Rimediare alla desertificazione dei fondali con Oceanus
L’inquinamento e lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali hanno causato devastanti conseguenze non solo sulla terra ma anche nei mari. Perciò è importante creare un nuovo “polmone azzurro”, capace di rigenerare forme di vita là dove un’intensa attività di pesca ha provocato la desertificazione dei fondali. Così nasce il progetto “Mare nostrum“, portato avanti da Oceanus.
L’iniziativa prevede l’installazione di barriere soffolte sommerse per “rigenerare” il mare. Saranno create scogliere artificiali, totalmente immerse e non visibili in superficie, allo scopo di ricreare la flora e la fauna marina. Queste strutture sono ecocompatibili e certificate, sia in relazione alla qualità dei materiali sia per le loro caratteristiche.
Dopo essere state collaudate, sono state spedite a Budoni, un comune della Sardegna in provincia di Sassari, dove prenderà vita il progetto. Entro la fine dell’anno saranno posizionate sul fondale che, purtroppo, risulta fortemente compromesso dall’attività di pesca a strascico della zona.
«Creare dei reef (scogliere) artificiali, in grado di rigenerare la biodiversità dell’areale impoverito rende favorevole lo sviluppo di molte specie ittiche, con particolare attenzione alle fasi riproduttive e alle specie giovani – dichiara il responsabile tecnico di “Mare Nostrum“, Guido Beltrami – aumentandone sensibilmente la loro percentuale di sopravvivenza, con conseguente aumento della produttività naturale nelle aree limitrofe».
I benefici dell’impiego di barriere sui fondali marini
Lo sviluppo del progetto sarà poi monitorato per stabilirne i benefici a medio e lungo termine. I primi dati da registrare sono già previsti per febbraio 2022.
Tuttavia, non è la prima volta che si sono adottate soluzioni simili. Dall’esperienza di progetti analoghi, realizzati tra il 2005 e il 2016, sono emersi diversi vantaggi che l’impiego di barriere sul fondale marino porta con sé. Questi sono:
- favorire la creazione di catene alimentari stabili e durature;
- incrementare la pesca;
- proteggere e ri-naturalizzare zone abitate da determinate specie;
- favorire il ripristino di posidonieti, praterie sottomarine che, oltre a ospitare e nutrire gli organismi marini, proteggono la costa dall’erosione.
Perciò il progetto di Oceanus costituisce una soluzione concreta per far fronte all’impoverimento degli stock ittici mediterranei. Inoltre favorisce il ripristino della biodiversità e l’aumento della flora e della fauna tipica del luogo.
«Queste strutture – spiega il presidente e fondatore di Oceanus, Fabio Siniscalchi – sono ben più complesse degli ambienti naturali circostanti. La loro collocazione in ampi fondali arenosi le rende delle vere e proprie oasi marine». Infatti, le barriere offrono rifugio e protezione ai pesci e forniscono anche nuove fonti alimentari.
L’azione di Oceanus per la salvaguardia del mare
Il progetto è portato avanti da Oceanus, organizzazione no-profit, nata grazie a un insieme di persone che condividono la passione per il mare e l’obiettivo di rendere il pianeta un posto migliore.
Attraverso le campagne di sensibilizzazione a tema ambientale promuovono e divulgano la ricerca scientifica e l’importanza di salvaguardare, in particolare, gli ecosistemi marini. Inoltre è parte fondamentale dell’azione di Oceanus anche la realizzazione di progetti innovativi, che offrano nuove soluzioni a vecchi problemi.
Proprio in questo ambito si posiziona l’iniziativa “Mare Nostrum” e l’installazione delle barriere artificiali. Questo progetto, oltre a produrre benefici per i fondali marini, è perfettamente in linea con le priorità poste dall’Unione Europea e dal governo per favorire, entro il 2050, una transazione ecologica capace di proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale degli Stati membri.
Impatto della pesca eccessiva sul mare e sulla biodiversità
Le barriere ideate da Oceanus costituiscono una soluzione scalabile e riproducibile in situazioni differenti. Per questo possono essere un valido aiuto in più zone del Mar Mediterraneo, che soffre nel suo complesso per gli effetti delle attività di pesca eccessiva.
Infatti una delle più gravi minacce alla salute dei mari e di tutte le specie che li abitano è il fatto che le quantità pescate sono tali da non permettere il ripopolamento. In soli quarant’anni si è registrata una diminuzione delle specie marine del 39%. Ben il 31% degli stock ittici globali è sfruttato al di sopra del livello di sostenibilità, mentre il 61% è sfruttato a pieno regime. La situazione è ancora più grave nel Mediterraneo, dove si stima che il 93% degli stock sia soggetto a sovrasfruttamento.
In più, il problema dello sfruttamento intensivo delle risorse ittiche ha un molteplice impatto sulla biodiversità marina. Infatti, oltre a servirsi delle risorse in maniera non sostenibile, non colpisce soltanto le specie di maggiore interesse commerciale, le cosiddette “specie target”, ma anche tutte quelle specie che vengono catturate accidentalmente da attrezzi di pesca poco selettivi.
Nel Mediterraneo, la percentuale scartata, detta “bycatch”, può arrivare fino al 70 % del pescato e interessa sia le specie prive di valore commerciale sul mercato sia esemplari di specie target sotto la taglia minima di conservazione. Questa pratica colpisce, perciò, soprattutto i pesci giovani non ancora in età riproduttiva, avendo così un enorme impatto negativo sulla capacità riproduttiva delle specie.
Inoltre interi habitat marini vengono danneggiati, le reti alimentari marine sono alterate e specie, come tartarughe marine, sono sempre più spesso catturate accidentalmente.
Tutelare i fondali dalla pesca a strascico
La pericolosità della pesca eccessiva è determinata anche dai metodi di cattura adottati, che spesso si rivelano distruttivi e insostenibili per l’equilibrio dell’ambiente marino.
Un esempio è sicuramente costituito dalla pesca a strascico, una delle pratiche più diffuse. Purtroppo è anche quella più pericolosa perché causa la distruzione dei fondali e della biodiversità marina in maniera spesso irreversibile.
Infatti la pesca a strascico prevede il trascinamento di una vasta rete sul fondo del mare, al fine di massimizzare la cattura di pesce. Tuttavia, nonostante esistano diversi tipi di rete, come la sogliolara, impiegata per la cattura di sogliole, razze e molluschi, o la gangamella, utilizzata per i crostacei, la non selettività del metodo fa sì che la rete trascini via tutto ciò che entra nel suo raggio. Perciò diventa un pericolo non solo per i pesci commerciabili ma anche per altre specie, piante marine e numerosi organismi che, sebbene non siano commestibili, sono essenziali per l’equilibrio dell’ecosistema del mare.
Inoltre la tecnica è utilizzata anche sui fondali a una profondità maggiore di duecento metri, dove causa un impatto ancora più negativo.
Infatti gli habitat marini profondi sono caratterizzati da una ricca biodiversità e ospitano molte specie endemiche, cioè tipiche di quella specifica area, e commercialmente importanti. Ma, rispetto alle acque poco profonde, l’impatto della pesca a strascico sugli ecosistemi dei fondali è ritenuto più grave e di lunga durata, a causa della loro minore capacità di recupero e della maggiore vulnerabilità. Le conseguenze più preoccupanti sono le riduzioni di sostanza organica e della biodiversità e un ricambio più lento del carbonio organico.
Soluzioni per salvaguardare il mare e le specie marine
Ormai da tempo si è a conoscenza dei problemi che la pesca eccessiva, in particolare la pesca a strascico, porta agli ecosistemi marini. Se la situazione non muta si stima il collasso della pesca commerciale entro il 2050.
Perciò in molti Paesi sono state adottate delle misure per arginare questo problema. In Italia, per esempio, si è deciso di vietare la pesca a strascico entro le tre miglia marine e su fondali inferiori a cinquanta metri di profondità. In Europa, invece, nel 2019, è stato approvato il divieto, dal 1° maggio al 31 luglio, di utilizzo di reti a strascico entro cento metri di profondità e la riduzione dello sforzo di pesca del 10% per tre anni.
Una soluzione alternativa è quella impiegata in Islanda. In questo Stato la pesca a strascico prevede l’utilizzo di luci colorate nelle reti e speciali griglie, che permettono di evitare la cattura accidentale di pesci più piccoli.