mercoledì, Gennaio 22, 2025

Il Poligrafico dello Stato di Foggia, un’eccellenza, pericolosa per la salute

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LA CORTE D’APPELLO DI ROMA HA CONDANNATO INAIL E INPS PER L’ESPOSIZIONE ALL’AMIANTO AL POLIGRAFICO DELLO STATO DI FOGGIA, UN’AZIENDA STORICA, RICONOSCENDO UN RISARCIMENTO E SANCENDO IL DIRITTO ALLA TUTELA DEI LAVORATORI ANCHE DOPO L’ATTIVITÀ PROFESSIONALE

La Corte d’Appello di Roma ha confermato la condanna dell’INAIL, stabilendo un indennizzo di 15mila euro per malattia professionale, a favore di un ex dipendente del Poligrafico dello Stato di Foggia. L’uomo, 63 anni, ha contratto placche pleuriche a causa dell’esposizione prolungata all’amianto durante i suoi diciotto anni di lavoro nello stabilimento. Contestualmente, ha obbligato l’INPS ad adeguare la posizione lavorativa dell’ex lavoratore, riconoscendo l’importanza della tutela post-lavorativa.

«La Corte ha fatto valere il riconoscimento amianto sulla base degli atti di indirizzo del ministero del Lavoro e della previdenza sociale, che hanno accertato una esposizione dei lavoratori fino all’inizio delle bonifiche». Lo ha annunciato l’avv. Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) e legale d. O.G.. 

Un’eccellenza, pericolosa per la salute

Negli anni ’80 e ’90, lo stabilimento di Foggia, con circa 1.400 dipendenti, rappresentava un’eccellenza nella produzione cartaria nazionale. Sotto la vigilanza del ministero del Tesoro, l’azienda – allora ente pubblico economico – trasformava la cellulosa di paglia del grano del Tavoliere delle Puglie in carta destinata a usi istituzionali e ufficiali. 

Il processo produttivo prevedeva l’uso intensivo di cloro, necessario per lo sbiancamento della carta, ottenuto tramite celle elettrolitiche con separatori in amianto. Questo materiale, apprezzato per le sue proprietà isolanti e resistenti al calore, era considerato indispensabile per il funzionamento degli impianti. Tuttavia, ogni fase, dall’apertura manuale dei sacchi di asbesto fino alla miscelazione, si svolgeva in ambienti privi di adeguati sistemi di aspirazione. Di conseguenza, l’aria era costantemente satura di polveri sottili di amianto, esponendo i lavoratori a un pericolo continuo e silenzioso. 

Due decenni a contatto diretto con la fibra killer, in assenza di dispositivi di protezione

O.G., assunto a 20 anni come perito chimico cartaio, ha trascorso quasi due decenni in queste condizioni, senza dispositivi di protezione individuale efficaci. Operava in laboratori e reparti di trattamento termico, dove guanti, caldaie, valvole e tubazioni erano rivestiti con amianto. Anni di esposizione gli hanno causato placche pleuriche, una patologia inizialmente benigna ma che segnala inequivocabilmente l’esposizione all’amianto e può degenerare in asbestosi o mesotelioma. 

Una battaglia che coinvolge la collettività

Grazie all’avvocato Bonanni, che ha seguito la causa, la Corte d’Appello ha riaffermato un principio fondamentale: il diritto alla tutela del lavoratore deve proseguire anche dopo la fine del rapporto professionale. Questa sentenza non rappresenta solo una vittoria individuale, ma una battaglia collettiva contro un nemico invisibile e letale. 

«La battaglia per il riconoscimento del danno da amianto non riguarda solo l’individuo, ma coinvolge la collettività e la memoria di chi non ha avuto giustizia», ha affermato Bonanni.

Numero verde ONA

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