giovedì, Dicembre 5, 2024

Afghanistan e danni militari italiani: ancora morti di pace

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Afghanistan danni militari italiani. G.F. è la vittima numero 369 dell’Uranio Impoverito. Rientrato dalla missione di “peace keeping”, a cui aveva partecipato come membro dell’esercito italiano Afghanistan, dopo un malore e l’immediato ricovero, muore a distanza di un mese dopo terribili sofferenze.

L’episodio è avvenuto a luglio scorso ma si è saputo solo ora grazie a colleghi del militare che hanno segnalato l’accaduto all’Osservatorio Militare.

Uranio Impoverito, strage di soldati italiani in Afghanistan

«È senza dubbio una morte “sospetta…sapientemente tenuta riservata dai vertici militari che hanno “tranquillizzato” la famiglia e la giovane vedova distogliendo loro da qualsiasi azione di rivalsa e ricerca della verità». Queste le tesi di Domenico Leggiero, responsabile del centro studi per il personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia.

L’offerta dei vertici militari di seguire la causa di servizio del soldato, nasconde alla famiglia di G.F la possibilità di accedere a ogni diritto. Tra i tanti, il requisito di vittima del dovere e, soprattutto, il risarcimento per militari in Afghanistan (Afghanistan danni militari italiani).

I familiari del giovane militare italiano affermano di non poter essere certi che la causa della morte del congiunto sia l’UI. Il tutto perché non sono stati in grado di esaminarne i campioni bioptici.

Essersi affidati alla Difesa, però, è stato controproducente.  «Anche questo è un classico, potrebbero esserci delle “spiacevoli” conseguenze nel rendere pubblica la notizia. Certo è che, alla luce di quanto sta accadendo da vent’anni sarebbe stato doveroso quanto meno accertare ogni possibilità». «È preoccupante – continua Leggiero – come la questione uranio sia affrontata dai vertici militari e lasciata gestire loro da una politica distratta e lontana dai problemi della gente».

Di questo argomento si è discusso durante la quarta puntata della trasmissione ONA News “Uranio impoverito, la dura battaglia dei militari italiani“. L’avv. Ezio Bonanni, in questo contesto, ribadisce l’importanza della tutela legale del gran numero soldati italiani coinvolti in questa strage.

Conferma dell’utilizzo dell’UI nelle c.d. missioni di pace

Un militare italiano sull’altopiano di Herat in Afghanistan

È un dato di fatto, però, che dai militari italiani in Afghanistan, durante la missione di pace “Enduring Freedom”, l’armamento all’UI è stato usato in grandi quantità. Durante queste missioni esercito italiano ha subito notevoli rischi. Il metallo si utilizzava per perforare le corazze dei carrarmati e distruggere ogni altro ostacolo nemico che si presentasse alle forze di intervento della NATO (Afghanistan danni militari italiani).

L’impatto dei proiettili all’UI con gli obiettivi sviluppa temperature che superano i 3mila °C, nebulizzandoli. L’aerosol di nanoparticelle (un millesimo di millimetro) di metalli pesanti, se respirato o in ingerito, causa forme tumorali.

Con G.F., oggi sono 369 i decessi – afferma l’Osservatorio Militare – e 7.500 i malati.

Forze armate negazioniste

Le Forze Armate, nei processi per richieste di risarcimento, tuttora continuano a negare la relazione tra le patologie e l’Uranio Impoverito ma «sono già 130 le sentenze che riconoscono il nesso di causalità», afferma l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, legale dell’Osservatorio Militare e difensore di molti dei militari colpiti.

La prima vittoria giuridica risale al 3 novembre 2012, quando una sentenza del Tribunale civile di Roma stabilisce che il caporal maggiore Andrea Antonaci – che aveva prestato servizio in Bosnia – è stato ucciso dall’Uranio Impoverito. Un giudizio importante perché decreta il nesso causale fra la patologia contratta dal giovane militare – un linfoma di Hodgkin – e l’esposizione all’U235.

Cinque anni dopo, un verdetto dello stesso tribunale convalida le responsabilità del ministero della Difesa. Si tratta del processo che vede come vittima il caporal maggiore dell’Esercito Corrado Di Giacobbe. I giudici scrivono nella sentenza 11408/2017 che i nostri militari inviati sul teatro di guerra dei Balcani, per una missione di peace keeping, non erano provvisti di attrezzature conformi a prevenire la contaminazione da particelle aero-disperse di Depleted Uranium.

Tribunale di Terni: soldato riconosciuto vittima del dovere

È, invece, il Tribunale del lavoro di Terni a riconoscere vittima del dovere un soldato contaminato. I giudici hanno così condiviso le tesi dell’avv. Angelo Fiore Tartaglia.

«Incomprensibile l’ostinata violenza del ministero della Difesa che oltre ad accanirsi nel negare il rapporto causa effetto, sperpera soldi pubblici in ricorsi e appelli che servono solo ad umiliare ancora di più i malati». Queste le affermazioni del legale del ricorrente. «Ora è il caso di mettere insieme le centinaia di azioni ostative messe in atto dal ministero, quantificarne le spese e porle all’attenzione della Corte dei Conti che più volte ha “richiamato” i vertici militari a una gestione più accurata nella gestione di questa situazione».

E sempre più spesso i ricorsi del ministero della Difesa si infrangono in appello. È la volta della Corte di Trieste, che respinge il ricorso del suddetto dicastero e conferma la sentenza favorevole all’erede di una delle vittime. Quest’ultima è stata pronunciata dal Tribunale del lavoro di Udine.

La vicenda di G.F. ripropone la necessità di essere sempre vigili e attenti sul problema militari italiani morti da Uranio Impoverito.

Le mancate denunce delle vittime e dei familiari e, infine, gli interessi sui poligoni sardi, fanno intendere a una manovra forte dei vertici militari che sono tornati, con prepotenza, a imporre la propria autorità.

Decisa a «rompere quel silenzio spaventoso che c’è stato finora» sull’argomento, l’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta. L’ex Ministro, esattamente un anno fa, aveva annunciato l’avvio di un tavolo tecnico per approfondire il problema dell’Uranio Impoverito. «C’è, esiste, e non possiamo voltarci dall’altra parte».

Governo, occorre legge ad hoc

Per l’ex titolare della Difesa servirebbe una legge che punti a «invertire l’onere con la prova e salvaguardare le vittime da ogni possibile ostruzionismo dell’Amministrazione». Il personale sarebbe, così, sollevato dal dover dimostrare di avere contratto la patologia in servizio. Invece, sarebbe l’Amministrazione a dover dimostrare che la malattia derivi da altre cause.

Per chiarire di chi sono le colpe e, soprattutto, come debbano essere definiti gli indennizzi, si sono alternate ben quattro Commissioni parlamentari di inchiesta. L’ultima presieduta dall’on. Gian Piero Scanu, il quale sostiene la necessità di «un atto di indirizzo che impegni governo e Parlamento ad attuare con la massima tempestività le disposizioni che la Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito della Camera indicherà come non più procrastinabili».

Il commento di Domenico Leggiero: «Ci auguriamo che la raccolta firme per la presentazione della legge Scanu sulla tutela del personale, presentata dall’On.le Gianluca Rizzo, proceda spedita. Sia verso una calendarizzazione, sia verso un’approvazione che rappresenterà il grado di sensibilità del nostro Parlamento verso una problematica che sta uccidendo centinaia di militari. E non si reagisce, solo per continuare a nascondere le colpe di oscuri personaggi ancora troppo forti, per consentire alla verità di emergere».

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