venerdì, Maggio 23, 2025

Clima e geopolitica: ne parliamo con il prof. Geremicca, per la Giornata della Terra

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IN VISTA DELLA “GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA TERRA”, IL 22 APRILE, ABBIAMO INCONTRATO IL PROFESSOR ANDREA GEREMICCA, DIRETTORE DELL’ISTITUTO EUROPEO DELL’INNOVAZIONE PER LA SOSTENIBILITÀ (EIIS), IMPRENDITORE, DOCENTE E VOCE AUTOREVOLE SUI TEMI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO E DELL’INNOVAZIONE SOSTENIBILE

Giornata della Terra e Dazi: un dialogo necessario in un periodo delicato

In un momento delicato per le politiche ambientali globali, segnato dalla decisione degli Stati Uniti di applicare dazi sulle relazioni economiche con l’Unione Europea, il professor Andrea Geremicca, direttore dell’Istituto Europeo dell’Innovazione per la Sostenibilità (EIIS, acronimo inglese) ci espone il suo pensiero su rischi, contraddizioni e possibili scenari futuri.

Un colloquio focalizzato sul clima, non più solo dal punto di vista ambientale ma anche economico, sociale e geopolitico. Di seguito, in occasione della Giornata Internazionale della Terra, abbiamo rivolto alcune domande al professore.

Come valuta l’impatto della decisione degli Stati Uniti di introdurre dazi sull’UE in tema ambientale?

«È un precedente pericoloso: dice che in tempi di cooperazione internazionale per vincere una delle sfide più complesse della nostra specie, la geopolitica vale più della biosfera. Questo cambia le carte in tavola. Fino a ieri il clima era una sfida collettiva, ora rischia di diventare una guerra di standard. E l’Europa, che ha fatto del Green Deal il proprio biglietto da visita geopolitico, si trova improvvisamente disarmata in una trattativa che parla il linguaggio del dazio, non della cooperazione. Non siamo più in una gara virtuosa a chi salva il pianeta, ma a chi lo controlla nel breve periodo». 

Giornata della Terra è il nome usato per indicare il giorno in cui si celebra l’ambiente e la salvaguardia del pianeta Terra

In che modo l’aumento dei costi per tecnologie verdi incide sulle rinnovabili?

«Incide esattamente dove fa più male: sull’effetto rete. Le rinnovabili si espandono solo se scalano. Ma se le pale costano di più e i pannelli arrivano a singhiozzo, il sistema si deforma: aumentano i costi, rallenta la fiducia, si spostano gli investimenti. Ma c’è un rischio ancora più subdolo: che il green diventi elitario. Se solo le grandi utility possono permettersi l’installazione, la transizione perde la sua forza democratica. È come costruire Internet a pagamento: sì, funziona, ma solo per chi se lo può permettere».

Cosa osservare per evitare una battuta d’arresto?

«Serve monitorare dove si spezza la catena del valore. Non solo nelle fabbriche o nei mercati finanziari, ma nel capitale umano, nei territori, nei centri di competenza. Se smette di crederci chi sta svolgendo questa transizione, chi la studia, chi la finanzia… allora anche i numeri iniziano a crollare. Nei prossimi mesi conteranno meno gli indicatori macro e più quelli invisibili e valoriali: la velocità delle operazioni, la fiducia degli amministratori delegati, la capacità di attrarre talenti ancora attenti alla sostenibilità». 

Le politiche commerciali possono interferire con gli obiettivi climatici?

«Non possono. Lo fanno già. Ogni dazio, ogni barriera, ogni ritardo burocratico che colpisce le tecnologie verdi ha un equivalente in CO₂. Se un progetto eolico salta perché i materiali arrivano tardi o costano troppo, quello spazio energetico verrà riempito da combustibili fossili. Le politiche commerciali sono diventate un acceleratore o un freno della curva climatica».

Di fronte a queste criticità, che tipo di strategia dovrebbe adottare l’Europa?

«L’Europa ha oggi l’occasione di dimostrare che sostenibilità e competitività non sono alternative, ma due facce della stessa strategia. A questo si riferisce il Competitiveness Compass, una bussola pensata per orientare la crescita nei settori strategici, allineando norme, fondi pubblici e investimenti privati. In altre parole: non si tratta solo di difendere un modello, ma di rafforzarlo. Investire nella transizione ora significa anche rafforzare la capacità dell’Europa di scegliere il proprio futuro  con regole chiare, tecnologie pulite e filiere affidabili, tutto questo mitiga il rischio delle imprese nel lungo periodo».

Cosa significa “mobilitare risorse interne”?

«Significa trattare il territorio non come un costo, ma come un asset.
Significa vedere in ogni edificio pubblico una potenziale comunità energetica. In ogni scuola, un laboratorio. In ogni comune, un acceleratore.
Significa attivare l’economia del possibile: riqualificare, riconvertire, rigenerare. Non servono solo soldi: servono procedure che funzionano, persone che conoscono, patti locali. Ogni euro mobilitato deve diventare un progetto visibile, replicabile, misurabile».

Quali nuove alleanze può costruire l’Europa?

«Le alleanze del futuro non nasceranno dalla forza, ma dalla fragilità condivisa. Clima, energia, approvvigionamenti: sono sfide globali che nessuno può affrontare da solo. L’Europa ha oggi l’opportunità di costruire relazioni nuove, basate non più sull’aiuto, ma sulla reciprocità: co-progettare tecnologie sostenibili, co-produrre energia pulita, co-certificare filiere etiche. In molte regioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina c’è talento, domanda e risorse naturali. Se trattate come partner, e non come fornitori, queste aree possono diventare protagoniste della transizione insieme all’Europa».

Ringraziamo il professor Andrea Geremicca (EIIS), che in occasione della Giornata della Terra, ci ha permesso di approfondire le sfide attuali delle politiche ambientali, alla luce dei recenti dazi imposti dagli USA all’UE.

Numero verde ONA

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