martedì, Aprile 29, 2025

Microplastiche nel cervello: riscontrate in quantità allarmanti, il 50% in più rispetto a otto anni fa

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UNO STUDIO CONDOTTO DAGLI SCIENZIATI DELLA UNIVERSITY OF NEW MEXICO HEALTH SCIENCES E PUBBLICATO SULLA RIVISTA NATURAL MEDICINE HA PERMESSO DI ANALIZZARE CON NUOVE METODOLOGIE LA DISTRIBUZIONE DI MICRO E NANO PARTICELLE IN CAMPIONI DI TESSUTI DI FEGATO, RENE E CERVELLO
 

Le microplastiche (MP) e i pericoli per l’uomo e per l’ambiente

Nei tessuti estratti da corpi umani sottoposti ad autopsia, in due diversi periodi temporali, era evidente la presenza di sostanze plastiche. Microparticelle (microplastiche) sono state trovate nel fegato, nei reni e in quantità maggiore nella materia grigia. In totale sono stati analizzati cinquantadue campioni di cervello.

Una scoperta che lascia perplessi perché, rispetto agli anni passati, il quantitativo di queste sostanze nell’organo cerebrale è aumentato del 50%, pari all’equivalente di un intero cucchiaino di plastica. Le particelle, principalmente di propilene, misuravano tra i 5,5 e i 26,4 micrometri. (Un micrometro equivale a 1 millesimo di millimetro).

Lo studio ha anche dimostrato che i cervelli di individui affetti da demenza presentavano una concentrazione maggiore di microplastici rispetto ad altri. Anche se, per stabilire con certezza la relazione causale saranno necessarie ulteriori ricerche tra salute neurologica e microplastiche.

“Le concentrazioni che abbiamo riscontrato nel tessuto cerebrale di individui normali, che avevano un’età media di circa 45 o 50 anni, erano di 4.800 microgrammi per grammo di materia, vale a dire lo 0,48% in peso – ha affermato Matthew Campen, coautore principale dello studio e professore ordinario di scienze farmaceutiche all’l’Università del New Mexico –. Rispetto ai campioni delle autopsie del 2016, si tratta del 50% in più, il che potrebbe significare che il nostro cervello oggi è costituito al 99,5% da tessuto celebrale e il resto è plastica”.

Un’altra prova che la quantità di microplastiche sta aumentando ulteriormente

Nel 2019 Mattew Campen, tossicologo, si recò con suo figlio di 12 anni nelle montagne di San Juan per lavorare a un progetto scolastico riguardante le microplastiche. Hanno confrontato diversi campioni d’acqua raccolta in un barattolo di vetro in posti differenti lungo il fiume. Dopo l’analisi trovarono microplastiche nei campioni d’acqua ma, con stupore e sgomento del padre, anche in quelli prelevati della foresta di San Juan apparentemente incontaminata.

Cosa sono le microplastiche?

Il termine microplastica fu coniato nel 2004 nel documento “Lost at Sea: Where Is all the Plastic?”, dal biologo marino Richard Thompson. Il ricercatore scoprì insieme con altri colleghi piccoli frammenti di plastica comune abbondanti lungo la costa del Regno Unito.

In seguito, confrontò i campioni di plancton moderni con quelli degli anni ’60 e constatò che la quantità di microplastiche da allora era aumentata ulteriormente. Le microplastiche sono minuscole particelle che inaliamo, ingeriamo e possono permeare nel nostro organismo anche attraverso la cute. Sono state trovate nel sangue, nel latte materno, nello sperma, nei follicoli ovarici. Purtroppo, queste particelle hanno invaso e contaminato mari, oceani, corsi d’acqua, suolo e addirittura l’aria che respiriamo.

Ma in che modo?

La plastica è un materiale che l’uomo utilizza per vari impieghi: edilizia, giocattoli, agricoltura, automobili, packaging, tessuti e, a seconda dell’uso, viene prodotta in diverse dimensioni (frammetti, sfere, fibre). Inoltre, le microplastiche si riproducono intenzionalmente in dimensioni ridotte per essere utilizzate nei cosmetici, nelle vernici, nelle paste abrasive e nei fertilizzanti.

Poi ci sono microplastiche secondarie che derivano dall’usura e dal deterioramento di materiali come copertoni o tessuti sintetici. Queste costituiscono la quantità maggiore di microparticelle contenute nell’ambiente sia per la frammentazione sia per il non corretto smaltimento.

Le microplastiche contenute nelle acque derivano da sostanze utilizzate nei prodotti di consumo come i polimeri che contengono additivi per modificare il colore dei tessuti o migliorarne la resistenza al calore, all’invecchiamento o a renderli ignifughi. Gli oceani sono diventati il principale accumulo di rifiuti plastici e, secondo i dati, rappresentano l’80% del totale dei materiali di scarto.

Molti di questi materiali plastici galleggiano nell’oceano e sono continuamente esposti al vento, ai raggi solari e alle onde e questo provoca la loro frammentazione in microplastiche che inquinano le acque perché sono troppo piccole per essere trattenute dai sistemi di depurazione. Di conseguenza contaminano anche le acque dolci, i sedimenti, il terreno e l’aria.

Le prime prove della pericolosità dell’esposizione

Le prime prove del fatto che le microplastiche possono provocare danni all’organismo risalgono agli anni ’70 quando un gruppo di lavoratori, in seguito a un’esposizione a fibre sintetiche, sviluppò problemi polmonari. Successivamente, in uno stabilimento del Rhode Island (Stati Uniti) alcuni dipendenti che maneggiavano il flock (una polvere ricavata da fibre di nylon per modificare la consistenza dei tessuti) svilupparono una malattia polmonare poi denominata come “polmonite del lavoratore del flock”.

Esposizione alle microplastiche

Siamo continuamente esposti alle microplastiche non solo attraverso l’ambiente ma anche tramite i cibi, i tessuti e i cosmetici. Il documento dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) sulle microplastiche (MP) presenti negli alimenti riporta la loro concentrazione riscontrata in:

  • pesce, la concentrazione varia da 1 a 7 microgrammi MP per grammo di pesce ed è misurata nello stomaco e nell’intestino che rappresentano il sito principale di accumulo delle MP;
  • gamberi, 0,75 microgrammi di MP per grammo;
  • bivalvi, tra 0,2 e 4 MP microgrammi di MP per grammo.

Sulla base di questi dati, EFSA ha effettuato una stima dell’esposizione umana alle microplastiche considerando il consumo di una porzione da 225 grammi di cozze (poiché le cozze sono consumate senza la rimozione dei visceri) e usando la più alta concentrazione di MP rilevata nei molluschi. In tal modo si è calcolata un’ingestione di 900 pezzi di MP.

Le MP sono state riscontrate anche in altri alimenti:

  • sale, con concentrazioni comprese fra 0,007 e 0,68 microgrammi MP per grammo;
  • birra, in cui fibre, frammenti e granuli di MP ammontano a 0,025, 0,033 e 0,017 microgrammi per millilitro;
  • miele, 0,166 microgrammi per grammo;
  • acqua in bottiglia, 94,37 microgrammi MP per litro;
  • acqua del rubinetto, 4,23 microgrammi MP per litro.

Dati sperimentali sugli organismi marini hanno evidenziato che le MP possono essere trasferite a vari livelli. Ad esempio, le farine di pesce vengono utilizzate in zootecnia per produrre mangimi destinati al pollame e ai suini. Ciò contribuisce alla diffusione delle MP anche in alimenti di origine non marina.

Effetti sulla salute

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità possono causare danni all’apparato respiratorio e digerente perché sono i primi con cui entrano in contatto. Ma le microplastiche contengono anche sostanze chimiche contaminanti e, molte di queste, sono interferenti che possono provocare danni al sistema endocrino, alla sfera riproduttiva, al metabolismo. Inoltre, possono anche trasportare, attaccati alla loro superficie, microrganismi in grado di causare malattie.

Studi sperimentali hanno dimostrato che, una volta assorbite, le MP si accumulano in fegato, reni e intestino con la capacità di provocare stress ossidativo, problemi metabolici, processi infiammatori, nonché danni ai sistemi immunitario e neurologico.

Infine, nella valutazione degli effetti negativi delle MP occorre tener conto della presenza delle sostanze chimiche in esse presenti o attaccate alla loro superficie, il cui rilascio nell’organismo rappresenta un potenziale rischio per la salute, e di eventuali organismi patogeni.

Preoccupazione al livello globale

Negli ultimi anni, la diffusa presenza delle MP ha destato preoccupazione a livello globale. La Commissione Europea (CE) ha richiesto all’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) di valutare i dati disponibili, allo scopo di presentare una proposta per limitare l’utilizzo delle MP primarie in prodotti di consumo, quali cosmetici, detergenti e fertilizzanti.

Quando sarà approvata, la restrizione avrà come effetto quello di ridurre le emissioni di MP di circa 400mila tonnellate nell’arco dei successivi venti anni. Considerando questo obiettivo, in Italia dal primo gennaio 2020 è stata vietata la vendita e la commercializzazione di cosmetici da risciacquo, come saponi, creme, gel esfolianti e dentifrici, contenenti MP.

Numero verde ONA

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