé, simboli di eccellenza e tradizione, hanno iniziato a investire in linee dedicate a prodotti vegani, dimostrando una chiara volontà di adattarsi alle nuove esigenze del mercato per il futuro.

Ferrero, ad esempio, ha esplorato versioni senza latte delle sue celebri creme spalmabili e cioccolati, utilizzando alternative vegetali che conservano il gusto e la qualità iconica dei loro prodotti.

Allo stesso modo, Nestlé ha ampliato il suo portafoglio con bevande, dessert e snack interamente a base vegetale, consolidando la propria posizione di leader nell’innovazione alimentare sostenibile.

Un cambio di paradigma 

Questo slancio verso il veganismo non si limita a una nicchia di mercato, ma riflette un cambio di paradigma su scala globale. Si prevede che entro il 2025 sempre più grandi aziende integreranno strategie alimentari basate su ingredienti vegetali, non solo per rispondere alla domanda del consumatore, ma anche per allinearsi con le politiche di sostenibilità aziendale e gli obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio.

La transizione al veganismo come strategia mainstream (cioè sempre più diffusa) rappresenta infatti una risposta tangibile alle sfide ambientali, con un focus sulla riduzione dell’impronta ecologica legata alla produzione alimentare.

Un aspetto fondamentale di questa trasformazione è la volontà di rendere le alternative vegane accessibili a una vasta platea di consumatori. Le aziende stanno lavorando per abbattere le barriere legate al costo e alla disponibilità, proponendo prodotti che uniscono qualità, convenienza e un impatto positivo sul pianeta.

L’adozione del veganismo da parte dei grandi marchi veicola altresì un potente messaggio culturale. Includere alternative veg nei cataloghi di aziende storiche legate all’idea di “comfort food” (cibi che evocano una sensazione di benessere, familiarità e nostalgia, ad esempio la pasta al forno), significa ridefinire la normalità alimentare e aprire le porte a un futuro più inclusivo. Non si tratta più di un movimento riservato a pochi pionieri o a consumatori di nicchia, ma di un fenomeno che sta diventando il nuovo standard.

Una scelta a tutto tondo

L’interesse verso questo segmento non si limita all’alimentare: anche aziende che operano nel settore cosmetico, della moda e della cura della persona stanno adottando pratiche simili, promuovendo linee cruelty-free (ossia prodotto etico privo di sperimentazione animale) e a base vegetale. Questo ampliamento del concetto di veganismo, che supera i confini del cibo per abbracciare uno stile di vita più etico e sostenibile, contribuisce a consolidare il movimento come una forza trainante del cambiamento globale.

Nel prossimo futuro, vedremo non solo un incremento delle alternative vegane nei prodotti di massa, ma anche un’ulteriore specializzazione, con marchi che punteranno su qualità artigianale, innovazione tecnologica e collaborazione con startup nel settore alimentare sostenibile. Ma non finisce qui.

Il packaging etico

La crescente consapevolezza riguardo all’impatto ambientale degli imballaggi tradizionali, spesso realizzati con materiali difficilmente riciclabili o derivati dal petrolio, ha spinto aziende e ricercatori a sviluppare soluzioni innovative che siano coerenti con i principi di sostenibilità e rispetto per il pianeta.

Progetti come VEG-PACK rappresentano l’avanguardia in questo ambito, proponendo imballaggi privi di derivati animali e realizzati con materiali a base vegetale. Tra le soluzioni più promettenti troviamo la plastica biodegradabile, prodotta da fonti rinnovabili come l’amido di mais, la canna da zucchero o gli scarti della lavorazione agricola.

Questi materiali, a differenza delle plastiche tradizionali, si decompongono naturalmente in tempi brevi, riducendo drasticamente l’impatto sull’ambiente e contribuendo a combattere il problema globale dell’inquinamento da plastica.

Le confezioni compostabili

Un’altra soluzione innovativa è rappresentata dalle confezioni compostabili, progettate per essere smaltite insieme ai rifiuti organici. Realizzate con materiali come carta riciclata, fibre vegetali e biopolimeri, queste confezioni non solo evitano l’accumulo di rifiuti, ma arricchiscono il terreno durante il processo di compostaggio, chiudendo in tal modo il ciclo della sostenibilità.

Il packaging sostenibile non è soltanto una questione tecnica, ma incarna anche valori di trasparenza etica. Sempre più consumatori esigono che le aziende non si limitino a offrire prodotti vegani, ma si impegnino a rispettare l’intero ecosistema, dall’approvvigionamento delle materie prime alla gestione dei rifiuti. La coerenza tra il contenuto e il contenitore è diventata pertanto un parametro di valutazione imprescindibile, che influenza le scelte di acquisto e rafforza la fiducia verso i brand.

Entro il 2025, questa evoluzione sarà ancora più marcata. Le normative ambientali, insieme alla pressione dei consumatori, spingeranno un numero crescente di aziende a investire in materiali innovativi e sistemi di imballaggio rigenerativi. Inoltre, il progresso della ricerca scientifica e il calo dei costi di produzione renderanno queste soluzioni più accessibili e scalabili su larga scala per il futuro.

Questa rivoluzione etica e tecnologica non riguarda solo la riduzione dell’impatto ambientale, ma rappresenta anche un’opportunità per educare il consumatore e ridefinire il concetto di consumo responsabile. Attraverso imballaggi che comunicano visivamente i valori di sostenibilità, le aziende non solo offrono un prodotto, ma veicolano un messaggio: ogni scelta di acquisto può contribuire a preservare il pianeta per le generazioni future.

Il packaging sostenibile, quindi, non è semplicemente un accessorio del veganismo, ma un pilastro fondamentale di un cambiamento culturale e industriale che abbraccia etica, innovazione e armonia con l’ambiente.

Superfood a chilometro zero

I superfood a chilometro zero rappresentano una delle tendenze più promettenti nel panorama alimentare contemporaneo. Per comprendere appieno questa espressione, è necessario scomporne i significati e analizzarne le implicazioni.

Il termine superfood si riferisce ad alimenti che, grazie al loro profilo nutrizionale eccezionale, apportano significativi benefici per la salute. Questi cibi sono ricchi di nutrienti essenziali come vitamine, minerali, antiossidanti e proteine e sono spesso associati a proprietà preventive nei confronti di malattie croniche, miglioramento del metabolismo e rafforzamento del sistema immunitario.

Quando questi superfood vengono prodotti localmente, senza dipendere da importazioni o processi di trasporto a lunga distanza, si parla di chilometro zero, un concetto che privilegia la sostenibilità ambientale, il supporto all’economia locale e la riduzione dell’impatto ecologico.

Questa combinazione risponde a due esigenze fondamentali: da un lato, la crescente attenzione verso un’alimentazione sana e funzionale; dall’altro, la necessità di limitare l’impronta ecologica delle nostre scelte alimentari. Consumare questi alimenti significa, quindi, ottenere gli stessi benefici nutritivi dei più noti superfood esotici, come la quinoa o l’avocado, ma attraverso colture autoctone che rispettano l’ambiente e rafforzano le economie locali.

Canapa, lupini e cicerchia: superfood al “top”

Tra gli esempi più significativi troviamo la canapa, una coltura che unisce straordinarie qualità nutrizionali e un profondo rispetto per l’ambiente. I suoi semi sono considerati una fonte completa di proteine. Contengono infatti tutti gli aminoacidi essenziali, oltre a un’alta concentrazione di acidi grassi Omega-3 e Omega-6.

La sua coltivazione è particolarmente sostenibile: la canapa richiede poca acqua, non necessita di pesticidi ed è in grado di rigenerare i terreni impoveriti. Un altro protagonista del movimento dei superfood locali è il lupino, un legume straordinariamente nutriente che vanta un contenuto proteico comparabile alla soia ma senza i problemi legati alla sua coltivazione intensiva.

Il lupino è altamente adattabile e cresce bene in terreni poveri. Il che lo rende ideale per la diversificazione agricola in climi temperati. Grazie alla sua versatilità, questo legume è sempre più utilizzato nella produzione di farine per pane e pasta, oltre a diventare ingrediente base per creme spalmabili e alternative al formaggio.

Le cicerchie, rappresentano un altro esempio di riscoperta del passato in chiave moderna. Questo antico legume, ricco di proteine, fibre e minerali come calcio e ferro, era un tempo alla base dell’alimentazione contadina, ma è stato progressivamente abbandonato a favore di colture più standardizzate. La loro reintroduzione come superfood locale non solo contribuisce a diversificare la dieta, ma promuove anche la conservazione della biodiversità e il recupero di tradizioni agricole dimenticate.

Una scelta altamente sostenibile

Adottare superfood a chilometro zero significa inoltre ridurre la dipendenza da alimenti importati, spesso associati a problemi di sostenibilità. Ad esempio, la crescente domanda globale di quinoa o avocado ha portato a pratiche agricole intensive che impattano negativamente sull’ambiente e sulle comunità locali nei Paesi di origine. Scegliendo invece colture autoctone, è possibile garantire un consumo più etico e responsabile, riducendo le emissioni legate al trasporto e sostenendo le economie rurali.

Questa tendenza non è solo alimentare, ma culturale e sociale. Nel 2025, il crescente interesse verso i superfood locali sarà accompagnato da politiche di valorizzazione delle colture tradizionali, campagne di sensibilizzazione sui benefici nutrizionali e iniziative per ridurre gli sprechi alimentari. Ristoranti, chef e produttori contribuiranno a promuovere questi alimenti  non solo come scelta salutare ma anche come un modo per celebrare la ricchezza dei territori e delle loro tradizioni.

In conclusione, il veganismo non è solo una scelta alimentare ma una visione olistica che abbraccia salute, sostenibilità ed etica. Dal suo sviluppo storico come movimento marginale fino a diventare un pilastro delle politiche globali per il futuro, sta ridefinendo il nostro rapporto con il cibo e il pianeta.

Fonti

Gfi Europe: Dati sul mercato degli alimenti vegetali in Italia.

FAO: Impatti ambientali dell’allevamento intensivo.

Osservatorio VEGANOK: Analisi delle tendenze vegan per il 2025.

Vegan Society: Origini storiche del termine “vegan”.

Numero verde ONA

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