venerdì, Giugno 13, 2025

Rapporto Greenwashing: i numeri – ingannevoli – del marketing “verde”

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IL RAPPORTO GREENWASHING 2025 PRESENTATO A CIRCONOMIA DENUNCIA LE STRATEGIE INGANNEVOLI DEL GREEN WASHING E IL RALLENTAMENTO DELLE NORME EUROPEE DI CONTRASTO CHE RESTANO LE PIÙ AVANZATE PER LA TUTELA DEI CONSUMATORI

Greenwashing: il marketing verde che fa male alla transizione ecologica

Negli ultimi anni, la crescente attenzione dei consumatori verso la sostenibilità ha spinto molte aziende a migliorare la propria immagine ambientale. Questo contesto ha favorito la diffusione del greenwashing, ossia la strategia comunicativa con cui aziende e istituzioni si presentano come sostenibili, senza supportare le affermazioni con azioni reali.

Non si tratta più solo di bugie plateali, ma anche di dichiarazioni vaghe, dati selezionati o narrazioni incomplete, capaci di costruire un’immagine verde ingannevole.

Le forme più comuni di greenwashing includono linguaggi vaghi, uso ingannevole di slogan “verdi” e la manipolazione dei dati ambientali. Il termine è stato coniato nel 1986 da Jay Westerveld. Noto già dagli anni ‘70, con esempi eclatanti come le campagne pubblicitarie delle grandi industrie durante l’Earth Day.

Poi negli anni ‘90, con l’aumento della coscienza ambientale, il fenomeno si è consolidato, spesso per ottenere vantaggi commerciali e reputazionali, come dimostra il caso ENI durante il Summit della Terra del 1992.

Il fenomeno, in continua evoluzione, è al centro del Rapporto Greenwashing 2025, che sarà presentato al festival Circonomia di Alba (22–24 maggio 2025), che si conferma un osservatorio privilegiato sui temi della transizione ecologica e dell’economia circolare.

Circonomia, il festival sulla transizione ecologica presenta il Rapporto Greenwashing 2025.

Il ruolo della normativa europea: tra ambizione e rallentamenti

Il Green Deal Europeo e le direttive collegate puntano a trasformare l’Europa nel primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Uno degli strumenti fondamentali è la trasparenza: obblighi di rendicontazione ambientale, verifica indipendente dei dati e criteri standardizzati per i cosiddetti claim ambientali.

Per contrastare il greenwashing, l’Unione Europea ha introdotto normative specifiche. Tra queste la Green Claims Directive, che impone alle aziende di basare le proprie dichiarazioni ambientali su prove scientifiche verificate.

Tuttavia, nel 2025 è arrivato un segnale controverso: l’iniziativa Stop the Clock, parte del pacchetto Omnibus, ha previsto un alleggerimento di alcuni obblighi normativi, posticipandone l’applicazione. Se da un lato questo intervento va incontro soprattutto alle piccole e medie imprese, dall’altro può compromettere la lotta al greenwashing.

Francesco Ferrante (nella foto), tra gli organizzatori del Festival e curatore del dossier chiarisce: «Semplificare le norme può essere utile, ma serve vigilanza: non deve diventare un liberi tutti” che penalizza chi è realmente trasparente».

Questo indebolimento del controllo con il pacchetto Omnibus, arriva proprio mentre la Commissione UE segnala che oltre il 50% dei claim ambientali sul mercato sono infondati o poco chiari.

La sostenibilità come strumento di marketing

Con l’aggravarsi della crisi climatica, cresce infatti anche l’urgenza di comunicare in modo trasparente le azioni a favore dell’ambiente. E si diffonde sempre più il greenwashing, con messaggi ambientalisti da parte di aziende, enti e istituzioni per nascondere o minimizzare gli impatti negativi delle proprie attività.

Come spiega Ferrante: «È paradossale ma comprensibile: più cresce l’attenzione dei cittadini verso la sostenibilità, più le aziende cercano di sfruttare l’ambiente per scopi di marketing».

Questo comportamento rischia però di compromettere il cambiamento reale: alimentare illusioni di sostenibilità significa ostacolare l’azione collettiva e confondere i consumatori, che si trovano a dover scegliere in un mercato dove i “prodotti verdi” sono spesso solo etichette senza fondamento.

Italia: controlli più severi contro le “bugie verdi”

In Italia, un ruolo decisivo è svolto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che negli ultimi anni ha iniziato a sanzionare le aziende che utilizzano slogan ingannevoli per promuovere la sostenibilità.

Le frasi come “100% ecologico”, “amico dell’ambiente” o “a impatto zero” vengono spesso impiegate senza basi scientifiche o senza una verifica indipendente. Anche evocare genericamente un impatto ridotto, senza dimostrarlo, può configurarsi come greenwashing.

Un passo ulteriore è stato fatto con la creazione, nel 2023, della Task Force contro il Greenwashing di ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Si tratta della prima struttura pubblica europea dedicata a identificare e contrastare le informazioni ambientali fuorvianti, con particolare attenzione al settore della finanza sostenibile.

L’obiettivo è fornire supporto a investitori, autorità e imprese per garantire che le strategie ESG (ambientali, sociali e di governance) siano fondate su dati affidabili e verificabili.

Greenwashing: come riconoscerlo e come difendersi

Secondo il Rapporto Greenwashing 2025, alcune pratiche diffuse comprendono:

  • uso di linguaggio vago: termini come “verde”, “sostenibile” o “eco-friendly” senza spiegazioni dettagliate o prove.
  • Omissione di informazioni rilevanti: ad esempio dichiarare solo le performance positive, tralasciando gli impatti negativi.
  • Compensazioni poco trasparenti: promesse di neutralità climatica basate su progetti di compensazione privi di certificazione.
  • Packaging ingannevole: confezioni che richiamano la natura (foglie, colori verdi) senza riscontro nei processi produttivi.

Per i consumatori, la vera arma resta la verificabilità: chiedere fonti, certificazioni, dati misurabili e confrontabili.

Numero verde ONA

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