“LA PROSPETTIVA PENALISTICA NON HA SAPUTO OFFRIRE UNA TUTELA ALLE VITTIME DEL CONTAGIO DA FIBRE DI AMIANTO NÉ AI LORO PROSSIMI CONGIUNTI”. CON QUESTE PAROLE DI AMMISSIONE E IL DEPOSITO DELLA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE DA PARTE DEL SOSTITUTO PROCURATORE ANDREA ZANONCELLI E DEL PROCURATORE FABIO NAPOLEONE, SI È CONCLUSO L’ITER GIUDIZIARIO CHE HA COINVOLTO LO STABILIMENTO FIBRONIT DI BRONI
La vicenda penale avviata nel novembre 2009 contro dieci indagati per omicidio colposo e lesioni colpose, legata ai danni causati dall’amianto nello stabilimento Fibronit di Broni, si conclude definitivamente. Il procedimento, che coinvolgeva 470 persone offese tra morti e malati, è stato portato a termine con la firma del sostituto procuratore Andrea Zanoncelli e del procuratore Fabio Napoleone. L’ultimo atto, una richiesta di archiviazione, è stato depositato e ripercorre le tappe fondamentali di questa complessa indagine giudiziaria.
L’insanabile incertezza scientifica
Sebbene il caso fosse già sostanzialmente chiuso, la Procura ha voluto sigillare il procedimento con un ultimo atto che fornisce spiegazioni definitive. Le conclusioni della Cassazione hanno sottolineato l’insanabile incertezza scientifica che impedisce di stabilire nessi causali certi.
Pur riconoscendo che le vittime hanno contratto il mesotelioma pleurico a causa dell’amianto disperso nello stabilimento di Broni, non è stato possibile collocare con certezza il periodo di esposizione rilevante tra il 1981 e il 1985, quando gli imputati ricoprivano ruoli di responsabilità. Questa impossibilità di definire univocamente il legame temporale tra esposizione e sviluppo della malattia ha portato alla definitiva archiviazione del procedimento.
“Il tentativo, più storico che penalistico – commentano i magistrati -, che questa Procura ha inteso per oltre un decennio perseguire nell’intento di dare una risposta alla tragica strage consumatasi nel territorio del Comune di Broni e nella provincia di Pavia ha dunque trovato un ostacolo giudiziario insuperabile e in alcun modo potrebbe essere giustificata una prosecuzione di ulteriori attività di indagine o addirittura una nuova azione penale”.
Ripercorriamo la vicenda
Il caso ha origine da un’inchiesta del 2004, culminata nel giugno 2011 con la richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli imputati: Michele Cardinale, Lorenzo Mo, Dino Augusto Stringa, Teodoro Manara, Claudio Dal Pozzo, Giovanni Boccini, Guglielma Capello, Maurizio Modena, Domenico Salvino e Alvaro Galvani. Nel corso degli anni, i processi hanno riguardato solo alcuni degli indagati.
Quattro imputati sono deceduti, uno è stato dichiarato incapace di affrontare il processo, mentre gli altri sono stati assolti in vari gradi di giudizio. L’ultimo processo, concluso il 18 luglio 2022, ha confermato in via definitiva l’assoluzione in appello-bis, dopo che la Cassazione aveva ribaltato le precedenti condanne.
Siamo bombe a orologeria
“Tutti noi che viviamo o lavoriamo a Broni – ha commentato uno degli avvocati delle parti civili – siamo delle bombe a orologeria, speriamo solo di essere graziati per qualche motivo e che, in qualche modo, possa arrivare una qualsiasi forma di risposta dello Stato”.
Faremo opposizione alla richiesta di archiviazione
La tragedia della Fibronit rappresenta una ferita indelebile che nessuno può permettersi di ignorare, afferma l’avv. Ezio Bonanni. Non sono semplici cifre – 470 vittime – ma esistenze spezzate, famiglie devastate e una comunità irrimediabilmente segnata. L’archiviazione del caso non può né alleviare il dolore né dissolvere la responsabilità morale di una società che ha il dovere di proteggere i suoi cittadini con maggiore determinazione e giustizia.
«Non è ammissibile che lo Stato abdichi al suo compito di proteggere i cittadini e chiudere gli occhi davanti a una tragedia come questa significa perpetuare l’ingiustizia – ha aggiunto il presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto -. L’amianto uccide. È una certezza scientifica. E non è vero che non si possa rendere giustizia alle vittime».