IL CALO DEI NUOVI NATI IN ITALIA COME IN ALTRI PAESI DEL MONDO STA METTENDO A RISCHIO IL SISTEMA SOCIALE ODIERNO. OCCORRONO MISURE URGENTI
Nonostante le temperature continuino a salire, quello che stiamo vivendo è un vero e proprio inverno, un “inverno demografico”.
Secondo gli ultimi dati trasmessi dall’ISTAT, il 2022 segna un nuovo record negativo delle nascite nel nostro Paese. I nati, per la prima volta dall’Unità d’Italia, sono scesi sotto la soglia di 400mila, arrestandosi a 392.598. Mentre i decessi registrati sono stati 713.499, circa 12mila in più rispetto all’anno precedente. In altre parole ci sono stati meno di sette neonati e più di dodici decessi per mille abitanti. La media dei figli per ogni donna è 1,24.
Dopo la leggera crescita demografica registrata attorno alla metà degli anni duemila, dal 2008 il numero di nuovi nati è diminuito progressivamente senza mai arrestarsi. Si prevede, così, che nel 2070 la popolazione italiana scenderà sotto i 50 milioni di abitanti. In quattro comuni su cinque si verificherà un drammatico calo demografico entro dieci anni. Non si potranno perciò più garantire la produttività manifatturiera e i servizi minimi essenziali.
Inoltre, con una popolazione in progressivo invecchiamento, diventeranno insostenibili il sistema sociale, quello previdenziale e quello sanitario. A subirne i peggiori effetti saranno i più deboli e coloro che si trovano in condizione di difficoltà economica o di esclusione sociale.
L’“inverno demografico” non colpirà solo l’Italia
Purtroppo il calo della popolazione non coinvolgerà solo l’Italia ma anche il resto del mondo, in particolare l’Unione Europea. Secondo l’Eurostat, il numero dei cittadini si ridurrà del 6%, cioè di 27,3 milioni di persone, entro il 2100. La quota di bambini, giovani al di sotto dei 20 anni e persone in età lavorativa diminuirà. Mentre aumenterà la popolazione dai 65 anni in su.
Nel 2100, gli ultrasessantacinquenni rappresenteranno il 32% della popolazione, rispetto al 21% del 2022. I Paesi con la popolazione più anziana, ad oggi, sono: Italia (22,5%), Finlandia (22,7%), Grecia (22,5%), Portogallo (22,4%) e Germania (22%).
Con le politiche attuali, l’invecchiamento porterà a una pressione significativa sulla spesa pubblica, compromettendo il futuro equilibrio dei sistemi pensionistici e di sicurezza sociale e il potenziale di crescita economica e funzionamento della moneta unica.
Anche ponendo lo sguardo al di fuori dei confini europei la situazione è drammatica. Persino la Cina all’inizio di quest’anno è stata colpita dall’“inverno demografico“, registrando il suo primo calo di popolazione in sei decenni. Alla fine del 2022 il Paese della Grande Muraglia contava 1,41175 miliardi di persone, con un calo di 850mila unità, dato che i decessi hanno superato le nascite.
Servono politiche del lavoro e misure di welfare efficaci
Per far fronte all’emergenza, quindi, la sfida principale che attende l’Italia e gli altri Paesi del mondo è quella di far in modo di creare le migliori condizioni di sviluppo economico, sociale e ambientale. Servono politiche attive del lavoro e misure di welfare dinamico che possano aiutare le famiglie, come incentivi alle coppie, asili nido comunali o aziendali a tempo pieno, viabilità efficiente e vivibilità nei centri urbani.
In particolare l’obiettivo a cui punta l’Europa è “quota 2”, arrivare a due figli in media per ogni donna. Questo risultato, se raggiunto, sarà a malapena sufficiente per mantenere inalterata la popolazione, al netto del numero di immigrati/emigrati. Per farlo l’Unione Europea cercherà di migliorare l’equilibrio tra la vita professionale e quella privata, grazie anche a un’organizzazione del lavoro più flessibile e al congedo parentale.
L’Europa occidentale punta sui servizi
Ma quali sono effettivamente le misure messe in atto dagli Stati europei? Il modello seguito in Europa occidentale, in particolare da Svezia, Francia e Germania, prevede principalmente di incentivare il lavoro femminile, aumentando servizi essenziali come i nidi.
La Germania, per esempio, ha speso in questi ultimi anni fino al 3% del Pil per garantire nidi gratuiti. Ha predisposto il Kindergeld, un contributo universale non legato a limiti di reddito versato fino al diciottesimo anno d’età o ai venticinque per i figli di disoccupati o di studenti. A questo si aggiunge un contributo di 219 euro per il primo figlio, 225 per il secondo e 250 dal terzo in su ogni mese. Infine c’è anche l’Elterngeld, il quale, per i primi quattordici mesi dalla nascita di un bambino, garantisce a qualsiasi genitore una copertura del 65% della perdita di reddito per rinuncia al lavoro, fino a 1800 euro.
Sulla stessa linea è anche il modello francese, dove esiste un portale digitale unico in cui ogni genitore può informarsi su benefici previsti, aiuti economici e detrazioni fiscali per chi mette in regola colf e baby-sitter. Infatti la Francia spende per il welfare delle famiglie il 32% del prodotto interno lordo. Offre anche l’Allocation Familiaire, una sorta di maxi-assegno, che va da 140 euro per un figlio a 500 euro dai quattro in su, erogato mensilmente e calcolato sul numero di figli sotto i 20 anni a carico. L’assegno base aumenta di 88 euro per ogni figlio tra i 14 e i 20 anni e viene erogato fino ai 25 anni per ogni figlio che studia.
Contrastare l’“inverno demografico” in Danimarca e Spagna
Al welfare familiare si dedica anche la Danimarca, dove il costo della retta degli asili nido, dal 70 al 100%, è coperto dalle amministrazioni locali. Invece la Spagna ha deciso di puntare su un uguale trattamento di entrambe le figure genitoriali, prevedendo 16 settimane di congedo per i padri. Favorisce così la condivisione dei compiti in famiglia e il lavoro delle donne.
L’Europa orientale sceglie di agevolare le famiglie numerose
Al contrario, in Europa orientale, come in Ungheria, si è preferito privilegiare l’erogazione di agevolazioni fiscali per le famiglie che “riempiono le culle”. In particolare sono previsti:
- sgravi fiscali per le famiglie che hanno più figli;
- esenzione a vita dalla tassa sui redditi per le donne con almeno quattro figli;
- un prestito a interessi ridotti di 31.500 euro per le donne sotto i 40 anni che si sposano per la prima volta;
- un programma di prestiti per chi ha almeno due bambini e vuole comprare casa, che prevede un aiuto per pagare il mutuo fino al valore di 3mila euro per ogni figlio.
L’Ungheria ha così dedicato quasi il 6% del Pil alla natalità, portando la media di figli per coppia da 1,54 a 1,6. E sembra che lo stesso modello sia quello che voglia seguire l’Italia. Tali misure certamente favoriscono nell’immediato gli indicatori della natalità, tuttavia, senza un’adeguata combinazione di servizi, nel lungo periodo possono non essere efficaci e risolvere la problematica.