A ROMA, SOTTO IL RIONE TREVI E A POCHI PASSI DALLA CELEBRE FONTANA, SI CELA UN GIOIELLO NASCOSTO: IL “VICUS CAPRARIUS”, NOTO ANCHE COME “LA CITTÀ DELL’ACQUA”. UN TEMPO, QUESTA STRUTTURA RAPPRESENTAVA UN ESEMPIO DI SOSTENIBILITÀ E GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE CHE POTREBBE ISPIRARE IL NOSTRO PRESENTE. OGGI, IL “VICUS CAPRARIUS” OFFRE L’OCCASIONE DI RISCOPRIRE NON SOLO IL PASSATO GLORIOSO DI ROMA, MA ANCHE DI RIFLETTERE SUL VALORE DELLA SOSTENIBILITÀ TURISTICA E SULLE LEZIONI DI EQUILIBRIO CON LA NATURA CHE CI HANNO LASCIATO GLI ANTICHI ROMANI
Un’eredità idrica millenaria: la storia del “Vicus Caprarius” e dell’acquedotto “Virgo”
Il Vicus Caprarius, conosciuto anche come la “Città dell’Acqua”, rappresenta un prezioso scrigno di memoria storica e ingegneria antica, profondamente connesso al genio idraulico dell’Acquedotto Vergine (Aqua Virgo).
Questo capolavoro, edificato nel 19 a.C. durante il principato di Augusto, si distingue non solo per la sua impressionante funzionalità, ma anche per l’aura leggendaria che lo avvolge. Secondo le cronache augustee, il nome “Virgo” deriverebbe dalla scoperta di una sorgente da parte di una giovane vergine, un episodio che suggella la fusione tra mito e tecnologia nel contesto dell’antica Roma.
L’acquedotto si estendeva per circa 20 chilometri, attingendo alle sorgenti situate nelle rigogliose campagne del Lazio e utilizzando la forza di gravità per trasportare acqua cristallina fino al cuore dell’Urbe. La progettazione esemplare sfruttava il naturale declivio del terreno, eliminando pertanto la necessità di pompe o dispositivi meccanici, e incarnava una concezione di sostenibilità ante litteram.
Questo equilibrio tra ingegneria e rispetto per l’ambiente era parte integrante della visione urbanistica romana, che mirava a coniugare efficienza e armonia con il paesaggio circostante.
A Roma, l’Acquedotto Vergine alimentava le grandi fontane pubbliche e i complessi termali del Campo Marzio, un’area di vitale importanza per la vita sociale e culturale della Caput Mundi. Tra le sue manifestazioni più iconiche oggi sopravvive la Fontana di Trevi, che rappresenta il punto terminale dell’acquedotto e un esempio straordinario di continuità tra passato e presente.
Con i suoi trionfali giochi d’acqua e la sua scenografica imponenza, la fontana celebra non solo l’abbondanza idrica, ma anche l’abilità dei Romani nel trasformare una necessità quotidiana in un’opera d’arte. Ma scopriamo il sito.
Vicus Caprarius: un microcosmo della Roma antica
Il Vicus Caprarius, nascosto a circa nove metri sotto il livello stradale, rappresenta un sorprendente viaggio nel tempo, una testimonianza tangibile della straordinaria ingegnosità urbana dei Romani. Scoperto casualmente negli anni Novanta durante i lavori di ristrutturazione di un cinema, il sito si è rivelato un complesso archeologico di inestimabile valore. Ha svelato infatti un intreccio di vita quotidiana e infrastrutture idriche che risalgono al II secolo d.C..
Il caseggiato romano: un “condominio” dell’antichità
Tra i resti più significativi emerge un caseggiato pluripiano, una sorta di proto-condominio romano che ospitava le famiglie dell’epoca. Queste insulae, strutture multifamiliari tipiche dei centri urbani dell’Impero, erano costruite con materiali economici ma robusti, come laterizi e malta.
L’organizzazione interna degli spazi rifletteva la stratificazione sociale: gli appartamenti più prestigiosi si trovavano ai piani bassi, mentre quelli superiori, meno costosi, erano spesso affollati e più vulnerabili agli incendi. Questa realtà architettonica racconta di una Roma dove l’ingegno urbanistico incontrava le esigenze di una popolazione in continua crescita.
Il castellum aquae e l’oculata gestione idrica
Al centro del Vicus Caprarius si erge il castellum aquae, un serbatoio idrico che fungeva da nodo nel sistema di distribuzione dell’acqua. Questo tipo di struttura era progettato per raccogliere, filtrare e redistribuire l’acqua che proveniva dagli acquedotti, in particolare dall’Acquedotto Vergine.
Le pareti interne del serbatoio erano rivestite da uno strato di cocciopesto, un materiale impermeabile capace di prevenire infiltrazioni e garantire la purezza della risorsa. Dai condotti alle vasche di decantazione, ogni elemento del sistema era progettato con un rigore scientifico che continua a stupire per la sua precisione ed efficienza.
Un modello di sostenibilità
La gestione idrica del Vicus Caprarius non si limitava a rispondere alle esigenze della popolazione, ma incarnava un vero e proprio modello di sostenibilità e ottimizzazione delle risorse.
L’acqua, bene prezioso e imprescindibile, veniva utilizzata con straordinaria parsimonia. I sistemi di decantazione e filtraggio permettevano di eliminare impurità, mentre la distribuzione accurata garantiva un flusso continuo anche nelle zone più periferiche.
Questo approccio, che integrava funzionalità e rispetto per l’ambiente, appare oggi più che mai un insegnamento prezioso, invitandoci a ripensare i nostri sistemi di gestione delle risorse idriche.
Mitri e leggende
Il Vicius Caprarius non è solo un sito archeologico di inestimabile valore, ma un luogo dove storia e leggenda si intrecciano. La sua denominazione, intrisa di mistero, trova radici in ipotesi che evocano immagini pastorali e simbolismi arcaici, che arricchiscono ulteriormente il racconto di questo luogo straordinario.
L’appellativo “Caprarius” potrebbe derivare dalla presenza, all’epoca, di capre nella zona. Animali che, nelle società rurali romane, erano associati alla fecondità e alla purificazione. Tuttavia, il termine potrebbe anche essere legato al culto simbolico dell’acqua come elemento vitale e rigenerativo. Le capre, spesso viste come creature in grado di raggiungere sorgenti pure anche nei luoghi più impervi, rappresentano un’immagine evocativa di connessione con le fonti d’acqua, rafforzando il legame spirituale tra la natura e il divino.
“Fontana di Trevi”, simbolo di continuità
Come accennato, il Vicus Caprarius trova un legame indissolubile con la Fontana di Trevi, che non è solo una delle opere più iconiche di Roma, ma anche un simbolo della profonda relazione tra la città e le sue risorse idriche. Il rito di lanciare una moneta nella fontana, ormai noto in tutto il mondo, affonda le sue radici in antiche credenze romane.
Si dice che il gesto assicuri il ritorno nella città eterna, ma la tradizione va oltre il semplice folclore: il flusso costante dell’acqua, così abilmente orchestrato dagli ingegneri romani, incarna il concetto di abbondanza e prosperità perpetua.
Questo rituale, carico di speranza e magia, richiama l’antica visione dell’acqua come elemento sacro, capace di purificare e garantire il benessere della comunità. Per i Romani, l’acqua non era solo una risorsa materiale, ma anche un dono divino, strettamente legato al ciclo della vita e al concetto di continuità.
Turismo sostenibile: un nuovo approccio per valorizzare il patrimonio
Oggi, la “Città dell’Acqua” continua ad affascinare i visitatori non solo per le sue vestigia architettoniche, ma anche per la capacità di evocare storie e leggende che trascendono il tempo.
Inoltre, rappresenta un’opportunità per promuovere un turismo consapevole e rispettoso. L’accesso controllato, le visite guidate e la conservazione dell’area sotterranea dimostrano come sia possibile valorizzare il patrimonio senza comprometterne l’integrità.