domenica, Luglio 13, 2025

La controversa gestione degli orsi in Trentino. Un fallimento politico e un appello per un intervento urgente

Ultime News


NEGLI ULTIMI ANNI, LA CONTROVERSA GESTIONE DEGLI ORSI IN TRENTINO HA ACCESO UN DIBATTITO SEMPRE PIÙ CRITICO. LA REINTRODUZIONE DI QUESTI GRANDI CARNIVORI, INIZIATA CON IL PROGETTO LIFE URSUS NEGLI ANNI ’90, HA DIMOSTRATO ENORMI LACUNE, IL CHE HA PORTATO A UN’ESCALATION DI CONFLITTI TRA LA FAUNA E LA POPOLAZIONE LOCALE. IL RECENTE AUMENTO DI INCIDENTI MORTALI E L’ABBATTIMENTO DI ORSI CONSIDERATI “PROBLEMATICI”, HA SUSCITATO L’INDIGNAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE E UNA CRESCENTE PREOCCUPAZIONE TRA I CITTADINI.IN QUESTO CONTESTO, L’ALLEANZA ANTI SPECISTA E IL GRUPPO ORSO, FONDATO DA FRANCO TASSI, PRESIDENTE STORICO DEL PARCO NAZIONALE DEGLI ABRUZZI, HANNO RIVOLTO UN APPELLO AL PARLAMENTO ITALIANO, CHIEDENDO IL COMMISSARIAMENTO DELLA GESTIONE DELLA FAUNA SELVATICA IN TRENTINO. L’OBIETTIVO È FERMARE UN CICLO DI ERRORI CHE, SOTTO IL PRETESTO DI GARANTIRE LA SICUREZZA PUBBLICA, STA MINANDO LA BIODIVERSITÀ E IL PATRIMONIO NATURALE DEL TERRITORIO

Il fallimento del progetto Life Ursus e la controversa introduzione forzata degli orsi

Il progetto Life Ursus nasceva con un intento lodevole: restituire l’orso bruno alle Alpi centrali, dove la specie era stata sterminata a causa della caccia indiscriminata e della progressiva distruzione del suo habitat naturale. Questa iniziativa, che in origine aveva suscitato grande entusiasmo e aspettative positive, si è presto trasformata in un esempio emblematico di malagestione.

Gli orsi reintrodotti non erano, infatti, discendenti della popolazione originaria del Trentino ma esemplari prelevati dalle foreste slovene, un ambiente meno antropizzato (meno influenzato dall’attività umana), dove le condizioni di vita sono più favorevoli.

Il trasferimento forzato di questi animali in un territorio come quello trentino, fortemente urbanizzato e caratterizzato da una densa attività turistica, ha generato una serie di tensioni che le autorità locali non sono state capaci di gestire in modo efficace. 

I plantigradi hanno iniziato ad avvicinarsi ai centri abitati, attratti da risorse alimentari come rifiuti abbandonati o coltivazioni di frutta, aumentando così il numero di incontri pericolosi tra uomo e animale.

Ebbene, mentre in altri Paesi, come gli Stati Uniti, l’orso è una risorsa turistica e culturale, simbolo di una natura selvaggia e protetta, in Trentino la sua presenza è stata percepita come una minaccia. La gestione miope delle autorità locali ha preferito ricorrere agli abbattimenti come soluzione principale, ignorando completamente le alternative più etiche e sostenibili che avrebbero favorito la convivenza.

Critiche e proposte alternative 

Franco Tassi, fondatore del Gruppo Orso Italia, aveva da tempo sollevato critiche riguardo alla gestione tecnocratica e superficiale della reintroduzione degli orsi in Trentino. Secondo il direttore storico del Parco Nazionale degli Abruzzi, la via da seguire sarebbe dovuta essere quella di favorire un ritorno graduale e naturale dei plantigradi, facilitato dalla creazione di corridoi ecologici che collegassero le aree protette della Slovenia e del Trentino. Questa soluzione avrebbe permesso agli animali di trovare spontaneamente il loro habitat senza ricorrere a interventi artificiali e forzati.

La proposta di Tassi non si limitava alla sola conservazione della specie, ma puntava anche a ridurre i costi e a limitare i conflitti tra questi affascinanti mammiferi e le comunità locali. Creare spazi naturali interconnessi avrebbe consentito agli orsi di adattarsi all’ambiente alpino senza la pressione di vivere in un territorio fortemente antropizzato.

Tuttavia, le autorità locali hanno preferito una gestione più rapida e invasiva, basata su tecnologie come i radiocollari, le trappole e l’uso di anestetici, scelte che hanno trascurato completamente la complessità comportamentale ed ecologica di una specie sofisticata come l’orso.

Questo approccio meccanicistico ha escluso la popolazione locale dal processo decisionale, privandola della possibilità di comprendere i vantaggi della convivenza con una specie così emblematica. Ma c’è di più.

Chi ha paura dell’orso cattivo?

La mancanza di educazione ambientale e di informazione adeguata ha portato a un clima di timore e diffidenza nei confronti degli orsi. Le politiche messe in atto hanno trasformato questi animali in oggetti di sorveglianza, numeri da controllare attraverso sistemi tecnologici, anziché essere riconosciuti come elementi vitali di un ecosistema che richiede equilibrio e rispetto.

Questa gestione fallimentare ha avuto come conseguenza non solo il mancato raggiungimento degli obiettivi di conservazione, ma ha anche ostacolato la possibilità di una vera coesistenza tra uomo e orso. Questi, infatti, non possono essere considerati semplici soggetti di studio o elementi da monitorare, ma attori cruciali in un delicato equilibrio naturale. La loro sopravvivenza non dipende solo dalla protezione diretta, ma dalla loro integrazione nel paesaggio alpino e dalla capacità delle comunità umane di adattarsi alla loro presenza, riconoscendo il valore ecologico e culturale che rappresentano.

Il risultato delle scelte della Provincia Autonoma di Trento è stato disastroso: la crescente tensione tra la popolazione e gli orsi ha raggiunto livelli tali che oggi la convivenza tra uomo e fauna sembra impossibile.

Incidenti prevedibili e prevenzione trascurata

Uno degli eventi più tragici legati alla fallimentare gestione degli orsi in Trentino è stato l’attacco subìto da Andrea Papi, un giovane atleta ventiseienne, azzannato mentre correva sui sentieri montani nei pressi di Caldes, in Val di Sole, nell’aprile del 2023. L’aggressione da parte dell’orsa JJ4 ha messo in luce le gravi inefficienze del sistema di prevenzione e di gestione del rischio legato alla presenza dei grandi carnivori.

Nonostante fossero state pubblicate mappe che indicavano le zone frequentate da questi animali, queste non sono state utilizzate adeguatamente per chiudere i percorsi più pericolosi, in particolare quelli abitualmente attraversati dalle mamme orsa con i loro cuccioli, rendendo così gli scontri tra uomo e animale pressoché inevitabili.

Risultato? JJ4, dopo il tragico incidente, è diventata l’emblema del conflitto crescente tra la popolazione e la fauna selvatica. La sua uccisione, decisa con un’ordinanza della Provincia, ha suscitato numerose polemiche.

L’appello per il commissariamento e l’adozione di un approccio scientifico


Le associazioni animaliste, tra cui Alleanza Anti-Specista, Gruppo Orso Italia, Earth Odv, e altre realtà impegnate nella tutela della fauna, denunciano chiaramente i continui fallimenti nella gestione della fauna selvatica in Trentino.

Secondo questi gruppi, risulta ormai evidente che l’amministrazione attuale debba essere commissariata e la gestione degli orsi affidata a esperti qualificati nel campo della biologia, dell’etologia e della conservazione. Solo un team di specialisti può infatti sviluppare un piano d’azione capace di promuovere una convivenza armoniosa tra l’uomo e l’orso, con un approccio che rispetti le esigenze ecologiche e comportamentali della specie.

Le associazioni sostengono la necessità di un monitoraggio non invasivo degli orsi, una gestione accurata dei corridoi ecologici, e il coinvolgimento attivo delle comunità locali. 

Evidenziano inoltre l’importanza di adottare misure preventive concrete, come l’installazione di cassonetti anti-orso e la chiusura temporanea delle aree più sensibili durante i periodi critici, evitando così ulteriori incidenti e abbattimenti, che considerano soluzioni affrettate e inadeguate. Parallelamente, sottolineano che l’educazione ambientale deve essere al centro dell’intervento, per sensibilizzare i cittadini sui benefici che la presenza dell’orso comporta per l’equilibrio ecologico e diffondere buone pratiche che aiutino a prevenire il conflitto tra uomo e animale.

Le associazioni firmatarie, tra cui Animal Aid Italia, ValleVegan, Anonymous for the Voiceless, e altre, ritengono che solo attraverso una gestione più competente e responsabile si possa garantire la coesistenza pacifica tra uomo e fauna selvatica.

La black bear’s list

Concludiamo con alcune cifre significative. In Trentino, decine di esemplari, come Irma, Brenta, Vida, Daniza e molti altri, sono stati uccisi o sono scomparsi misteriosamente negli ultimi anni, vittime di avvelenamenti o di sparizioni inspiegabili.

Solo nel 2016, tre plantigradi sono morti per avvelenamento, un chiaro segno di come il conflitto tra uomo e natura si sia trasformato in una guerra silenziosa e crudele. Esistono, inoltre, numerosi casi di questi grandi carnivori mai più localizzati: MJ3, DJ4, e Joze, per citarne alcuni, sono scomparsi tra il 2006 e il 2013, lasciando un vuoto che testimonia l’incapacità di monitorare adeguatamente la popolazione di questi animali.

A questa lista vanno aggiunti gli esemplari catturati e detenuti nella struttura di Casteller, come M49, JJ4, e l’orsetto Nino, oltre all’uccisione dell’orsa KJ1, madre di tre cuccioli, il cui destino è segnato dalla mancanza delle cure materne fondamentali per la loro sopravvivenza.

Questi numeri, purtroppo, non rappresentano soltanto statistiche, ma incarnano le gravi conseguenze di una gestione che ha preferito percorrere la via più semplice, ignorando soluzioni più sostenibili ed etiche. Se non si agirà con urgenza, questa lista è destinata a crescere, a scapito non solo della biodiversità, ma anche del già precario equilibrio che regola la convivenza tra l’uomo e la fauna selvatica.

Numero verde ONA

spot_img
spot_img
spot_img

Consulenza gratuita

    Articoli simili