Soldati vittime uranio impoverito. Questo il tema affrontato da “Il Giornale dell’Ambiente“, nell’editoriale. La nostra redazione ha chiesto preventivamente un parere all’avv. Ezio Bonanni, Presidente dell’ONA, e legale esperto nella difesa delle vittime uranio impoverito.
Nell’ONA è operativo il dipartimento ‘cura e difesa vittime uranio impoverito’, che è coordinato da Lorenzo Motta. Egli è intervenuto anche durante il quarto appuntamento del notiziario ONA News che si è occupato, nello specifico, di cancerogeni come l’uranio impoverito.
Si muore, generalmente, perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore, spesso, perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. Giovanni Falcone
Soli perché, anche dopo aver rotto il silenzio sulle morti dei soldati vittime dell’Uranio Impoverito, lo Stato Maggiore e il ministero della Difesa continuano ad avere un comportamento omertoso sulla vicenda.
Causa/effetto: continua il negazionismo del ministero della Difesa
«È una verità devastante quella che emerge man mano che il muro di gomma cede», è scritto nel comunicato congiunto di Domenico Leggiero e Vincenzo Riccio. Sono 372 vittime e 7.693 malati a causa dell’uso di munizionamento all’Uranio Impoverito nei teatri di guerra.
Ma il ministero della Difesa, dopo venti anni di processi e oltre 170 sentenze passate in giudicato preferisce risarcire le vittime piuttosto che ammettere il rapporto causa/effetto. Se lo dovesse ammettere, emergerebbero le colpe del sistema.
«Una relazione della IV Commissione d’inchiesta parlamentare che cristallizzava i giudizi dei tribunali, una proposta di legge Scanu che avrebbe quanto meno iniziato ad affrontare il problema, non sono serviti a niente», confermano Leggiero e Riccio.
Dopo le denunce del generale Roberto Vannacci alla Procura di Roma e a quella militare, due soldati hanno raccontato ai media quanto a loro conoscenza sulle vittime del “metallo del disonore”.
Uranio impoverito: la verità dei soldati
Il ten. col. Fabio Filomeni, incursore del 9° Reggimento d’assalto paracadutisti “Col Moschin”. Missioni in Somalia, Bosnia, Kosovo, Albania, Iraq. Oggi in pensione. Negli ultimi anni di una brillante carriera, ha svolto il compito di Responsabile del servizio prevenzione e protezione (Rspp), tutela della sicurezza sul lavoro, dei soldati.
Nel 2017, gli Stati Maggiori delle Forze Armate, ai sensi delle norme sulla sicurezza sul lavoro, per la prima volta, hanno nominato datori di lavoro i comandanti delle missioni. Il generale Vannacci, conscio di non poter assolvere agli obblighi, per mancanza di informazioni sulla presenza di uranio e altri agenti nocivi, chiama Filomeni a Baghdad.
Il generale Vannacci «non aveva neanche la possibilità di organizzarsi il sistema di gestione della sicurezza nei luoghi di lavoro, come è previsto dalla 81/2008. Non poteva nominare il medico competente, né gli addetti al servizio prevenzione e protezione», racconta Filomeni a “Il Fatto Quotidiano”.
Lo scaricabarile dei vertici militari
Sulla presenza dell’Uranio Impoverito sul territorio iracheno, era compito del Comando Operativo Interforze, il COI, fare i campionamenti sul suolo. Il generale Vannacci non aveva questi poteri, spiega il tenente colonnello. Affidando al generale di divisione l’incarico di “datore di lavoro”, il ministero della Difesa scarica la responsabilità della sicurezza dei militari sull’ufficiale sul campo.
Non avendo mai avuto i risultati delle analisi sul suolo, per mitigare il rischio, Vannacci ha più volte chiesto al COI che le missioni non durassero più di sei mesi. Molti soldati, invece, sono rimasti anche nove, dieci mesi, un anno. Mancavano anche i visti per i voli, rivela Filomeni.
La task force di soldati informatici
La mancata valutazione dei rischi sui teatri delle operazioni ha convinto a parlare anche un altro soldato, che ha voluto mantenere l’anonimato.
Al rientro dalla Bosnia, la Difesa assegnò il militare al Centro di calcolo dell’Esercito, alla ricezione dei dati dei commilitoni ammalati a causa dell’UI. Al Centro di calcolo la task force di informatici elaborò un database. Fino allora, il conteggio dei militari in Bosnia era avvenuto su cartaceo. Molti soldati furono conteggiati più volte. Altri, come il personale del trasporto aereo, furono conteggiati anche per un solo giorno di presenza sul teatro di operazioni.
Questo metodo distorse il rapporto tra ammalati e presenze totali di soldati nei Balcani. Pertanto, il numero dei tumori ai militari rientrava nella media nazionale. Questo dato portò all’errore il prof. Franco Mandelli, nel corso della “Prima commissione d’Inchiesta sull’Uranio Impoverito”, che negò il nesso causale.
Un censimento importante per stabilire la causa/effetto dell’UI
Il database del Centro di calcolo dell’Esercito registra nomi e cognomi dei soldati in missione incrociati con i periodi, lo stato di salute, i decessi e le cause delle morti. Il censimento chiarì che alcune malattie erano di numero notevolmente superiore a quello della media nazionale e l’Uranio Impoverito era sicuramente una concausa. Grazie a questi dati, il prof. Mandelli rivide, poi, il nesso causale nelle successive relazioni alla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito.
Una copia di quel file il nostro militare la consegnò a Leggiero. Un censimento importante, che l’Osservatorio Militare aggiorna di continuo.
«Intanto i ragazzi muoiono – commentano Leggiero e Riccio – ma questa volta saranno la gente ed i generali, quelli degni della nostra Italia, a darci la forza per cambiare le regole e per davvero».
Soldati vittime uranio impoverito: assistenza legale
L’ONA, Osservatorio Nazionale Amianto, con il suo dipartimento di assistenza e tutela delle vittime dell’uranio impoverito, svolge il servizio di assistenza legale.
Il servizio di assistenza legale delle vittime dell’uranio impoverito è svolto dall’ONA Ricerche e Sviluppo Srl, con il dipartimento vittime uranio impoverito rappresentato da Lorenzo Motta. Dopo aver approfondito su questo giornale sulla tutela legale vittime uranio impoverito.