LO SCRITTORE, NEL SUO LIBRO “UN ORTO AL CENTRO. EDUCARE ALLA SOSTENIBILITÀ”, RACCOGLIE LE TESTIMONIANZE DI COLORO CHE HANNO INTRAPRESO QUESTA LODEVOLE INIZIATIVA.
Sono trascorsi dieci anni dall’inizio di un ambizioso progetto di educazione ambientale, che prende vita a Marcianise, in provincia di Caserta in Campania. Si tratta di un orto didattico presente nel Centro Commerciale Campania, alimentato con il compost derivato dagli scarti organici di venticinque ristoranti e bar di uno dei centri commerciali tra i più grandi del Sud Italia.
Nato ad aprile 2011, a distanza di dieci anni, il progetto, ideato da alcuni studenti laureandi dell’Università Federico II di Napoli, è entrato nel cuore di migliaia di visitatori, ragazzi, educatori e progettisti, che si prendono cura di questo spazio di seicentocinquanta metri quadrati. Ad apprezzare l’iniziativa è anche Antonio Pascale, scrittore e agronomo, che racconta del decennio di questa esperienza nel suo libro “Un orto al centro. Educare alla sostenibilità”.
Il valore ambientale e sociale dell’orto didattico
“Le piante aiutano, vuoi quando stimolano i sensi, vuoi quando raccontano una storia lunga e ti vedi allora in prospettiva, più piccolo, meno arrogante”, così scrive Pascale nelle pagine del suo libro, ricco di testimonianze riguardanti questa coraggiosa esperienza locale, il cui intento è insegnare come impresa, comunità e sostenibilità possano alimentare circoli virtuosi a sostegno del territorio. E questo messaggio assume ancora più valore se si pensa che l’iniziativa nasce in un’area, tra Napoli e Caserta, che è conosciuta come “Terra dei Fuochi” e che è stata teatro di un’emergenza rifiuti senza precedenti nella storia italiana.
«Solitamente un centro commerciale è un non luogo o un luogo simbolo del consumo, dello spreco. Invece il Centro Commerciale Campania ha creato un orto, coinvolgendo molti volontari provenienti da diverse realtà sociali e formative. E tutti sono entusiasti – spiega Antonio Pascale-. Ho avuto l’occasione di visitare l’orto e ho accettato l’invito a scrivere di questo progetto perché sono entusiasta anche io».
L’orto didattico di Marcianise ha infatti un gran valore ambientale, ma anche sociale. «Le piante, il verde urbano, le isole urbane sono gran belle cose. Le piante stoccano CO₂ e forniscono acqua e ossigeno. Inoltre abituano i cittadini a impegnarsi per conoscere le dinamiche che regolano il rapporto tra piante e ambiente e tra piante e città. Senza piante non ci sarebbe vita e, allo stesso modo, con poche piante, le città vivono male. Se cambiamo l’ambiente in meglio anche i cittadini si adattano in meglio. Ci vuole pazienza e abitudine».
Antonio Pascale, tra romanzi e divulgazione scientifica
Oltre a essere scrittore, Antonio Pascale è un giornalista, autore teatrale e televisivo. Le sue opere sono caratterizzate da un alternarsi tra il racconto documentaristico e una narrazione più intimista ed emotiva. Tra i libri che hanno ricevuto maggiori riconoscimenti ci sono “La città distratta”, che ha ottenuto il Premio Onofri e il Premio Elsa Morante-isola di Arturo, e “La manutenzione degli affetti”, opera rientrata nella cinquina del Premio Viareggio e vincitrice del Premio Napoli.
Proprio attraverso questa sua variegata attività si occupa anche di divulgazione scientifica. «Mi occupo di divulgazione scientifica perché sono sicuro che molte delle mie opinioni siano sbagliate. Quindi mi piace usare metri per misurare ciò che penso – racconta lo scrittore -. I numeri non mentono, almeno non mentono come noi. La scienza si fonda sulla misurazione e sulla replicabilità. Ciò che è misurabile e quantificabile, ciò che può essere validato spesso si oppone alle nostre opinioni e a quanto scritto nei testi sacri. Il cambiamento climatico è misurato dalla scienza. È un fatto, come è un fatto che emettere CO₂ nell’atmosfera e usare fonti fossili sia un serio problema».
La foglia di fico. Storie di alberi, donne, uomini
Questi temi tornano anche nella sua opera “La foglia di fico. Storie di alberi, donne, uomini”, che lo ha reso uno dei protagonisti del Premio Campiello 2022.
“Negli anni ho cominciato a pensare che qualunque strada si possa intraprendere per la felicità, questa debba necessariamente passare per una pineta. Una pineta da attraversare e un mare da raggiungere”. Così scrive Antonio Pascale in questo romanzo, in cui compie una vera e propria indagine della condizione umana, usando, però, come espediente le piante.
«È un romanzo composto da dieci racconti – spiega Pascale-. Ogni racconto ha una pianta come punto cardinale. Il motivo è semplice: le piante, per varie ragioni, contengono dei simboli che raccontano chi siamo e cosa succede alle nostre vite».
Infatti, come racconta lo stesso scrittore, il suo intento è stato quello di indagare il mito di fondazione, raccontandolo attraverso le cose elementari. E le piante possono offrire questo sguardo elementare perché contengono dei simboli ancestrali. «Sono simboli ancestrali, coltelli affilati in grado di eliminare tutte le sovrastrutture culturali e andare all’essenziale -commenta lo scrittore -. Dieci piante, dieci simboli, dieci storie, attraverso cui si affrontano varie tematiche:
- l’amore;
- il trauma e il modo in cui orienta la nostra vita;
- l’angoscia esistenziale;
- la democrazia e la nostra capacità di occuparci di questioni complesse;
- il post human, cioè capire se, per vivere meglio, dobbiamo smettere di essere umani;
- i conflitti;
- il Tempo e il Caos, che sono i veri protagonisti delle nostre vite, mentre la nostra volontà non è così onnipotente.
Cerco di indagare il nostro mito di fondazione, i nostri due progenitori scacciati dal giardino, caduti, miseri e vergognosi, umani e coperti da una foglia di fico».
Il rapporto tra la sua opera e l’orto didattico
Antonio Pascale chiarisce, però, come di questo mito non gli interessi il ritorno nel giardino incantato o l’altra vita che dovremmo meritarci, a patto di seguire il protocollo religioso. Il suo vero intento è quello di capire quali sono le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta.
«Non è una ricerca facile, perché prima bisogna capire se vivere è meglio di non esserci (ed è tutto da dimostrare) -chiarisce Antonio-. Ma se diamo per buona l’ipotesi che vivere è meglio di non esserci affatto, le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta sono tutte legate alla conoscenza. Quindi, il frutto che ci ha condannati alla sofferenza, alla nudità, alla vergona è il nostro maggiore alleato. La conoscenza è la nostra salvezza e, comunque, conoscendo, almeno non ci annoiamo».
E lo stesso concetto si ritrova anche in piccole iniziative, come quella dell’orto didattico di Marcianise. Non a caso, infatti, proprio lo scrittore, quando tratta del progetto, crea un parallelismo con questa sua ricerca: “L’orto risponde alla domanda essenziale: quali sono le ragioni che rendono la vita degna di essere vissuta?”.