CRONACA DI UN VIAGGIO CHE MAI SI È INTERROTTO NELLE MENTI DEGLI AUTORI. GINO LOCAPUTO, POETA, E MARIA SPORTELLI, GIORNALISTA, RACCONTANO DEL LORO CAMMINO INTERIORE, RACCHIUSO NELLA CORNICE DI UN VIAGGIO AL DI LÀ DEL MEDITERRANEO. UN PERCORSO “SPIRITUALE” LUNGO LA PALESTINA, DA AMMAN A BAGHDAD, FINO A CASABLANCA
Mare Bianco, così gli antichi Fenici chiamavano il Mediterraneo. Gino e Maria (nella foto di copertina a Irbid, Giordania), in questo libro, descrivono il loro cammino interiore, custodito nella cornice di un viaggio al di là del Mare Bianco.
Un viaggio lungo la Palestina, da Amman a Baghdad a Casablanca che è anche un percorso “spirituale”. E in questo cammino ci fanno scoprire, attraverso i loro occhi e il loro cuore, suoni e colori, genti sconosciute e accoglienti, di un Medioriente martoriato dalle guerre.
“Viaggio Mediterraneo” è un racconto intercalato da versi scritti “in un bocciolo di mandorlo in fiore”. Da un poeta sconosciuto ai più ma che poteva decidere chi portare con sé a conoscere da vicino re, regine, presidenti, leader, beduini e tuareg. Personaggi come re Abdallah di Giordania e sua moglie la regina Rania, Yasser Arafat, Saddam Hussein. Ma anche contadini e pastori il cui sorriso “sembra un campo di papaveri”.
La cronaca del viaggio descritta dalla collega Maria Sportelli inizia ad Amman, capitale della Giordania, “dove il sole incontra le stelle c’è un giardino color cioccolato dove i poeti piantano i loro fiori”.
Gino Locaputo, che è anche direttore artistico del “Festival Mediterraneo” e Maria, insieme con i Terranima, gruppo di musicisti foggiani, sono ospiti d’onore del re di Giordania, in qualità di membri della giuria del “Festival del Teatro Arabo” che si svolge nella capitale.
Ad Amman, Gino aveva conosciuto Amira, che gli diede Sahar. “Nel Sud della Palestina é nato un fiore, bianco e profumato, più del gelsomino”, verseggia Gino. Amira, cambierà il suo nome in Omsahar (Mamma di Sahar). “Omsahar! Griderò il tuo nome a tutte le stelle dell’universo”.
Sembrava la Puglia ma eravamo in Giordania
Il viaggio prosegue a Irbid. “Sembrava la Puglia”, scrive Maria, “ma eravamo in Giordania”. Qui i nostri sono ospiti della famiglia del ministro della Cultura Jeryes Samawi. In casa, il profumo di cannella, gherf e canditi “inebriava” le stanze. Dalle finestre si scorgeva un panorama a loro familiare: filari di viti e grandi ulivi.
Per festeggiare il loro arrivo, scrive la giornalista, “avevano ucciso un grosso agnello, cotto per intero in un forno incavato nel muro. Lo consumammo dallo stesso piatto, a strappi, facendo uso delle mani, come nella miglior tradizione dei beduini, accompagnandolo con riso al vapore condito con uva passa, pinoli tostati e yogurt”.
La gita a Petra
“Incastonata nella roccia millenaria del deserto, e splendida nella luce soffusa del tramonto”: Petra. Al sito archeologico della capitale del Regno Nabateo si accede tramite uno stretto canyon chiamato Al Siq. “È una ferita nella pietra, una ferita di oltre due chilometri, una spaccatura nella montagna”, che si attraversa accarezzati dal soffio del vento, il vento del deserto che gli arabi chiamano Shah Rukh (Scirocco).
E nei pressi del tempio scolpito nell’arenaria rosa, Gino e Maria vengono “rapiti” dallo sguardo e dalla semplicità “di una piccola beduina, dal nome di una Rosa, che rimase abbracciata a noi per tutto il tempo”. Rosa offrì loro yogurt e the, un gesto che li lasciò increduli, “notando come dall’altra parte dell’emisfero fosse più semplice vivere di quanto possiamo pensare”.
Catapultati nell’antica Babilonia
Dopo un passaggio sul Mar Morto, il poeta e la giornalista giungono in Iraq. Qui Saddam Hussein vi aveva invitato artisti di oltre quaranta nazioni del mondo per parlare di musica, teatro, danza. Di lì a poco l’Iraq sarebbe stata invasa dalle forze militari occidentali.
Per raggiungere Baghdad il pullman doveva percorrere “una lingua nera d’asfalto” che “divideva la terra in due, intorno il deserto”. Dove “solo l’eco dei camion carichi di greggio interrompeva quella pace superficiale mentre il buio aiutava il silenzio a fermare il tempo”.
In quello che fu il regno di storici re come Hammurabi, Assurbanipal e Nabucodonosor, Maria si rende conto di persona dei segni indelebili nella popolazione lasciati dall’Uranio Impoverito. Gli americani ne avevano fatto grande uso già nelle Prima Guerra del Golfo.
A Bagdad
A Bagdad si teneva l’evento culturale più importante dell’Iraq, il “Festival di Babilonia”, gemellato con il nostro “Festival Mediterraneo”, di cui Gino Locaputo per anni è stato l’artefice.
Il pullman che li porta nella capitale irachena, passa davanti alla “Porta di Ishtar”, dal nome della dea dell’amore e della guerra, una delle otto porte di ingresso all’antica Babilonia. È tra le rovine dell’antica capitale che si sarebbe poi tenuto il grande evento. “Babilonia, così lontana dalla mia storia ma così vicina alla storia dell’umanità”.
Abdul, l’autista, cantava “Fog el nakhil, fog el nakhil”, ripetendo una dolce melodia araba. Canto popolare iracheno interpretato in Italia da Franco Battiato.
Entrando in città, il volto fiero e severo di Saddam spunta in ogni angolo, sui muri, sui manifesti, sulle magliette degli studenti, sulle pareti degli alberghi.
All’interno di un caffè un gruppo di uomini con addosso lunghe tuniche di cotone e senza scarpe osservavano Maria con i suoi capelli biondi e ricci che fuoriuscivano dal copricapo.
Gino ammonisce l’amica di tenere “lo sguardo basso, qui non siamo in Italia. Non fissarli, non guardarli negli occhi”.
A Bagdad, la prima cosa fatta visitare ai nostri protagonisti sono stati “l’ospedale e il bunker di Al – Amirya dove sono morte donne e bambini… Come il Festival di Babilonia, molto probabilmente era, l’unico modo che gli iracheni avevano per ottenere l’attenzione internazionale e suscitare un atteggiamento anti americano”.
In attesa dell’inaugurazione del festival, Maria fa un giro nel suk, dove “mi immersi nei profumi e negli odori di quella terra misteriosa”.
Quindi è la musica, “come un urlo di pace”, suonata dai Terranima, che rapisce Maria: “danzammo come Sufi, guidati da una forza misteriosa”.
“Anche stasera prendimi per mano e portami con te sulla montagna fragile dei sogni, dove riposa il prodigio del nostro silenzio”.
I Sufi, i danzatori roteanti, trascinano gli ospiti “in un vortice ipnotico mentre una melodia di tamburi battenti accompagnava il soffio del vento nel deserto”.
Lungo il Tigri
Ad Abu Nawas, tra le specialità del posto c’è il Masgouf, un’enorme carpa cotta alla brace. Mentre le luci e le stelle si confondevano nel cielo scuro, sulla riva del Tigri “i pescatori bruciavano carboni ardenti in grandi bracieri per cuocere il gustoso pesce. Le famiglie restano lì intorno al fuoco ad aspettare, a chiacchierare ed a fumare narghilè, ascoltando la musica che giunge dai night e dai ristoranti”.
Casablanca
Il viaggio di Gino e Maria giunge, quindi, alla fine. “Ero nella terra dei gelsomini, nel profumo del Sahara, dove un Tajiinn raccoglie il sorriso di un bambino”.
Di questo viaggio rimangono i ricordi, la consapevolezza di aver incontrato tanta gente, di aver condiviso con loro un pezzo di pane o un bicchiere di acqua. Ma, soprattutto, l’aver ritrovato se stessi in un viaggio interiore alla ricerca della propria anima.
“E lì, in quel mare,
mi addormentai stupito…”