IL WORLD ECONOMIC FORUM HA INTRAPRESO UN’INDAGINE PER CAPIRE COSA TEMIAMO DI PIÚ POSSA ACCADERE TRA DIECI ANNI: I RISCHI PIÚ GRAVI SARANNO QUELLI AMBIENTALI.
Cosa ti aspetti che accada nei prossimi dieci anni? È questa la domanda che si pone il Global Risks Report. Il rapporto redatto dal World Economic Forum esplora i rischi più gravi che potremmo dover affrontare nel prossimo decennio partendo dal nostro contesto attuale, caratterizzato da rapidi cambiamenti tecnologici, dall’incertezza economica, da conflitti e, soprattutto, dal riscaldamento globale.
E purtroppo la percezione del futuro non è delle più ottimistiche. «Le tensioni geopolitiche, combinate con lo scoppio di ostilità attive in più regioni –sostiene Saadia Zahidi, amministratore delegato del World Economic Forum -, stanno contribuendo a un ordine globale instabile».
I risultati dell’indagine evidenziano, infatti, una prospettiva prevalentemente negativa per il mondo nei prossimi due anni, che dovrebbe peggiorare nel prossimo decennio. Ben il 54% degli intervistati prevede una certa instabilità e un rischio moderato di catastrofi globali, a cui si aggiunge un altro 30% che prevede condizioni ancora più turbolente.
Il pericolo percepito dei rischi ambientali
Tra i pericoli più temuti ci sono soprattutto quelli legati all’ambiente. Due terzi degli intervistati classificano le condizioni meteorologiche estreme come il rischio principale che, con maggiore probabilità, provocherà una crisi su scala globale nel 2024. Le popolazioni, già alle prese con conflitti letali, condizioni di caldo record, siccità, incendi e inondazioni, si sentono sempre più vulnerabili. E il malcontento sociale in molti Paesi è sfociato in proteste violente, rivolte e scioperi.
«I Paesi sono alle prese con gli impatti di condizioni meteorologiche estreme – continua Zahidi -, poiché gli sforzi e le risorse per adattarsi ai cambiamenti climatici non sono all’altezza del tipo, della portata e dell’intensità degli eventi legati al clima già in atto».
Quasi tutte le criticità ambientali sono state comprese nelle prime dieci posizioni della classifica dei rischi da temere per il prossimo decennio. Peggiora la gravità percepita dalla perdita di biodiversità e dal collasso degli ecosistemi, a cui si accompagna la paura per il cambiamento critico dei sistemi terrestri, per la carenza di risorse naturali e per l’inquinamento.
La diversa percezione d’urgenza tra generazioni
Tuttavia non tutti gli intervistati sono d’accordo sull’urgenza dei rischi ambientali. I più giovani tendono a classificare questi rischi in modo molto più elevato nel corso di un periodo di due anni rispetto ai gruppi di età più anziani. In più il settore privato evidenzia questi rischi come le principali preoccupazioni a lungo termine, in contrasto con gli intervistati della società civile o del governo che danno priorità a questi rischi su orizzonti temporali più brevi.
Purtroppo questa dissonanza nella percezione dell’urgenza fa sì che il processo decisionale non sia ottimale, aumentando così il pericolo di perdere momenti chiave di intervento. Il ritmo e la portata degli sforzi di adattamento ai cambiamenti climatici sono già insufficienti. Sempre più persone sono esposte a impatti ambientali ai quali potrebbero non essere in grado di adattarsi, alimentando in questo modo le migrazioni involontarie.
Implicazioni socioeconomiche dei rischi ambientali
Altre implicazioni socioeconomiche derivanti dai rischi ambientali ed evidenziate durante l’indagine sono danni cronici alla salute, diffusione di malattie infettive e la recessione economica.
In effetti, gli sforzi di adattamento nei Paesi in via di sviluppo potrebbero essere vincolati dalle finanze. I Paesi vulnerabili dal punto di vista climatico o inclini ai conflitti rischiano di essere sempre più esclusi dalle infrastrutture digitali e fisiche tanto necessarie, dal commercio, dagli investimenti “verdi” e dalle relative opportunità economiche. E man mano che le capacità di adattamento di questi Stati fragili si erodono, gli impatti sociali e ambientali vengono amplificati.
Ma l’ampliamento dell’accesso alle soluzioni di adattamento esistenti sarà essenziale per responsabilizzare le comunità locali. I trattati e gli accordi internazionali saranno, per gli intervistati, gli strumenti che più di ogni altri saranno utili a ridurre le emissioni e, di conseguenza, a evitare punti di “non ritorno”.
I cambiamenti climatici e ambientali potrebbero avere un impatto radicale sulla sicurezza alimentare, idrica e sanitaria, e sulla crescita economica. La crisi del costo della vita è anch’essa una delle principali preoccupazioni nelle prospettive per il 2024. I prezzi infatti potrebbero subire molteplici pressioni nei prossimi due anni: dalle condizioni di caldo estremo portate da El Niño alla potenziale escalation dei conflitti vivi. Nel lungo termine, il progresso dello sviluppo e il tenore di vita sono a rischio.
La paura per le tensioni geopolitiche
Inoltre, sulla scena internazionale, la variazione della produttività agricola e della disponibilità di acqua potrebbe alterare le alleanze commerciali globali attuali. Potrebbero diventare addirittura “merce di scambio” nei contenziosi sulla gestione dei flussi migratori tra Paesi, aggiungendo quindi un ulteriore livello di complessità alle dinamiche geostrategiche.
Le tensioni geopolitiche latenti, combinate con la tecnologia, porteranno quindi a nuovi rischi per la sicurezza. Lo spostamento dell’equilibrio di influenza negli affari globali è particolarmente evidente nell’internazionalizzazione dei conflitti. Qui le potenze cruciali presteranno sempre più sostegno e risorse per ottenere alleati politici. In questo panorama, si farà sempre più leva sulla disinformazione per ampliare ulteriormente i divari sociali e politici.
Il pericolo dell’incertezza e della mancanza di cooperazione
Nel prossimo decennio, man mano che cresce l’insoddisfazione per il continuo dominio del Nord del mondo, un insieme di Stati in evoluzione cercherà di esercitare un’influenza più decisiva sulla scena globale in più ambiti. Afferma così il proprio potere in termini militari, tecnologici ed economici.
Gli Stati del Sud del mondo sopportano il peso del cambiamento climatico, le conseguenze delle crisi dell’era pandemica e delle spaccature geoeconomiche tra le principali potenze. Il crescente allineamento e le alleanze politiche all’interno di questo gruppo di Paesi potrebbero influenzare sempre più le dinamiche della sicurezza, comprese le implicazioni per i punti “caldi” ad alto rischio: il conflitto tra Russia-Ucraina, quello in Medio Oriente e le tensioni su Taiwan.
«Il rapporto considera le implicazioni di questo mondo frammentato. Qui la preparazione ai rischi globali è sempre più critica ma è ostacolata dalla mancanza di consenso e cooperazione – conclude Saadia Zahidi-. Tuttavia, sebbene ciò generi incertezza nel breve termine, lascia anche spazio alla speranza. Accanto ai rischi globali e ai cambiamenti epocali in corso si trovano opportunità uniche per ricostruire la fiducia, l’ottimismo e la resilienza nelle nostre istituzioni e società».