LA CHIAVETTA USB CHE CUSTODIVA IL 90% DEGLI ATTI DEL PROCESSO DI APPELLO COSIDDETTO ETERNIT BIS ERA INUTILIZZABILE. SAREBBE DOVUTO ESSERE IL GIORNO DELLA SENTENZA. LE SCUSE DELLA CORTE DI APPELLO DI TORINO
Il 14 luglio, doveva essere una data liberatoria per quanti, da oltre dieci anni, attendevano un atto di giustizia. Invece, tra indagini e vicende processuali il processo Eternit bis non ha ancora scritto fine. Infatti, sarebbe dovuto essere il giorno della sentenza ma «prima di prendere la nostra decisione – ha spiegato la Corte -, volevamo esaminare un passaggio di una consulenza».
Inserita la chiavetta USB nel computer, però, sul monitor non è apparso nessun documento. «Non c’era nulla. Non abbiamo capito se la chiavetta che ci è stata consegnata fosse vuota o guasta. In ogni caso, non c’è stato modo di farla funzionare», si sono giustificate le giudici.
«Siamo mortificate», hanno spiegato le giudici della Terza sezione d’Appello, presieduta da Flavia Nasi.
L’imputato l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny
L’unico imputato del processo è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, accusato di omicidio colposo plurimo, aggravato dalla previsione dell’evento. Secondo l’accusa, una donna e un dipendente dello stabilimento Eternit di Cavagnolo, in provincia di Torino sono morti per mesotelioma pleurico e asbestosi causati dall’esposizione all’amianto.
In primo grado il Tribunale piemontese aveva condannato l’imputato anche a risarcire le famiglie dei defunti.
In sede di Appello, il Procuratore Generale Carlo Maria Pellicano ha chiesto la conferma della condanna a 4 anni.
Invece, la causa è stata rinviata alla fine di settembre, per quella che tecnicamente è stata definita “ricostruzione di atti mancanti”.
La Corte ha chiesto, quindi, al procuratore Pellicano di recuperare il materiale. Il PG, a sua volta, ha spiegato che si rivolgerà al collega che sostenne l’accusa in primo grado. Quest’ultimo, infatti, sta utilizzando gran parte de gli stessi atti nell’analogo processo in corso a Vercelli e che riguarda le vittime dell’amianto dell’Eternit di Casale Monferrato.
La storia infinita del Processo Eternit bis
La vicenda giudiziaria è nata nel 2004. Gli stabilimenti Eternit in Italia si trovavano a Casale Monferrato, Rubiera (Reggio Emilia), Cavagnolo (Torino), Broni (Pavia), Bagnoli a Napoli e come Fibronit a Bari. Quindi, nel 2014 il fascicolo fu diviso in diversi tronconi.
Dopo il “misterioso” problema della chiavetta USB gli avvocati difensori dello svizzero Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva hanno sollevato il dubbio che «la chiavetta fosse vuota o illeggibile fin dall’inizio. Se così fosse, il giudizio di primo grado sarebbe nullo», hanno detto. Pertanto stanno valutando anche la richiesta di chiedere una perizia sulla chiavetta.
Ezio Bonanni, avvocato che rappresenta i familiari di un operaio e presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, invita alla calma: «Dobbiamo continuare con pazienza a cercare giustizia. Confidiamo che questa trionfi con la conferma della condanna di primo grado».
Dello stesso avviso l’avvocato di parte civile Andrea Merlino Ferrero, che l’ONA. «Si è trattato di un mero contrattempo tecnologico facilmente risolvibile e relativamente frequente», afferma Merlino. «Nulla di straordinario». La storia del Processo Eternit pare non avere fine. «Purtroppo sì. Ma se si vuole giustizia, servono garanzie. E per queste ci vuole tempo».