martedì, Aprile 29, 2025

L’ibuprofene un pericolo per il mare. Gli antinfiammatori mettono a rischio le praterie marine

Ultime News

LE PRATERIE MARINE, POLMONI VERDI DEGLI ECOSISTEMI COSTIERI, AFFRONTANO UNA NUOVA MINACCIA: L’INQUINAMENTO DA FARMACI. UNO STUDIO DELL’UNIVERSITÀ DI PISA EVIDENZIA COME L’IBUPROFENE, LARGAMENTE UTILIZZATO DURANTE LA PANDEMIA, PROVOCHI DANNI SIGNIFICATIVI A SPECIE VEGETALI MARINE ESSENZIALI, COMPROMETTENDO BIODIVERSITÀ E STABILITÀ AMBIENTALE

Un problema globale: l’ibuprofene e l’ambiente

L’inquinamento da farmaci rappresenta una problematica ambientale sempre più pressante, rimasta per lungo tempo sottovalutata. Tra le sostanze più diffuse e problematiche si annovera l’ibuprofene, un principio attivo della classe degli antinfiammatori non steroidei (FANS), largamente impiegato per il trattamento di dolore, infiammazione e febbre. Pur essendo estremamente efficace e sicuro nel contesto clinico, il suo crescente utilizzo solleva interrogativi significativi sul suo impatto ambientale.

Con un consumo globale che supera le 10mila tonnellate annue, l’ibuprofene si è affermato come uno dei medicinali più utilizzati al mondo, e la sua domanda è in continua ascesa. Tuttavia, una volta assunto dall’organismo, solo una parte del farmaco viene metabolizzata, mentre il resto viene espulso attraverso urine e feci. Questi residui finiscono inevitabilmente nei sistemi di trattamento delle acque reflue, ma le infrastrutture attualmente disponibili spesso non sono sufficientemente avanzate per eliminare completamente tali composti chimici.

Di conseguenza, l’ibuprofene e altri farmaci simili si accumulano progressivamente nei corsi d’acqua, negli oceani e in altri ecosistemi acquatici. Questo fenomeno genera un impatto diretto e potenzialmente devastante sulla flora e sulla fauna marina. Gli organismi che abitano questi ambienti, già vulnerabili a causa di cambiamenti climatici e inquinamento, si trovano esposti a concentrazioni di sostanze chimiche che possono alterare il loro metabolismo, la loro crescita e i loro cicli riproduttivi, compromettendo l’equilibrio dell’intero ecosistema.

Lo studio: gli effetti dell’ibuprofene sugli ecosistemi marini

Nello specifico, uno studio condotto dall’Università di Pisa e pubblicato sul Journal of Hazardous Materials ha approfondito l’impatto dell’ibuprofene su una pianta marina essenziale per gli ecosistemi costieri del Mediterraneo: la Cymodocea nodosa. Questa angiosperma marina, comunemente presente nelle “praterie sommerse” è fondamentale per la biodiversità e per la stabilità degli habitat costieri. Le fitte distese di questa pianta marina formano infatti una barriera naturale che attenua la forza delle onde, riducendo l’erosione costiera e mitigando gli effetti distruttivi delle mareggiate. Questo processo non solo preserva la conformazione delle coste, ma protegge anche insediamenti umani e infrastrutture che dipendono dalla stabilità litoranea.

Inoltre, le praterie marine giocano un ruolo fondamentale nel contrasto al cambiamento climatico grazie alla loro capacità di sequestrare grandi quantità di anidride carbonica (CO₂) dall’atmosfera. Questa capacità di immagazzinare carbonio, conosciuta come “carbonio blu”, le rende essenziali nella lotta contro il surriscaldamento globale.

Le piante marine “hotspot di biodiversità”

Un altro aspetto da non sottovalutare è legato alla produzione di ossigeno e al miglioramento della qualità dell’acqua. Attraverso la fotosintesi, queste piante rilasciano ossigeno nell’ambiente marino, garantendo condizioni favorevoli alla vita acquatica. Inoltre, contribuiscono a filtrare e purificare l’acqua, trattenendo sedimenti e sostanze inquinanti che altrimenti potrebbero compromettere la salute degli ecosistemi.

Infine, le praterie marine sono veri e propri “hotspot di biodiversità” (regioni geografiche che ospitano una straordinaria varietà di specie viventi, molte delle quali non si trovano in nessun’altra parte del mondo). Tra le foglie di Cymodocea nodosa trovano rifugio pesci, crostacei e altri organismi, molti dei quali sfruttano queste aree come nursery per la riproduzione e la crescita dei loro piccoli. Questo ruolo di supporto alla biodiversità ha implicazioni fondamentali per la salute delle catene alimentari marine e per la pesca sostenibile, da cui dipendono numerose economie costiere.

Purtroppo, lo studio ha evidenziato che l’ibuprofene, anche a concentrazioni relativamente basse, può compromettere gravemente la salute della Cymodocea nodosa. I ricercatori hanno osservato una riduzione nella crescita delle piante, alterazioni nei processi fotosintetici e una maggiore vulnerabilità agli stress ambientali. Questi effetti non riguardano solo le praterie marine, ma si ripercuotono sull’intero ecosistema marino, mettendo a rischio la biodiversità e l’equilibrio ecologico.

Ma cechiamo di capire come si è svolto lo studio.

Metodologia della ricerca

Per comprendere l’impatto del farmaco sulla Cymodocea nodosa, le piante sono state esposte a concentrazioni crescenti di ibuprofene (0,25, 2,5 e 25 microgrammi per litro) per un periodo di dodici giorni. Questo approccio sperimentale ha permesso di valutare i danni subiti dalle piante in condizioni controllate e di determinare il livello di tolleranza a uno dei farmaci più diffusi al mondo.

I risultati della ricerca hanno rivelato un quadro complesso e preoccupante. A concentrazioni più basse, pari a 0,25 e 2,5 µg/l (microgrammi per litro), l’ibuprofene induce uno stato di stress ossidativo, un fenomeno in cui l’equilibrio tra la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e i meccanismi antiossidanti viene alterato. Sebbene questo stress provochi danni cellulari temporanei, le piante sono in grado di attivare processi di riparazione.

Tuttavia, quando le concentrazioni raggiungono livelli elevati, pari a 25 µg/l, i danni diventano significativi e irreversibili. L’ibuprofene colpisce in maniera critica le membrane cellulari delle piante, compromettendone l’integrità strutturale e funzionale. Inoltre, l’apparato fotosintetico, essenziale per il processo di produzione energetica delle piante, subisce danni gravi. 

Il che, limita la capacità delle Cymodocea nodosa di svolgere le sue normali funzioni biologiche. Questo indebolimento rende le piante estremamente vulnerabili ad altri fattori di stress ambientale, amplificando le conseguenze negative della contaminazione.

L’importanza delle scoperte

La professoressa Elena Balestri, dell’Università di Bologna, coautrice dello studio, ha sottolineato l’importanza delle scoperte emerse: «Il nostro è il primo studio che ha esaminato gli effetti di farmaci antinfiammatori sulle piante marine. Questi risultati evidenziano la necessità di sviluppare tecnologie in grado di ridurre la presenza di ibuprofene e di altre sostanze chimiche negli ecosistemi naturali».

Il team ha inoltre studiato altri contaminanti, come microplastiche e metalli pesanti, rilevando effetti simili su organismi vegetali marini e terrestri. La dottoressa Virginia Menicagli, dell’Università di Pisa, esperta in ecologia costiera, sottolinea: «Non si tratta solo di un problema per le piante marine. La contaminazione da farmaci è un segnale di allarme per la salute degli ecosistemi e, indirettamente, per l’uomo».

Le soluzioni: prevenire l’inquinamento farmacologico

Come afferma la professoressa Balestri: «Solo un approccio integrato, che unisca ricerca scientifica, innovazione tecnologica e responsabilità sociale, potrà salvaguardare il delicato equilibrio degli ecosistemi marini per le future generazioni».

Una delle strategie principali consiste nel migliorare i sistemi di trattamento delle acque reflue, adottando tecnologie avanzate in grado di rimuovere efficacemente i residui farmaceutici e altri contaminanti prima che questi raggiungano gli ecosistemi naturali. Questo passaggio richiede investimenti significativi e una pianificazione accurata per aggiornare le infrastrutture esistenti, così da garantire una maggiore protezione dell’ambiente.

Parallelamente, è indispensabile una regolamentazione più rigorosa, che preveda l’introduzione di limiti precisi per la concentrazione di farmaci come l’ibuprofene nei corsi d’acqua. Questi standard dovrebbero essere stabiliti sulla base di evidenze scientifiche e tenere conto delle soglie di tolleranza delle specie più sensibili, così da preservare l’equilibrio ecologico.

Un altro aspetto cruciale è rappresentato dall’educazione e dalla sensibilizzazione dei cittadini. Promuovere un uso più responsabile dei farmaci può contribuire a ridurre la quantità di sostanze immesse nell’ambiente. Campagne di informazione mirate, ad esempio, potrebbero incentivare il corretto smaltimento dei medicinali scaduti o inutilizzati, evitando che vengano eliminati impropriamente attraverso il lavandino o la spazzatura.

Infine, la ricerca scientifica deve continuare a svolgere un ruolo centrale, con l’obiettivo di identificare con precisione le soglie di tolleranza per diverse specie marine e di sviluppare farmaci più biodegradabili e meno dannosi per l’ambiente.

Numero verde ONA

spot_img
spot_img
spot_img

Consulenza gratuita

    Articoli simili