LO SVILUPPO DI UNA NUOVA TECNOLOGIA TUTTA ITALIANA CI PERMETTERÀ DI VIVERE IN FUTURO SULLA LUNA
Era il 1969 quando Neil Armstrong divenne il primo uomo a fare un passo sulla Luna. E adesso è la permanenza a lungo termine sul satellite terrestre il nuovo obiettivo per l’umanità. Grazie al progetto ORACLE (Oxygen Retrieval Asset by Carbothermal-reduction in Lunar Environment) questa meta è sempre più vicina.
Grazie alla collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e il Politecnico di Milano, si è data vita a una nuova tecnologia in grado di estrarre ossigeno direttamente dalla superficie lunare. Consente così missioni prolungate e insediamenti permanenti sul satellite. Il processo di estrazione, studiato da PoliMI, si basa sulla tecnologia della carbo-riduzione termica. Qui viene utilizzato il carbone come riducente per separare l’ossigeno dalla regolite, l’insieme di rocce frammentate che ricoprono la superficie della Luna, in un processo che avviene a temperature elevate. In particolare si ottiene ossigeno sottoponendo una sabbia, che simula il suolo polare lunare, a elevatissime temperature all’interno di una fornace.
«L’interazione dei gas metano e idrogeno, insieme agli ossidi che ci sono nella sabbia lunare, produce un passaggio di testimone – spiega Michéle Roberta Lavagna, responsabile scientifica del progetto per il Politecnico di Milano –. Così l’ossigeno si attacca alle particelle di carbonio e viene trasportato nella parte alta del forno come anidride carbonica o ossido di carbonio».
Ottenuto in questo modo il primo elemento fondamentale per la vita umana, il sistema è in grado anche di produrre acqua. «Il gas, che esce ad alta temperatura, viene portato a sua volta in un secondo stadio, sempre a temperatura elevata ma più bassa della precedente – continua Lavagna -, per poter elaborare l’ossigeno, questa volta accompagnato al carbonio, in modo da trasferirlo all’idrogeno e trasformarlo in acqua».
Scienza e tecnologia si uniscono nel progetto ORACLE
Questa tecnologia all’avanguardia si basa su un processo già studiato in laboratorio dai ricercatori del gruppo ASTRA del Politecnico di Milano. Gli ottimi risultati ottenuti hanno dato poi il via a questa nuova fase di studi. Ora, sotto la guida di ASI, si vuole creare un primo prototipo e testarlo direttamente sul suolo lunare. L’obiettivo ambizioso è quello di sviluppare e lanciare un dimostratore funzionante dell’impianto entro il 2028, così da poter essere adottabile per le future missioni.
«Siamo confidenti che nei prossimi anni riusciremo a raggiungere il risultato sperato – dichiara Roberto Aceti, amministratore delegato dell’industria aeronautica e aerospaziale OHB-Italia -, portare l’Italia tra le grandi Nazioni protagoniste dell’esplorazione spaziale».
La scienza e la tecnologia, istituti accademici e agenzie spaziali, quindi, cooperano per superare le difficoltà insite nell’ambiente spaziale. Vogliono realizzare nuovi strumenti per accrescere la nostra presenza nello Spazio.
«Il progetto ORACLE rappresenta un percorso virtuoso di ricerca e sviluppo tecnologico che dimostra come l’innovazione si possa concretizzare attraverso azioni sinergiche di realtà complementari, come l’università, l’Agenzia Spaziale Italiana e, in futuro, il comparto industriale nazionale – afferma Michéle Lavagna -. La sfida è notevole. Ma altrettanto intensi sono la motivazione e l’entusiasmo del gruppo, che contribuirà fattivamente a un momento storico unico nello scenario dell’esplorazione spaziale come il ritorno sulla Luna, dando seguito ai risultati ottenuti in laboratorio per produrre “in loco” la prima goccia d’acqua lunare».
L’importanza di “In Situ Resources Utilization”
Uno degli aspetti più interessanti del progetto è quello dunque di sfruttare le risorse già presenti sulla Luna, necessarie per la presenza umana. Ciò abbatterà i costi della missione, rendendo superflua la necessità di trasportare riserve di ossigeno dalla Terra. Concorrerà anche alla realizzazione di un ecosistema lunare più “sostenibile”.
«“In Situ Resources Utilization”, cioè l’estrazione e lo sfruttamento delle risorse sul posto, è una capacità chiave per l’esplorazione sostenibile come quella che stiamo pianificando per la Luna – spiega Raffaele Mugnuolo, Responsabile Unità Esplorazione, Infrastrutture Orbitanti e di Superficie e Satelliti Scientifici dell’Agenzia Spaziale Italiana -. In questo senso, contiamo che il progetto ORACLE si riveli di interesse globale in una prospettiva futura e che consenta all’Italia, tra i primi al mondo, di detenere una tecnologia strategica».
Lo sfruttamento di risorse non solo sulla Luna
I nuovi sviluppi nella conquista dello Spazio si inseriscono nella fase denominata “New Space Economy”. La “Space Economy” indica, nello specifico, il comparto produttivo e finanziario orientato all’impiego di beni e di servizi e allo sfruttamento delle risorse nell’ambito dello Spazio extra-atmosferico. A partire dai primi anni 2000 il settore ha subito un radicale mutamento. Si è concentrato maggiormente sull’estrazione mineraria sugli asteroidi, sul turismo spaziale e sull’inumazione spaziale, dando così inizio alla “New Space Economy”.
Saranno la Luna, Marte e gli asteroidi, quindi, le prossime mete dell’espansione dell’economia dello Spazio. La NASA stima che il valore dei minerali presenti nella fascia tra Marte e Giove sia addirittura di 700 miliardi di miliardi di dollari. A questa cifra si aggiungono le risorse presenti sulla Luna, il cui suolo conserva minerali cruciali per la produzione tecnologica e la transizione energetica e digitale, tra cui il titanio. La loro disponibilità limitata sulla Terra e la disomogenea distribuzione geografica (l’85% della fornitura globale di terre rare proviene dalla Cina) rende perciò la prospettiva di estrazione dalla Luna particolarmente attrattiva.
L’utilità delle altre risorse dello Spazio
Inoltre, a causa dei venti solari e della mancanza di un’atmosfera, sulla superficie lunare si accumulano grandi quantità di Elio H-3. È un isotopo estremamente raro sulla Terra ma presente sulla Luna per circa 11 milioni di tonnellate metriche. L’Elio H-3 possiede un grande potenziale energetico nucleare per i reattori a fusione, il cui studio e progettazione proseguono a livello internazionale. In più, non essendo l’Elio H-3 radioattivo, sarebbero meno i problemi di sicurezza e di gestione delle scorie. Questi tipi di reattori potrebbero essere quindi una soluzione per soddisfare le necessità energetiche mondiali e per far fronte al cambiamento climatico in atto.
Infine la NASA, nel 2020, ha individuato anche l’asteroide Psyche, interamente costituito da ferro, nickel e altri metalli rari.
Dallo sfruttamento della Terra allo sfruttamento della Luna?
Tuttavia questi sviluppi nell’esplorazione spaziale pongono molte perplessità e criticità. Lo sfruttamento del suolo lunare, seppur cerchi di trovare un modo per arginare l’impiego massiccio delle risorse terrestri, in realtà non si dimostra una soluzione efficace. Si passerebbe, infatti, solamente da un tipo di sfruttamento a un altro. Non si prova, invece, a cambiare il paradigma del consumo in un ottica di circolarità, di riuso delle risorse e di eliminazione dello spreco.
Inoltre non deve essere sottovalutato il problema di stabilire le possibilità giuridiche dello sfruttamento delle risorse lunari. Il Trattato sullo Spazio extra-atmosferico del 1967 stabilisce infatti che lo Spazio e la Luna siano “provincia comune dell’umanità” e che “lo Spazio extra-atmosferico non sia soggetto ad appropriazione nazionale né rivendicandone la sovranità, né occupandolo, né con ogni altro mezzo”. Tuttavia ciò non esclude necessariamente che le Nazioni possano possedere le risorse estratte dai corpi celesti.
Perciò è importante far sì che, in questo nuovo panorama di opportunità, sia l’approccio cooperativo a prevalere, per evitare una pericolosa “corsa all’oro” e una militarizzazione dello Spazio e dei corpi celesti, che trasformi una potenziale opportunità di sviluppo in uno scontro geopolitico tra potenze, vecchie e nuove.