DOPO L’UCCISIONE DI MAHSA AMINI SONO INSORTE PROTESTE IN TUTTO L’IRAN PER CONTRASTARE IL REGIME. MA LE RAGIONI DELLE DONNE IRANIANE RISCHIANO DI ESSERE SOFFOCATE CON LA VIOLENZA E IL SILENZIO DOPO IL BLOCCO DEI SERVIZI DI COMUNICAZIONE E DI INTERNET
Ventidue: questa è l’età di Mahsa Amini, ragazza curda di Saqqez uccisa a Teheran il 16 settembre dalla polizia morale, Gasht-e Ershad, per aver disobbedito alle regole del buon costume e non aver indossato correttamente il velo, hijab.
Ufficialmente deceduta per un attacco cardiaco, Iran Human Rights ha raccolto le testimonianze di chi era presente, i quali affermano che Mahsa sia stata picchiata dagli agenti sia nel furgone sia alla stazione di polizia. Lo dimostrano anche le fratture craniche che riportava Mahsa quando è arrivata in ospedale di Kasra, dove è morta dopo tre giorni di coma.
«È stata arrestata dalla polizia della buon costume per aver indossato male il velo – racconta Tina, ragazza di origine iraniana che vive a Parigi e che è protagonista di un video (vedi sotto) che si sta diffondendo in tutto il mondo -. Arrestano le persone per questo perché te lo impongono. Non esiste una scelta. È stata picchiata, poi è andata in coma ed è morta. Non è né la prima né l’ultima. Ma il popolo iraniano è stanco».
Le proteste delle donne iraniane e non solo
Donne, studenti e anche uomini stanno insorgendo contro il regime, dapprima nella provincia del Kurdistan iraniano e poi in altre località, da Teheran a Karaj, da Ilam a Kermanshah, da Isfahan a Rasht fino al sud-est del Paese. Si tratta di una delle manifestazioni più importanti dalla rivoluzione del 1979, ben più rilevante di quelle del 2009 e del 2019.
Si protesta contro le norme obbligatorie sull’abbigliamento imposte dalle autorità iraniane dopo la rivoluzione islamica. Queste prevedono che tutte le donne, indipendentemente da nazionalità e religione, debbano indossare il velo e abiti larghi per mascherare le loro figure in pubblico.
Così, in segno di protesta al regime degli ayatollah, alle parole #donnevitalibertà, molte manifestanti di ogni età sfilano senza velo e bruciano il loro hijab.
- Hadis Najafi, vent’anni, davanti alle forze dell’ordine si raccoglie i capelli biondi in una coda – anche lei, purtroppo, uccisa dalla polizia colpita da sei proiettili -;
- un uomo brucia uno striscione della Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, nella città meridionale di Shiraz;
- una ragazza senza velo sui social intona “Bella Ciao” in persiano.
Infine molte sono anche le donne iraniane che, in memoria di Mahsa, si tagliano i capelli, in segno di lutto come è usanza nella cultura curda. Il rito simbolico del taglio di ciocche di capelli, poi legate con fili colorati, è stato, riproposto anche in alcune città italiane.
Crisi economica e discriminazioni etniche
Le proteste nate dopo la morte di Mahsa Amini sono indubbiamente il risultato anche di anni di crisi economica che hanno colpito il Paese asiatico.
Nel 2017 gli iraniani erano scesi in strada per protestare contro l’aumento del costo della vita a fronte della svalutazione del riyal (la valuta ufficiale dell’Iran).
Due anni dopo era stata una riforma dei sussidi che, facendo crescere in maniera spropositata il prezzo dei carburanti, aveva spinto le persone a manifestare. Poi ci sono state rivendicazioni da parte di impiegati e operai per ottenere maggiori diritti o da parte degli agricoltori della regione di Isfahan per un migliore accesso all’acqua.
Si mescolano quindi motivazioni economiche a critiche dirette al regime, alla sua cattiva gestione e alla sua corruzione.
Inoltre non bisogna sottovalutare il fattore etnico-confessionale. Mahsa Amini era curda sunnita e il regime, a prescindere dalla sua retorica panislamica di fratellanza, discrimina chi appartiene a questa confessione.
Ciò deriva anche dai difficili rapporti intra-regionali dell’Iran, unico Paese della regione a guida sciita, e quindi dalle tensioni geo-settarie che si sono sviluppate con il mondo sunnita. Così i curdi interpretano questa violenza come l’ennesima prova di discriminazione.
«Le manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa Amini riflettono una collera ben più ampia della popolazione – conferma infatti Gissou Nia, presidente del consiglio dell’Iran Human Rights – rispetto al quadro giuridico discriminatorio che colpisce in modo sproporzionato le donne, le minoranze etniche e religiose e altri gruppi marginalizzati in Iran».
Scontri, violenze e repressione da parte della polizia
Da oltre dieci giorni si susseguono scontri, violenze, repressione. Il presidente iraniano Ebrahim Raisi, infatti, ha ordinato di agire con fermezza contro i dimostranti. Così la polizia non si è trattenuta, sparando contro la folla, usando manganelli e cannoni ad acqua.
«I rivoltosi dovrebbero sapere che la sicurezza del nostro Paese è la nostra linea rossa – ammonisce il capo della polizia Hossein Ashtari -. La polizia la salvaguarderà, con tutti i mezzi».
Finora sono mille e duecento le persone arrestate e settantasei i morti secondo Iran Human Rights. Ma il numero è destinato a salire.
Sono stati fermati anche venti giornalisti, come riportano l’organizzazione americana indipendente Committee to Protect Journalists (CPJ) e Reporter Sans Frontieres.
«Siamo molto preoccupati per la risposta violenta delle forze di sicurezza alle proteste – ha affermato la portavoce dell’Alto Commissario ONU per i diritti umani, Ravina Shamdasan -. Le armi da fuoco non devono mai essere usate per disperdere una manifestazione».
Le donne iraniane nel mondo contro il blocco di Internet
Nonostante la violenza, le proteste non sembrano diminuire, la voce della libertà si sta diffondendo invece in tutto il mondo e sono state molte le manifestazioni di solidarietà che si sono svolte nelle più diverse capitali europee e non solo.
Cortei, sit-in e azioni di protesta sono stati organizzati per chiedere “giustizia per Mahsa” e condannare la repressione delle autorità contro i dimostranti.
«Le proteste di questi giorni sono il segno inequivocabile di un popolo arrivato al capolinea – sono le parole di una donna iraniana, Sadira, che si è rivolta alla testata AfricaExpress per diffondere il suo messaggio – A soffrire maggiormente a causa della dittatura islamica sono state le donne iraniane, represse e discriminate, e i giovani, desiderosi di libertà come tutti i ragazzi del mondo».
La loro battaglia si combatte anche online grazie alla diffusione di video sui social e dell’hashtag #mahsaamini. Ma anche qui il regime ha messo in atto una dura repressione.
L’accesso a Internet è stato interrotto così come a Instagram, WhatsApp, Signal, Viber, Skype, LinkedIn, Google Play, App Store, giochi online e molte altre piattaforme straniere.
«Qualche giorno fa hanno staccato internet. È diventato difficilissimo comunicare con le nostre famiglie in Iran. Perché? Per uccidere nel silenzio. L’ultima volta che lo hanno staccato, nel 2019, hanno ucciso quasi 1500 persone – racconta Tina nel video -. Chiedo quindi, per favore, di condividere in massa in tutto il mondo ed essere così la nostra voce. Hanno bisogno di noi. Hanno bisogno che si parli di tutto ciò che sta accadendo. Più condividete, più c’è risonanza e il loro grido può essere così ascoltato. Per favore non restate in silenzio. Siate la loro voce, la voce delle donne di tutto il mondo e dell’Iran».