Uranio impoverito: 352 morti e oltre 7mila malati
“Commissione parlamentare di inchiesta sull’Uranio Impoverito: presentata la relazione finale”. Il comitato presieduto dall’on. Gian Piero Scanu ha verificato ormai, sul piano giuridico, il nesso di causalità tra l’accertata esposizione all’Uranio Impoverito e l’effetto, i tumori che hanno provocato 352 morti e oltre 7mila malati tra i militari impegnati. Questo, soprattutto, nelle missioni internazionali all’estero, sia sul territorio italiano, come la Penisola Delta del Poligono di Capo Teulada, in Sardegna.
La relazione è passata con dieci voti a favore e due contro, quelli di Elio Vito (Fi) e di Mauro Pili (Misto). La decisione della Commissione Parlamentare di inchiesta sull’Uranio Impoverito è aspramente contestata dagli ambienti militari che insistono nel negare il nesso causa-effetto.
I contenuti della relazione illustrati in conferenza stampa da Scanu, nella quale sono state rilevate “sconvolgenti criticità”, relative alla sicurezza e alla tutela della salute dei militari, saranno trasmessi alla procura di Roma perché valuti eventuali ipotesi di reato.
Per commentare questo risultato, abbiamo raggiunto il colonnello Carlo Calcagni, ricoverato da dodici giorni alla clinica Breakspear Medical di Londra. Unico centro in Europa che cura la contaminazione da metalli pesanti e la MCS (Sensibilità Chimica Multipla), come certificato dal consolato italiano nel Regno Unito.
Calcagni risulta in servizio iscritto nel Ruolo d’Onore. Questo perché le sue patologie sono considerate per causa di servizio, contratte durante una missione internazionale di pace, peacekeeping, all’estero.
Nel 1996 Calcagni è partito per i Balcani, unico pilota del contingente italiano, per attività di soccorso e di pattugliamento. Ha ottenuto un encomio solenne per aver portato a termine tutte le missioni, anche in situazioni di grave pericolo.
Intervista al Colonnello Carlo Calcagni
Colonnello Carlo Calcagni, come commenta questo risultato?
«Siamo oggi a una svolta, almeno sulla carta, in maniera inattesa questa ennesima Commissione ha prodotto un documento di una rilevanza notevole in favore di chi, come me, ha svolto il proprio dovere in condizioni di mancata sicurezza, senza tutela alcuna, che si è sentito solo tradito da coloro che avevano il ruolo di difenderci».
Cosa si aspetta adesso?
«Mi auguro, per tutti i colleghi che hanno atteso, per chi ci ha già lasciato, per le famiglie non ascoltate ma lasciate sole con il loro dolore e per me stesso che, nonostante tutto il tempo perduto a lottare contro i mulini a vento. Sono grazie a Dio ancora qui a far sentire la mia testimonianza che tutto ciò che è stato documentato e sostenuto in modo forte dalla Commissione parlamentare possa dare avvio a misure più giuste».
Qualche timore a proposito?
«Che non sia, questa, una via per strumentalizzare chi soffre, a fini di potere o vendetta personale. Ma che possa essere davvero la strada che lo Stato ha il dovere di offrire a tutti coloro che hanno pagato con la propria vita il servizio alla nostra Patria».
Colonnello, qual è la sua situazione?
«Dalla biopsia, mi è stata riconosciuta una massiccia contaminazione di metalli pesanti, nanoparticelle di metalli pesanti trovate anche nel DNA».
La responsabilità è dei proiettili all’Uranio Impoverito “nel generare le nanopolveri che sono la vera causa di molte forme tumorali”. Conferma la Commissione di inchiesta nonostante il “negazionismo dei vertici della Difesa e gli assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle autorità di governo”.
«Gli italiani non avevano munizioni all’UI – risponde il colonnello – ma le avevano i nostri alleati che le hanno usate. In quelle zone noi poi abbiamo svolto operazioni di soccorso anche ai civili. Vedevamo gli americani con protezioni da marziani, avevano anche le mappe topografiche delle zone colpite da proiettili all’uranio depleto; noi non avevamo nessuna protezione e quindi non sapevamo di lavorare in un ambiente contaminato»
Crede che i suoi superiori, invece, ne fossero a conoscenza?
«Da militare non posso pensare che i miei superiori sapessero… a livello politico invece…»
All’ufficiale in Ruolo d’Onore è stata riconosciuta l’invalidità del cento percento, per neuropatie degenerative con Parkinson e insufficienza respiratoria: è stato operato ai polmoni, per cui Calcagni dorme attaccato a un ventilatore polmonare per l’ossigeno. È sottoposto alle flebo per almeno 4 ore al giorno. È in attesa di trapianto di midollo osseo dal 2010.
“Ma soprattutto pedala ancora”.
Un cartello esposto al Breakspear Medical cita: “Medicines, whithout which I do not survive. But it’s a bike that keeps me alive…” (Senza le terapie non posso sopravvivere ma è la bici che mi tiene vivo). Da sempre appassionato della biciletta, anche dopo le sue traversie il colonnello ha partecipato con il Gruppo Paralimpico della Difesa agli Invictus Games (evento sportivo ideato dal principe Harry) a Orlando in Florida, dove ha conquistato tre medaglie d’oro per l’Italia.
«Ho avuto la fortuna di avere un fisico atletico, sono stato anche paracadutista – ufficiale di complemento a Pisa – questo ha rallentato il diffondersi delle patologie».
Colonnello ma lei ha mai chiesto il risarcimento per i danni subiti?
«Ho chiesto una transazione bonaria, come prevede la legge, nel 2005 ma a oggi non ho ricevuto nessuna risposta».
Lo Stato, l’abbiamo già detto, ha riconosciuto però, la sua dipendenza da causa di servizio
«Mi è stata riconosciuta nel 2005, dalle commissioni mediche militari, anche per il parere espresso dal comitato di verifica del ministero delle Finanze, per il servizio svolto in Bosnia».
Ha chiesto il risarcimento senza fare causa allo Stato: quindi?
«Dodici anni dopo la richiesta di risarcimento, soltanto a giugno 2017 e dopo anni di solleciti e interrogazioni parlamentari, lo Stato Maggiore della Difesa, Direzione della Sanità militare, ha risposto che «la mia richiesta non può trovare accoglimento!».
Senza «motivare» una decisione tanto incredibile che non aveva certamente bisogno di 12 lunghissimi anni per essere presa: indubbiamente soltanto un modo per perdere tempo giocando con la nostra vita.
Come consulente della precedente Commissione Parlamentare di inchiesta, ho i documenti che riportano tutte le transazioni che invece tanti militari hanno ottenuto dallo Stato, oltre alle tantissime sentenze con le quali altri hanno ottenuto contestualmente sia il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, sia il risarcimento del danno».
Ricorrerà in giudizio?
«Adesso mi costringono a ricorrere in giudizio, ma ho perso dodici anni della mia vita; quello che più di tutto alimenta una profonda rabbia in chi come me ha sempre fatto il proprio dovere e salvato tante vite umane, è l’indifferenza dimostrata dai vertici politici, in questi 15 anni di malattia, visto che ho scritto più volte a tutti i presidenti del Consiglio, ministri della Difesa e presidenti della Repubblica, che si sono succeduti nel tempo, senza ottenere, mai, una “qualsiasi” risposta».
Grazie colonnello Calcagni, arrivederci.
Testimonianza di Carlo Calcagni al notiziario ONA News
Il Colonnello Carlo Calcagni, nella quinta puntata ONA News, ha illustrato tutti gli ostacoli che si frappongono al riconoscimento dei diritti delle vittime e dei loro familiari.
Un aspetto delicato è quello che tocca i figli di vittime del dovere non a carico, al momento del decesso del familiare. In alcuni casi, le domande vengono rigettate, sulla base di art. 6 della L. 466/1980 e su SS.UU. 22753/2018.
Ma entrambi questi appigli risultano non ammissibili, come sostiene l’Avvocato Bonanni e diverse Corti di merito.
Su questa problematica si è pronunciata anche la Corte di Cassazione. Nell’Ordinanza Civile Sez. 6 N. 15224 del 2021 ha chiarito, però, di non aver assunto ancora una posizione in merito.
Coloro che hanno subito danni per servizio in qualsiasi amministrazione dello Stato con esposizione ad amianto, metalli pesanti ed altri agenti nocivi, possono richiedere assistenza e così attivare il riconoscimento della malattia professionale, ovvero della causa di servizio, e poi il riconoscimento dello status di vittima del dovere.