Piantare alberi, dappertutto, ovunque, senza aspettare l’intervento di altri, è diventata una prerogativa e possiamo farlo. La lezione di Woodstock
Viviamo il luogo in cui abitiamo, niente più.
Il 15 agosto del 1969, a Bethel (Stato di New York), ebbe inizio il festival di Woodstock. Durò tre giorni, durante i quali avvenne qualcosa di epocale: tre giorni di pace, amore libero e musica.
Sul palco si esibirono artisti del calibro di Joan Baez, Santana, Janis Joplin, Jefferson Airplane, Joe Cocker, Jimi Hendrix. Sul prato 500mila ragazzi. Erano gli anni Sessanta, erano gli anni degli hippie!
Woodstock è stato l’inizio di un’idea per un mondo migliore. Oggi, noi siamo gli attuatori di tali idee.
Dissodiamo terreni, puliamo strade, scegliamo prodotti e oggetti naturali e primari per vivere, sviluppiamo il lavoro che più ci piace, condividiamo tutto attraverso lo scambio di idee, prodotti e servizi. Non abbiamo bisogno delle élite per vivere, dato che si sono dimostrati incapaci di organizzarci in un momento storico in cui il lavoro, la casa per abitare, i servizi e la sicurezza pubblica è al minimo servizio.
Io ho un’idea, viviamo il luogo in cui abitiamo per quello che di primario può e sa darci, niente più, il resto, ciò che ci serve in più per vivere, dobbiamo auto-costruircelo.
L’esempio di Woodstock è rivelatore ed è a esso che dobbiamo riferirci come identità, come principi, come cultura.
Oggi più che mai, la lezione simbolica, indicativa e rivelatrice, tracciata il 15 agosto 1969 è educativa, perché su di essa si sono concretizzate, nel frattempo, anche le idee di Stewart Brand, idee che ci hanno resi liberi dalle élite che governavano il mondo.
Dobbiamo supportare i discorsi di Greta Thunbergh, ma non bastano più le grandi dimostrazioni di solidarietà vere o virtuali sul tema.
Bisogna agire e i concetti centrali e fondamentali su cui fondare le nostre azioni future sono riassunte in queste parole: «… il futuro del mondo è nelle vostre mani. Potete avere successo o fallire. Ma siete qui per fare il mondo, non per distruggerlo…».
Sono le prime parole che sono state pronunciate all’inizio, sul palco di Woodstock da Swami Satchidananda che continuò così: «… io lo vedo, c’è una grande forza in questo posto, i cuori si incontrano… Ieri, in un incontro, mi hanno chiesto di parlare ad una conferenza dal titolo “Oriente e occidente, un cuore”. Qui io non so se sono nell’Oriente o nell’Occidente… Qui l’Oriente e l’Occidente si sono incontrati e sono una cosa sola… Ma il successo è nelle vostre mani… L’intero mondo vi guarderà e saprà cosa può fare la gioventù per l’umanità e ognuno di voi sarà responsabile per quello che avverrà…”.
Subito dopo, la canzone “grido” eseguita Richie Havens, un vecchio classico della musica nera, “Motherless Child”, interpretato con ritmo forsennato, improvvisando e inserendo nel testo la parola “FREEDOM” ripetuta come un grido emotivo e liberatorio, un sussulto di libertà, su cui si fondò tutta Woodstock, diede struttura alle parole e alla filosofia di vita esposta da Swami Satchidananda.
In quel momento storico, una canzone e un pensiero filosofico, hanno dato vita a un cambiamento. Oggi noi siamo figli di quel cambiamento che dobbiamo comprendere nei suoi significati più profondi, in cui e su cui fondare il progetto del nostro ambiente contemporaneo.
Stewart Brand e Steve Jobs ci hanno aiutato a sviluppare questa identità culturale e ci hanno fornito i mezzi.
I vostri smartphone, i vostri Ipad, i vostri computer portatili, sono il segno tangibile della libertà di comunicazione, di Woodstock e della filosofia di vita che in esso si è consolidata, ossia la distruzione delle élite, cui siamo soliti riconoscere una particolare competenza, un’autorità e, alla fine, un certo potere.
Stuart Brand, Steve Jobs e Tim Berners Lee ci hanno dato l’opportunità di materializzare l’idea di una controcultura supportata dalla libertà di comunicare attraverso la rivoluzione digitale come processo di liberazione collettiva, sostenendo che il WEB permette di restituire a ciascuno di noi un “potere personale” che, sommato ad altri come noi, ha la forza di creare comunità in grado di riequilibrare e gestire il mondo contemporaneo. Visto il disastro che molti Stati oggi (Brasile e India in testa) stanno creando, dimostrandosi incapaci di gestire il presente, di gestire il cambiamento del clima, di gestire le immense foreste equilibratrici del clima sul pianeta.
Noi possiamo controbilanciare questo disequilibrio per migliorare il sistema ambientale in cui viviamo, agendo ogni giorno, singolarmente o in gruppo per riequilibrare il clima sul pianeta Terra, attraverso uno dei gesti più semplici e antichi del mondo, quello di piantare alberi.
Piantare alberi ovunque, nelle specie autoctone dei luoghi, per compensare gli alberi che vengono bruciati volontariamente ogni giorno e per due grandi motivi.
Piantare alberi significa compensare l’anidride carbonica nell’atmosfera e ridurre il buco dell’ozono ma anche, come ci ha comunicato la stazione di studio del satellite Sentinel 3 del programma Copernicus, di Agenzia Spaziale Europea (ESA) diminuire la TEMPERATURA TERRESTRE sul suolo.
Ossia, alla temperatura sulla Terra che ha raggiunto i 50°C misurati nel mese più caldo dell’anno, luglio, non nell’aria ma sul territorio, si può far fronte creando OMBRA, sulla terra, arsa dal sole.
Piantare alberi, dappertutto, ovunque, senza aspettare l’intervento di altri, è diventata una prerogativa e possiamo farlo, senza impedimento alcuno, nei nostri giardini, nei nostri parchi, sulle nostre strade.
Ogni angolo di terra incolto o abbandonato è un buon luogo per piantare un albero.
Il pianeta è nostro, la Terra è nostra e solo noi possiamo restituirgli l’equilibrio naturale che esso ancora ha e che alcuni sistemi e molte élite mondiali, rincorrendo solo gli interessi immediati e personali, stanno modificando, mortificando.
Non più solo documenti, relazioni, conferenze, solidarietà: piantiamo alberi per il nostro futuro sulla Terra e sarà il primo grande gesto, individuale e collettivo, verso il riequilibrio ambientale.
E se Woodstock è stato l’inizio di un’idea per un mondo migliore, noi siamo gli attuatori di tali idee.