IL TRAFFICO ILLECITO INTERNAZIONALE DI RIFIUTI È UN PROBLEMA AMBIENTALE E LEGALE: DA QUELLI SPECIALI, COME LE BATTERIE AL PIOMBO E GLI OLI ESAUSTI, A QUELLI PERICOLOSI, COME QUELLI RADIOATTIVI E FARMACEUTICI SCADUTI. INTERVISTA A CLAUDIA SALVESTRINI, DIRETTORE GENERALE POLIECO
Il traffico illecito internazionale di rifiuti è un problema ambientale e legale serio che coinvolge il trasporto di scarti di materiale lavorato oltre i confini nazionali, in violazione delle leggi ambientali nazionali e internazionali. Un’attività che ha visto gli Stati Uniti iniziare per primi già negli anni ‘70, seguiti poi da Regno Unito, Francia, Belgio, Germania, Giappone e Italia.
Questo traffico coinvolge una vasta gamma di rifiuti: da quelli speciali, come le batterie al piombo e gli oli esausti, a quelli pericolosi, come quelli radioattivi e farmaceutici scaduti
Le ragioni dietro questo traffico includono il basso costo di smaltimento in alcuni Paesi rispetto ad altri e la mancanza di regolamentazioni ambientali rigorose in alcune regioni. Quindi il profitto economico per le organizzazioni criminali e l’incapacità di alcune nazioni di gestire efficacemente i propri rifiuti.
Il traffico illecito può avere gravi conseguenze ambientali, inclusi l’inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria, danni agli ecosistemi naturali e rischi per la salute umana e animale.
Ne abbiamo parlato con Claudia Salvestrini, direttore generale di PolieCo, Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene. Seguendo la rotta dei rifiuti che vengono esportati dal nostro Paese, Salvestrini ha percorso, in una quindicina di anni, migliaia di chilometri in varie parti del mondo.
D.sa Claudia Salvestrini, quando ha cominciato a occuparsi di traffico illecito dei rifiuti?
Quando, monitorando i flussi dei rifiuti di competenza del consorzio, ci siamo resi conto che ingenti quantità sfuggivano ai circuiti di recupero e avvio al riciclo.
Dal 2006 ho cominciato i miei viaggi in Cina, al fine di constatare dove i rifiuti che partivano dai nostri porti andassero a finire. Lo scenario dinanzi al quale mi sono ritrovata ha aperto fin da subito uno squarcio sulle esportazioni di rifiuti, che sulla carta erano inviati a impianti idonei al loro trattamento ma nei fatti finivano o in capannoni semivuoti con attrezzature inadeguate o in villaggi dove bambini e adulti lavoravano in assenza di qualsiasi forma di sicurezza.
Risale al 2009 la prima inchiesta giudiziaria che fece luce su un sistema di esportazioni illecite, nata da una segnalazione del Polieco: in quel caso scoprimmo che l’impianto di destinazione di rifiuti partiti dal porto di Taranto con direzione Hong Kong, non esisteva.
Da allora cosa è cambiato?
Dal punto di vista dei flussi ben poco, la Cina a un certo punto ha deciso di porre dei limiti all’importazione ma i rifiuti continuano ad arrivare attraverso triangolazioni con altri Paesi del Sud est asiatico e intanto ci sono nuove mete, come la Turchia, dove sempre più spesso i rifiuti arrivano dall’Italia via Grecia. E poi, ancora, ci sono i Paesi dell’est Europa, come l’Albania, la Macedonia, il Kosovo, che continuano ad accogliere i nostri rifiuti.
Il sistema funziona sempre allo stesso modo?
A differenza di prima, oggi, di traffico illecito di rifiuti si parla molto di più, ma con l’aggravante che adesso il meccanismo si è perfezionato, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti formali.
Nelle esportazioni, c’è sempre il coinvolgimento di una società che almeno formalmente è in possesso dei requisiti necessari per l’invio dei rifiuti all’estero e la preparazione dei documenti risulta spesso impeccabile sotto il profilo procedurale.
Questo consente di sfuggire ai controlli?
Sì, anche se il nodo centrale resta proprio questo: i controlli, resi difficili dall’assenza di mezzi e risorse a disposizione delle autorità che dovrebbero effettuarli.
Il problema è che, in alcuni casi, poi i rifiuti, classificati impropriamente come end of waste, viaggiano come merce e questo riduce ulteriormente la possibilità che possano scattare degli alert.
La verità è che quando il rifiuto, entrato nel circuito illegale, arriva al porto è già troppo tardi per intervenire.
Cioè?
Che la prevenzione e il contrasto devono avvenire soprattutto prima, quando vengono rilasciate le autorizzazioni per l’invio all’estero. Le verifiche preventive devono essere fatte in modo più scrupoloso. Basti pensare al caso clamoroso dei rifiuti partiti dal porto di Salerno e inviati in Tunisia. Sulla carta sarebbero dovuti andare in un impianto idoneo al loro trattamento ma, sebbene per l’esportazione siano stati rilasciati decreti autorizzativi, non è stata fatta alcuna ricognizione dell’impianto ricevente.
Un problema molto grave è poi l’attribuzione del codice CER 19 (*) che favorisce i traffici illeciti dei rifiuti. È un codice che fa perdere totalmente la tracciabilità dei flussi e che spesso ci ritroviamo anche in capannoni dove i rifiuti vengono stoccati illegalmente, con la compiacenza di imprese criminali che, agendo contro legge, fanno risultare solo sulla carta l’arrivo in siti autorizzati.
Salvestrini, lei ha accennato a un clamoroso caso di rifiuti inviati in Tunisia, dove erano arrivati attraverso un’autorizzazione: vuol dire che la Tunisia non ha nessun impianto di smaltimento e/o che l’Italia non è fornita di impianti idonei al trattamento di certi rifiuti? Ovvero: l’Italia ce li ha pure ma vengono “indirizzati” altrove?
L’Italia ha degli impianti adeguati, sebbene carenti, ma il problema è che c’è una difficoltà oggettiva nel trattare rifiuti eterogenei come quelli inviati in Tunisia. E questo, non perché altrove gli standard impiantistici sono più performanti, ma perché esistono regole meno restrittive che ad esempio consentono un più facile invio ai cementifici.
In riferimento all’attribuzione del codice CER 19, lei afferma che, ai rifiuti, ditte illegali attribuiscono un codice falso, relativo a origine del rifiuto e potenziale impatto sull’ambiente?
Affermiamo che c’è una esasperazione nell’attribuzione del codice. Di certo non c’è sempre malafede ma è evidente che questo codice, che ha maglie troppo larghe e rende difficile risalire all’origine dei rifiuti, favorisce coloro che operano illegalmente
Una criticità che alimenta il sistema dei traffici?
Sì, legata ad un sistema di raccolta differenziata basato soprattutto sulla quantità e non sulla qualità dei rifiuti, con il risultato che, se ad esempio pensiamo ai rifiuti plastici, ci ritroviamo dinanzi a percentuali altissime di raccolta e basse percentuali di rigenerato, con ingenti flussi di rifiuti non valorizzabili che, con il codice Cer 19, poi, fanno il giro del mondo.
In questo, anche i consorzi che nascono proprio con il compito di garantire il corretto avvio a riciclo dei rifiuti di propria competenza, sono chiamati ad esercitare il proprio ruolo di responsabilità in vigilando.
Il Procuratore della Repubblica al Tribunale di Bari, Roberto Rossi: codici manipolati
Roberto Rossi, Procuratore della Repubblica al Tribunale di Bari, nel corso del suo intervento al Forum Internazionale Polieco sull’Economia dei rifiuti, che si è tenuto a ottobre 2024, conferma quanto dichiarato dalla d.sa Salvestrini.
«Attraverso la manipolazione dei codici – afferma Rossi – si sono nascosti rifiuti e materiali per poi mandarli in Cina, fino a che i cinesi hanno deciso di bloccarne l’importazione. Una decisione che avrebbe potuto imporci di trovare una soluzione e invece si sono moltiplicati i roghi dei rifiuti in lungo ed in largo per l’Italia. Roghi che servivano come diversivo in attesa che venissero trovate altre rotte che ora sono la Grecia, la Macedonia e la Turchia”.
La Turchia nuovo ricettore
Dopo che la Cina ha interrotto le importazioni nel 2018, la Turchia è diventata il principale destinatario dei rifiuti in plastica provenienti dall’Europa. quindi, per raggiungere la Turchia, le rotte dirette sono state sostituite dalle triangolazioni delle esportazioni, che hanno così reso più difficile rilevare i traffici.
«In Turchia – ha denunciato Sedat Gündoğdu biologo marino, docente delle Facoltà della Pesca dell’Università di Cukurova, intervenuto al Forum -, arrivano rifiuti da tutta Europa con la falsa giustifica dell’avvio al riciclo, ma la verità è che quei rifiuti non possono essere riciclati, vengono stoccati in depositi illegali prima di essere dati alle fiamme per mesi».
Cumuli di rifiuti di plastica triturata sono stati trovati abbandonati vicino a fiumi e canali di irrigazione, in una delle regioni più fertili in grado di produrre non solo per il mercato locale, ma anche per l’esportazione in Europa.
Fiumi turchi principale fonte di inquinamento da plastica del Mediterraneo
«La Turchia – ha spiegato il docente – è una delle principali fonti di inquinamento da plastica nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Questo inquinamento deriva da una gestione insufficiente dei rifiuti, dallo scarico illegale di rifiuti di plastica e dallo scarico delle acque effluenti degli impianti di trattamento delle acque reflue. L’inadeguata infrastruttura di gestione dei rifiuti della Turchia fa sì che i fiumi turchi siano la principale fonte di inquinamento da plastica nel Mar Mediterraneo».
E aggiunge, il prof. Gündoğdu, a capo di un gruppo di ricerca sulle microplastiche che «A Izmir, in quella che sulle carte era una fattoria sono stati accumulati rifiuti di ogni tipo, misti e non riciclabili. Un’enorme area di stoccaggio rimasta lì per lungo tempo prima di essere data totalmente a fuoco».
C’erano anche rifiuti farmaceutici che, teoricamente, secondo la Convenzione di Basilea (**), non dovrebbero essere esportati. Ma purtroppo questa convenzione non ha valore legale.
Inquinamento da plastica nel Mediterraneo
Questi i dati forniti dal docente turco: «La Turchia ha la percentuale maggiore (16,8%) di macrorifiuti galleggianti nell’ambiente marino sia nel Mediterraneo sia nel Mar Nero. Il Mare della Cilicia (situato sulla costa nord-orientale della Turchia) è identificato come un’area in cui le concentrazioni di plastica (>20 g km−2) sono più elevate. Si stima che i fiumi turchi, tra cui Ceyhan (5,1%), Seyhan (3,5%) e Buyuk Menderes (2,4%), contribuiscano a tre delle cinque principali fonti di inquinamento da plastica nel Mediterraneo. Tutti e tre questi fiumi ricevono acque reflue dall’industria del riciclaggio. Secondo le autorità dell’impianto di trattamento delle acque reflue di Seyhan, nel comune di Adana un afflusso settimanale di circa 80 tonnellate di rifiuti di plastica triturati proviene esclusivamente da una zona di riciclaggio che ospita importatori di rifiuti di plastica».
In conclusione, d.sa Salvestrini, secondo il suo giudizio, si può e come si può porre un argine alle esportazioni illecite?
Dal punto di vista della prevenzione, innanzitutto, attraverso un sistema di raccolta orientato alla qualità e la chiusura della filiera del riciclo, che in Italia soffre di una grave carenza di impianti. Bisogna fare in modo che i rifiuti viaggino il meno possibile per ridurre il rischio delle movimentazioni illecite. Allo stesso tempo, le autorità deputate al controllo devono essere messe in condizione di operare, con strumenti e risorse a loro supporto. Di mezzo, c’è la tutela dell’ambiente e della salute, nonché la salvaguardia di un comparto, quello delle imprese del settore, che deve essere difeso dalla concorrenza sleale di chi opera illegalmente.
Il reato di traffico organizzato di rifiuti
Negli ultimi anni, le procure italiane, in collaborazione con le forze dell’ordine, hanno individuato e smantellato pericolose holding criminali attive sia in Italia sia all’estero grazie all’introduzione del reato di traffico organizzato di rifiuti (art. 260 Dlgs 152/2006). Questa norma ha dato ottimi risultati nel contrastare un fenomeno che danneggia gravemente l’economia legale e aumenta il rischio di disastri ambientali su vasta scala.
Sarebbe opportuno estendere questa esperienza normativa il più possibile, in linea con lo spirito e la lettera della Direttiva UE 99/2008 sulla tutela penale dell’ambiente. Tale direttiva impone agli Stati membri l’adozione di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive contro coloro che danneggiano gli ecosistemi e la salute dei cittadini.
Questo diventa ancora più importante nel contesto attuale, in cui si dovrebbero promuovere modelli di sviluppo economico orientati maggiormente verso la sostenibilità ambientale.
L’Intelligenza Artificiale per combattere il traffico transnazionale di rifiuti
Quindi, come ha spiegato Antonello Ardituro, Sostituto procuratore alla Direzione Nazionale Antimafia, «Le mafie viaggiano a un ritmo differente ed è necessario recuperare il ritardo e bloccare il traffico dei rifiuti prima che venga avviato». Pertanto, ha sottolineato il magistrato, sarà molto utile l’impiego «dell’intelligenza artificiale per gestire la mole di dati d’indagine specie per il traffico transnazionale».
(*) Codice CER 19
Il Codice CER (Codice Europeo dei Rifiuti) è un sistema di classificazione dei rifiuti utilizzato nell’Unione Europea per identificare e catalogare diversi tipi di rifiuti in base alle loro caratteristiche e alle modalità di gestione e smaltimento. Il numero CER 19 si riferisce ai rifiuti metallici e ai rifiuti contenenti metalli, inclusi i rifiuti metallici ferrosi e non ferrosi, nonché i rifiuti contenenti composti metallici. Questa classificazione aiuta a facilitare la gestione e il trattamento dei rifiuti in modo sicuro ed efficiente, riducendo l’impatto ambientale e promuovendo il riciclo e il recupero dei materiali.
Il Codice 19.12.12, indica i rifiuti non pericolosi, compresi materiali misti, prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti.
La classificazione dei rifiuti attraverso il codice CER è importante per regolamentare il loro trattamento, lo smaltimento e il riciclo in modo appropriato e sicuro, al fine di proteggere l’ambiente e la salute umana.
(**) Convenzione di Basilea
A livello internazionale, il traffico di rifiuti è regolato dalla Convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento, con la Quarta Convenzione ACP-CEE firmata a Lomé il 15 dicembre 1989 e con diversi atti del Consiglio dell’OCSE. La Convenzione di Basilea si applica quando i rifiuti sono trasportati da un’area sotto la giurisdizione nazionale di uno Stato che ne è parte ad un’area sotto la giurisdizione nazionale di un altro Stato che ne è parte. Quest’ultimo classifica i rifiuti in base al loro possibile impatto negativo sulla salute e sull’ambiente in tre liste, verde, arancione e rossa; questa classificazione determina le norme applicabili ai trasferimenti di rifiuti all’interno dell’UE e verso paesi terzi. (fonte Commissione Europea)
La Commissione parlamentare
La Legge 10 maggio 2023, n. 53 pubblicata sulla (GU Serie Generale n.115 del 18-05-2023), istituisce la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su altri illeciti ambientali e agroalimentari (23G00061).