NELL’OTTCA DEI BUONI PROPOSITI PER IL NUOVO ANNO E A POCHI GIORNI DALLA FINE DELLA COP28, SAREBBE IL CASO DI PENSARE A UNA “RIVOLUZIONE” DI PENSIERO E AZIONI, CHE POSSA GARANTIRE UN “BENESSERE SOSTENIBILE” PER GLI UOMINI E PER IL PIANETA. PER RIUSCIRCI, DOVREMMO ABBANDONARE L’OSSESSIONE PER IL PRODOTTO INTERNO LORDO (PIL) E ADOTTARE POLITICHE GREEN
La rivoluzione inizia da New York
In molti, nel resto del mondo, sono scesi in piazza. Ripercorriamo qualche tappa saliente e consideriamo le nuove proposte che si stagliano all’orizzonte. A New York City, per esempio, si sta levando un coro di protesta, una “rivoluzione di colori” da quanti esigono un’azione governativa concreta contro il cambiamento climatico.
COP28 ha delineato bene lo scenario che si prospetta: il nostro pianeta è sull’orlo di un baratro. Il clima si sta trasformando in modo imprevedibile, il ghiaccio marino antartico è ai minimi storici, mentre il 2023 si profila come uno degli anni più caldi mai registrati. Stiamo insomma superando i confini che garantiscono l’equilibrio del nostro ecosistema e oltrepassando i limiti della sostenibilità.
Un malessere tangibile e globalizzato
Oltre alle questioni climatiche, l’ineguaglianza dilaga, la politica diventa sempre più polarizzata, consumando il tessuto sociale. Nel 2017, secondo Oxfam, la Confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, otto individui possedevano più del 50% della ricchezza mondiale.
L’ansia, la depressione e lo stress sono in aumento, mentre i lavoratori a tempo pieno lottano per arrivare a fine mese, costretti a più lavori per far quadrare i conti. I datori di lavoro riducono il personale e aumentano i carichi di lavoro, creando uno sfruttamento che mina la dignità umana.
Fatta questa premessa, si rende necessario non solo un cambiamento di politiche, ma una riconfigurazione degli stessi valori. Dovremmo mettere il benessere umano al centro delle nostre azioni, smettendo di sacrificare il nostro pianeta e le persone per un’illusoria crescita economica? C’è chi ritiene di sì.
Nell’aria una nuova rivoluzione di pensiero
Lo scorso maggio, la conferenza sulla crescita sostenibile “Beyond Growth“, ospitata al Parlamento Europeo e sponsorizzata dalla Commissione Europea e dal Club di Roma, ha attratto oltre 2.500 partecipanti in presenza e altri 2mlila online.
Nel suo discorso inaugurale, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha emesso un accorato appello: il PIL non può più essere la misura suprema del progresso.
Ha poi invocato con forza la transizione verso un benessere sostenibile, guadagnandosi una standing ovation.
Forte anche il grido di battaglia di Agata Meysner, presidente di Generation Climate Europe, (coalizione di organizzazioni giovanili europee che si battono per il clima).
Bisogna unirsi al “movimento dei movimenti” e forgiare un’economia basata su prosperità sostenibile, giustizia e sufficienza.
Infine, la COP28, conclusasi il 13 dicembre scorso, è arrivata a un accordo che riconosce per la prima volta la necessità di una transizione dai combustibili fossili.
Ma basteranno questi eventi a cambiare le cose? O serve una sana rivoluzione di pensiero, accompagnata da politiche mirate?
Proteste climatiche: il potere e la sfida al PIL
Mentre le strade si riempiono e le voci si alzano in un coro di preoccupazione per l’ambiente, un numero crescente di movimenti mira a spezzare le catene della dipendenza dal PIL. Reti come la Wellbeing Economy Alliance stanno promuovendo un paradigma nuovo, diverso, che abbraccia un’economia più “olistica”.
L’attuale sistema, con la sua ossessione per la crescita economica senza limiti, è infatti obsoleto. Propone che tutto ciò di cui le persone hanno bisogno sia un incessante incremento del reddito e del consumo, senza considerare il costo ambientale e sociale. Si presume che l’economia di mercato possa espandersi in eterno, che la disuguaglianza massiccia sia un prezzo giusto per stimolare questa crescita. Ma la realtà è diversa.
Il PIL, un indicatore la cui validità è sempre più messa in discussione, non misura il benessere sociale, né la distribuzione del reddito o i danni all’ambiente. Il suo utilizzo improprio sta conducendo le società verso un abisso di insostenibilità: arricchisce un’esigua élite e impoverisce la maggioranza dei cittadini. Che fare?
Verso una nuova misura di benessere sociale
I ricercatori stanno cercando di fornire alternative valide e sostenibili.
Esistono già centinaia di indicatori di benessere sociale in circolazione, utilizzati da enti come le Nazioni Unite, la Banca Mondiale e l’OCSE, oltre ad accademici e organizzazioni non governative.
Tra questi, spiccano il Genuine Progress Indicator (GPI), l’Indice Better Life dell’OCSE (indagine sulla soddisfazione della vita). Tuttavia, per diventare uno “standard sociale condiviso”, qualsiasi nuovo indicatore di benessere sociale dovrebbe superare il focus esclusivo sul reddito, considerando anche la sua distribuzione equa.
Dovrebbe ad esempio includere i costi associati al degrado ambientale e sociale, integrando fattori come il capitale relazionale, la buona governance e la partecipazione attiva nelle decisioni. Allo stesso modo, non dovrebbe trascurare il valore dei servizi ecosistemici forniti dalla natura stessa.
Diverse iniziative di ricerca stanno affrontando questi aspetti. Progetti sulla rivoluzione verde, come MERGE (finanziato dall’Unione Europea), il modello EUROGREEN, applicato dalla Francia e il modello LowGrow dell’economia ecologica canadese, rappresentano alcuni uno dei tanti sforzi finalizzati a sviluppare una misura di benessere sociale più completa e inclusiva.
Earth4All del Club di Roma: due scenari all’insegna della rivoluzione
Un altro approccio di ampio respiro, rappresentato dal modello Earth4All del Club of Rome, esplora scenari futuri fino al 2050. Il primo, noto come “business as usual”, dipinge un quadro desolante di disuguaglianza crescente, turbolenze climatiche e declino del benessere umano, pur mantenendo il PIL in costante crescita.
Al contrario, il secondo scenario, chiamato “salto da gigante”, sottolinea come investire in settori chiave, quali: energia rinnovabile, cibo rigenerativo, riduzione delle disuguaglianze, eliminazione della povertà e empowerment – possa assicurare un benessere sostenibile e paritario sia per le persone sia per l’ambiente.
Politiche per un futuro migliore: quattro principi fondamentali
Purtroppo, non tutti i Paesi sembrano intenzionati ad abbracciare politiche innovative, orientate al benessere sostenibile. Preferiscono restare arroccati al PIL…
Fra gli Stati virtuosi, l’Unione Europea e il Wellbeing Economy Governments (WEGo), che include nazioni come la Scozia, la Nuova Zelanda, il Galles, la Finlandia, il Canada e l’Islanda, stanno adottando politiche pionieristiche sul benessere sostenibile.
Ecco i quattro principi proposti dai “virtuosi” per superare la dipendenza dal Prodotto Interno Lordo (PIL) e guidare il cambiamento verso un’economia più sostenibile ed equa.
- Biocapacità: eliminare gradualmente i combustibili fossili, limitare l’estrazione di materie prime e proteggere gli ecosistemi. Un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili e un atto sulla giustizia e la resilienza delle risorse possono essere le basi per ridurre l’impronta materiale e ripristinare la Natura;
- Equità: utilizzare strumenti fiscali per ridurre estremi di reddito e ricchezza, con una tassazione mirata e il controllo dei redditi massimi e minimi;
- Benessere per tutti: migliorare il sistema sociale garantendo l’accesso a servizi di base universali e l’assicurazione di un sostegno economico essenziale;
- Democrazia attiva: creare spazi di partecipazione e deliberazione democratica per la formulazione di politiche basate su equità, benessere e limiti ecologici, coinvolgendo attivamente i cittadini e i sindacati.
Se applicate, queste politiche potrebbero superare la resistenza degli interessi consolidati che mantengono lo status quo dei soliti miliardari dei settori dei combustibili fossili e dell’agricoltura industriale.
Costruire una visione collettiva per un futuro sostenibile
Un passo essenziale in questa direzione è l’adozione di una visione condivisa degli obiettivi di benessere sostenibile, in cui le persone possano riconoscersi e sentirsi motivate a realizzare.
Il compito è arduo e sicuramente, abbracciare il cambiamento comporterà sacrifici. Tuttavia, persistere nell’attuale modello di business rappresenta un sacrificio ben più grande, che minaccia il nostro benessere individuale e collettivo nel lungo periodo.
Fonti
Nature.com
Richardson, K. et al. Sci. Adv. 9, adh2458 (2023).
Hardoon, D. An Economy for the 99%. Oxfam Briefing Paper
Costanza, R. et al. Nature 505, 283–285 (2014).