lunedì, Gennaio 13, 2025

Taglio di alberi in Italia: un massacro

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Una minaccia per l’uomo e per l’ambiente

È strage di alberi in Italia. Da Nord a Sud si assiste quasi quotidianamente a tagli indiscriminati nelle città e nelle aree verdi. Le zone urbane sono maggiormente sotto attacco e a cadere sotto la scure di chi taglia alberi sono soprattutto i filari di pini.

L’ultimo esempio eclatante è accaduto a Montegiordano, piccolo comune della provincia di Cosenza. Dove, in piena pandemia causata da Covid-19, il sindaco ha fatto abbattere 115 pini che si ergevano sul lungomare.

Di certo il taglio degli alberi non rientra tra le attività necessarie e indifferibili previste dai decreti governativi nel periodo della quarantena. Eppure, le attività per distruggere il verde, e di conseguenza per arrecare danni all’ambiente e alla salute, non si sono arrestate.

La tutela della dignità della persona e della salute di tutti i cittadini, passa per la salvaguardia dell’ambiente. Per questo motivo l’ONA e l’Avv. Ezio Bonanni tutelano della salute e dell’ambiente, messo a rischio dall’amianto, ma anche dal disboscamento e da altre forme di inquinamento.

I benefici effetti che gli alberi producono nell’ambiente

Troppo spesso si dimentica che gli alberi sono in grado di modificare l’ambiente in cui viviamo. Migliorano la qualità dell’aria e mitigano il clima. Numerosi sono i benefici effetti che essi producono nell’ambiente circostante. Dalla riduzione del deflusso delle acque piovane, all’ospitalità donata agli animali. Dall’effetto raffreddamento delle isole di calore che si sviluppano nelle città per la copertura del suolo, all’assorbimento delle precipitazioni. Il tutto, con conseguente protezione garantita alle persone, alle auto e agli edifici.

Gli alberi influenzano, inoltre, la velocità e la direzione del vento. Svolgono, pertanto, un’importante funzione nel paesaggio antropizzato dei nostri giorni, sia in città, sia nelle periferie urbane. La loro altezza, forza e resistenza, li rendono simili alle cattedrali. Grazie alla loro longevità, sono spesso considerati dei monumenti viventi da preservare e conservare.

Il maltrattamento degli alberi

Oggi accade il contrario. Gli alberi sono maltrattati, capitozzati, tagliati. Questo perché danno fastidio alle attività commerciali, “sporcano” con le loro foglie balconi e marciapiedi. Richiedono a volte cure che chiamano in causa i Comuni, sempre pronti a impegnare risorse per sagre e iniziative degli amici, ma mai per preservare l’ambiente e la salute dei cittadini.

Basta leggere le cronache dei giornali locali o i post nei vari gruppi, per avere contezza di un fenomeno che sembra, ormai, essere sfuggito di mano.

Negli ultimi anni, infatti, scempi continui vengono perpetrati sul patrimonio arboreo delle città. Si spogliano marciapiedi e giardini pubblici di alberi di grandi dimensioni. È la conseguenza dell’adozione di piani comunali per le potature redatti da incaricati senza competenze, proni ai diktat delle amministrazioni.

Piani scriteriati che non impediscono le capitozzature selvagge o l’eliminazione di alberi sani e non pericolanti. Come accade da anni a Cosenza, dove sono stati colpiti dalla scure violenta di chi abbatte gli alberi, spesso incompetenti in materia, moltissimi alberi. Sacrificati perché considerati ostacoli per la cementificazione degli spazi urbani.

I comitati cittadini per la tutela del verde urbano

Qui è sorto il Comitato Alberi Verdi. Attivo sul territorio per impedire l’abbattimento boschi e capitozzature e per la sensibilizzazione dei cittadini e amministratori sull’importanza del verde urbano. Ma l’amministrazione comunale si è rivelata sorda ai vari appelli lanciati.

Anche Treviso si è mobilitata. I cittadini hanno creato il Comitato degli Alberi Urlanti – Treviso, in prima linea per la difesa del verde urbano e per la tutela del parco monumentale di villa Margherita Manfrin. C’è un’altra pagina facebook, Stop Taglio Alberi Italia, che pubblica giornalmente il massacro di alberi che le diverse amministrazioni comunali italiane compiono allo scopo di favorire le colate di cemento.

taglio di alberi
Nelle città si assiste, impotenti, a capitozzatura, cimatura e potatura drastica degli alberi

“Ci prefiggiamo – si legge sulla pagina di Stop Taglio Alberi – di raccogliere e documentare (foto, video, articoli di giornale, post) lo scempio che è in atto su tutto il territorio nazionale per ciò che concerne il taglio degli alberi con pratiche improprie (capitozzatura) o abbattimento di alberi indiscriminato. Talvolta, si tratta di veri e propri disboscamenti praticati con taglio a raso (vietato) piuttosto che di vere e proprie estirpazioni. Le ragioni addotte sono aleatorie e assolutamente pretestuose. Solitamente sono camuffate come manutenzione, sicurezza, danni ai marciapiedi o strade, malattie”.

Reggio Emilia: abbattimento di quattro Celtis australis

Una segnalazione molto significativa è pervenuta da Reggio Emilia. Dove la costruzione di una inutile rotonda, avrebbe potuto causare l’abbattimento di quattro Celtis australis (bagolari). Nei primi giorni di fermo delle attività a causa della pandemia, i lavori sono andati avanti. L’amministrazione comunale aveva promesso di lasciarne due e trapiantarne altri due, uno invece è stato abbattuto.

Questi sono solo alcuni esempi. Casi analoghi si verificano con frequenza in tutto il territorio italiano. Intanto, gli studiosi parlano di attentato alla salute pubblica. Poiché il verde urbano svolge un’opera di purificazione dell’aria, intercettando, tra l’altro, il particolato fine e ultra fine che diverse fonti scientifiche ritengono possa fungere da carrier (trasportatore) per il COVID 19.

Inquinamento e predisposizione genetica a malattie

È risaputo da tempo che l’inquinamento atmosferico (particolato, polveri fini e ultra fini) è una causa di alcune patologie. Patologie respiratorie, cardiache e anche l’insorgenza di alcuni tumori. Si deve considerare, peraltro, che l’inquinamento può instaurare una predisposizione genetica alle malattie croniche e degenerative per le generazioni future.

Anche i boschi sono a rischio. Specialmente dopo l’approvazione del Testo Unico Forestale (TUF), nel 2018. Quest’ultimo assoggetta il patrimonio boschivo “alle esigenze socio-economiche locali, alle produzioni legnose e non legnose, alle esigenze di fruizione e uso pubblico del patrimonio forestale”.

In altre parole, dalla legna dei boschi si può/deve trarre un beneficio economico. Il governo Gentiloni, nei suoi ultimi giorni di attività, quando si sarebbe dovuto occupare solo dell’ordinaria amministrazione, ha, invece, pensato di licenziare il TUF che equipara boschi e foreste italiane e tutti i tipi di alberi italiani a vere e proprie “miniere energetiche”, dando il via libera allo sfruttamento della risorsa legnosa e depauperando i boschi di molti esemplari, immolati nelle voraci fauci delle centrali a biomasse, sorte come funghi nell’intera penisola.

Si distruggono i boschi per produrre energia che classifichiamo come rinnovabile. Ma la legna non è una risorsa rinnovabile e l’albero, che tanti benefici arreca alla salute dell’uomo, può costituire un vero e proprio pericolo se inserito in processi di combustione e di produzione energetica lineari. Quelli, cioè, che hanno un inizio, una fine e una conseguente produzione di sostanze tossiche e pericolose scorie finali.

Si ritiene che i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici, già oggi impattanti su ambiente e salute umana, siano proprio i processi di combustione di origine antropica, che immettono gas climalteranti in atmosfera.

Le affermazioni di Ferdinando Laghi

“Le biomasse forestali utilizzate a fini energetici – afferma Ferdinando Laghi, presidente nazionale Associazione Medici per l’Ambiente ISDE-Italia mostrano enormi contraddizioni che dovrebbero impedire che sia loro attribuita la qualifica di fonti energetiche rinnovabili. Soprattutto dovrebbero cessare gli immotivati e cospicui finanziamenti pubblici che ne consentono l’ampio utilizzo. Questa modalità di produzione energetica è una vera e propria aggressione nei riguardi dell’ambiente e della salute umana e va confinata nell’ambito della speculazione economica”.

“C’è poi un altro aspetto da considerare – continua Laghi – che è quello relativo alle infiltrazioni malavitose. La criminalità organizzata ha nel campo delle forniture alle centrali elettriche a biomasse una fonte di lauti guadagni, spesso causa anche di dispute feroci e sanguinarie tra fazioni avverse (le mafie dei boschi). La oppressiva e ubiquitaria presenza delle mafie, inoltre, comporta anche una aggressione illegale e indiscriminata al patrimonio boschivo nazionale, con danno che si assomma a danno”.

L’affare dei boschi, business milionario per i clan

È ormai risaputo che “l’affare dei boschi” è un business milionario che arricchisce i clan alla pari degli altri traffici illegali.

Il 4 gennaio 2017, è stata presentata alla Camera dei Deputati la “Relazione sull’attività delle forze di polizia sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata” relativa all’anno 2015.

Nella sezione dedicata alle nuove minacce riguardo alla tutela ambientale, si legge:

Nel 2015 inoltre, anche a causa della crisi economica, si è assistito ad una recrudescenza di fenomeni di illegalità nei confronti della risorsa forestale. Da fenomeni più banali, quali il taglio condotto con modalità non conformi, si arriva ad irregolarità via via più gravi, con reati che assumono la dimensione del reato associativo, fino alla turbativa d’asta pubblica. Il taglio del bosco rappresenta infatti una risorsa che, in tempo di crisi economica, riacquista un valore tutt’altro che trascurabile soprattutto se attuato con prelievi molto più intensi di quelli autorizzati o se condotti a seguito di aste pubbliche non conformi alla norma.

In certe aree della Calabria, sono state accertate così spesso infiltrazioni di criminalità organizzata nel settore, da indurre il Corpo Forestale dello Stato a proporre, anche per le alienazioni dei boschi pubblici, le procedure di certificazione antimafia previste dalla normativa per gli appalti pubblici. Sono stati accertati, infatti, da parte delle ditte boschive che partecipano alle aste, accordi preventivi illeciti finalizzati alla spartizione di lotti da aggiudicare e ricorso a “cartelli” finalizzati a tenere bassi i prezzi della base d’asta mediante accordi segreti ed illegittimi.

Taglio di alberi: minacce e atti corruttivi

Si instaurano così dei monopoli od oligopoli ove pochi soggetti, di fatto, tengono in pugno pubbliche amministrazioni, anche mediante minacce o atti corruttivi e determinano il prezzo finale del lotto boschivo. Successivamente si verificano prelievi di legna illegittimi, sconfinamenti di superfici, subappalti illegittimi, utilizzo di manodopera in nero se non addirittura clandestina. Si deve constatare che dopo il passaggio di competenze fra lo Stato e le Regioni, alcune di queste non sono state in grado di sviluppare un sistema armonico e funzionale per la gestione della tutela della risorsa forestale ed hanno perso la visione d’insieme».

L’operazione Stige condotta dalla DDA di Catanzaro un paio di anni fa è stata la dimostrazione di ciò che la relazione ha enunciato. I pentiti hanno parlato, infatti, di “riconquista criminale della Sila”.

Il patrimonio boschivo ha un altro nemico, il 5G

Molti grandi alberi sono stati sacrificati, nelle città, per favorire il 5G
Molti grandi alberi sono stati sacrificati, nelle città, per favorire la diffusione delle antenne del 5G

TUF, centrali a biomasse, mafie, intemperie, incendi, amministrazioni comunali che preferiscono tagliare gli alberi anziché curarli, mancanza di sensibilità da parte di tanti cittadini, contribuiscono a ridurre ogni anno il nostro patrimonio boschivo, messo a dura prova anche da un altro nemico.

Pare, infatti, che negli ultimi tempi molti grandi alberi siano stati sacrificati per favorire il 5G, perché i rami, specialmente dei pini, intralcerebbero la propagazione delle onde. Il 5G, cioè la rete di quinta generazione, permetterà di collegare milioni di dispositivi in pochissimo tempo.

I pareri sono contrastanti: da una parte si sostiene l’enorme pericolosità per la salute dell’uomo e per gli animali, dall’altra l’innocuità assoluta della nuova tecnologia.

Ma può esistere una correlazione tra tagliare alberi e la diffusione del 5G? Non ci sono al momento studi autorevoli su cui basarci, nell’incertezza si rimane cauti e in attesa di saperne di più sarebbe bene sollecitare indagini serie per fugare ogni dubbio.

Diffusione del 5G: numero maggiore di cellule

Ciò che sappiamo è che questa tecnologia consente l’invio e la ricezione di grandi quantità di dati in un range molto ristretto e necessita, conseguentemente, di un numero maggiore di celle, che devono essere situate a distanze più ravvicinate rispetto a quelle del 4G.

Sarebbe proprio questa limitazione a richiedere che le antenne nei centri abitati devono essere poste a 3 metri d’altezza, perché palazzi, pali, segnali stradali e, anche, gli alberi, rappresentano un ostacolo che le onde radio delle trasmissioni 5G non riescono a superare.

Poiché non è possibile eliminare gli altri ostacoli, si sacrificano gli alberi, infatti costa meno abbatterli che installare un’antenna per permettere al segnale di superarlo. D’altronde, l’aumento dei tagli – che non si è fermato nel periodo di quarantena da Covid-19 – sta andando di pari passo con la diffusione del 5G in tutto il mondo.

Emergenza COVID-19: serve legna da ardere

Aumento che purtroppo ha ricevuto anche la “benedizione” del governo Conte, che ha previsto nel DPCM del 10 aprile scorso quanto segue: «Da martedì 14 aprile apriamo anche qualche altra attività produttiva. In particolare la silvicoltura, sarebbe il taglio di alberi. Dobbiamo consentire che si alimentino e vengano forniti i combustibili solidi, la legna».

Una iniziativa in contrapposizione con l’appello di ISDE Italia – Medici per l’Ambiente e GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, che solo un paio di giorni prima del suddetto DPCM ha chiesto alle istituzioni di “non autorizzare la ripresa del taglio di alberi, un’attività che nel caso delle latifoglie è anche fuori tempo massimo: è ormai primavera e i tagli nei boschi di latifoglie sono vietati per consentire alle piante il periodo vegetativo”.

Le associazioni dei tagliatori non stanno quindi chiedendo solo di violare la quarantena cui sono sottoposte tutte le altre aziende, ma anche di poter violare la legge che protegge i boschi di latifoglie, tagliando a primavera ormai giunta: quest’anno, infatti, la stagione risulta particolarmente anticipata, a seguito di quello che è stato l’inverno più caldo di sempre in Europa (3,4 gradi in più rispetto alla media del periodo) …

Il proliferare in Italia di centrali a biomassa, che bruciano legno per produrre energia elettrica, ha scatenato una vera e propria corsa al taglio…

Il taglio di alberi non è un’attività necessaria

Taglio alberi - Tempesta Vaia
Eventuali necessità di legname potrebbero essere soddisfatte utilizzando il legno schiantato dalla tempesta Vaia

GUFI e ISDE ritengono che non vi sia alcuna ragione per ritenere il taglio di alberi come attività necessaria che meriti una deroga durante la quarantena; che eventuali (e da dimostrare) necessità di legname possano essere soddisfatte utilizzando il legno schiantato dalla tempesta Vaia tramite un provvedimento ad hoc, che non includa le altre foreste sul territorio italiano. Ma alla lobby dei tagliatori è difficile sfuggire.

Sei giorni prima del DPCM che ha autorizzato la ripresa di alcune attività tra cui la silvicoltura e il taglio dei boschi, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero dell’Ambiente “Criteri minimi per il servizio di gestione del verde pubblico e la fornitura di prodotti per la cura del verde”.

Taglio di alberi: decreto del Ministero dell’Ambiente

Molte le novità inserite nel decreto, che riporta tra le altre cose: “Per garantire l’approccio strategico di medio-lungo periodo, è essenziale che le stazioni appaltanti, in particolare le amministrazioni comunali, siano in possesso e applichino concretamente strumenti di gestione del verde pubblico come il censimento del verde, il piano del verde, il regolamento del verde pubblico e il bilancio arboreo che rappresentano la base per una corretta gestione sostenibile del verde urbano”.

E si specifica che devono essere evitati interventi sul territorio “qualitativamente scarsi e persino dannosi che compromettono lo stato di salute delle piante con conseguente aggravio di costi per la comunità. Va sottolineato che una corretta manutenzione e gestione, oltre a migliorare la qualità del verde, riduce la necessità di interventi di emergenza e previene possibili eventi pericolosi per le persone e le cose. A tal fine appare opportuno prevedere requisiti minimi di competenza posseduti dal personale che svolge il servizio e di formazione continuativa degli operatori che garantisca la qualità del servizio nel tempo”.

Per quanto riguarda la realizzazione e la riqualificazione di aree esistenti, deve essere considerato “come fattore prioritario il loro inserimento nel sistema del verde urbano esistente, allo scopo di costituire un elemento integrato della rete di spazi verdi e integrarsi nell’infrastruttura verde urbana”.

Il decreto vieta capitozzatura, cimatura e potatura drastica degli alberi, pratica deleteria e pericolosa sia per la sicurezza pubblica sia perché danneggia irrimediabilmente il patrimonio arboreo. Infatti, il decreto specifica anche: “Gli interventi di potatura devono essere svolti unicamente da personale competente, in periodi che non arrecano danni alla pianta e non creano disturbo all’avifauna nidificante ed effettuati solo in casi strettamente necessari”.

Taglio di alberi, le indagini del ministero dell’Ambiente

E un paio di giorni fa, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha disposto due indagini – una dei tecnici del ministero e una delle forze di polizia – sul massiccio taglio di alberi nelle città italiane soprattutto durante la quarantena.

In seguito alle numerose segnalazioni pervenute, il ministro ha deciso di approfondire il problema e ha precisato che: «Teniamo conto che il ministero dell’Ambiente non ha una diretta competenza sull’argomento, è una competenza dei Comuni. Non sto accusando l’uno o l’altro. Mi sto mettendo a fianco, per capire se posso aiutare i Comuni in qualche modo».

La distruzione dei boschi e dei viali alberati nelle città stravolge il paesaggio che, secondo le parole di Benedetto Croce, non è altro che “la rappresentazione materiale e visibile della patria”.

L’Italia, primo Stato al mondo che ha inserito nella sua Costituzione la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico della Nazione (art. 9), deve impegnarsi affinché la difesa del patrimonio naturale non rimanga solo sulla carta.

Per questo motivo, si dovrebbe rivedere il TUF e ai sindaci si deve chiedere:

TUF, centrali a biomasse, mafie, intemperie, incendi, amministrazioni comunali che preferiscono optare per l’abbattimento degli alberi anziché curarli, mancanza di sensibilità da parte di tanti cittadini, contribuiscono a ridurre ogni anno il nostro patrimonio boschivo, messo a dura prova anche da un altro nemico.

Pare, infatti, che negli ultimi tempi molti grandi alberi siano stati sacrificati per favorire il 5G, perché i rami, specialmente dei pini, intralcerebbero la propagazione delle onde. Il 5G, cioè la rete di quinta generazione, permetterà di collegare milioni di dispositivi in pochissimo tempo.

I pareri sono contrastanti: da una parte si sostiene l’enorme pericolosità per la salute dell’uomo e per gli animali, dall’altra l’innocuità assoluta della nuova tecnologia.

Ma può esistere una correlazione tra il taglio di alberi e la diffusione del 5G? Non ci sono al momento studi autorevoli su cui basarci, nell’incertezza si rimane cauti e in attesa di saperne di più sarebbe bene sollecitare indagini serie per fugare ogni dubbio.

Ciò che sappiamo è che questa tecnologia consente l’invio e la ricezione di grandi quantità di dati in un range molto ristretto e necessita, conseguentemente, di un numero maggiore di celle, che devono essere situate a distanze più ravvicinate rispetto a quelle del 4G.

Sarebbe proprio questa limitazione a richiedere che le antenne nei centri abitati devono essere poste a 3 metri d’altezza, perché palazzi, pali, segnali stradali e, anche, gli alberi, rappresentano un ostacolo che le onde radio delle trasmissioni 5G non riescono a superare.

Poiché non è possibile eliminare gli altri ostacoli, si sacrificano gli alberi, infatti costa meno abbatterli che installare un’antenna per permettere al segnale di superarlo. D’altronde, l’aumento dei tagli – che non si è fermato nel periodo di quarantena da Covid-19 – sta andando di pari passo con la diffusione del 5G in tutto il mondo.

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