L’asbesto un tempo considerato minerale pregiato dalle caratteristiche utili al benessere delle popolazioni, è stato, in pratica utilizzato in maniera intensa, per circa sessant’anni.
Anni 90: l’Italia tra i maggiori produttori mondiali di amianto
Dal dopoguerra ne sono state prodotte circa 3milioni e 800mila tonnellate e importate circa 1milione e 900mila tonnellate di amianto grezzo (fonte INAIL “Rifiuti contenenti amianto” ed. 2013).
L’asbesto è stato impiegato in tutti i settori del quotidiano. Lo trovavamo nell’industria, dove era considerato ottimo per le sue caratteristiche di isolamento e resistenza al calore, all’edilizia, soprattutto, con l’uso dell’eternit, un impasto di cemento-amianto.
A distanza di ventisei anni dall’entrata in vigore della Legge n. 257, del 27 marzo 1992, che ha previsto la cessazione dell’impiego di questo materiale, su tutto il territorio nazionale sono ancora presenti ingenti quantità di manufatti.
Essendo un materiale fibroso, con il tempo l’amianto si sfalda in fibre di dimensioni microscopiche e volatili. Queste fibre, una volta inalate o ingerite in maniera involontaria dovuta, ad esempio, al rilascio delle fibre stesse dalle tubature degli acquedotti o alla contaminazione indiretta di pesci o vegetali, sono causa di patologie cancerogene, la più aggressiva il mesotelioma pleurico e quindi mortali.
Fibronit di Bari: la fabbrica della morte
La Fibronit, a Bari, ha ucciso oltre quattrocento persone tra dipendenti e abitanti dei tre quartieri adiacenti la fabbrica, Madonnella, Japigia e Carrassi.
I manufatti di amianto, quindi, nel tempo si sono trasformati in rifiuti: in Italia, solo nel 2015, sono state prodotte 369mila tonnellate, delle quali circa il 93,9% sono rifiuti da materiali da costruzione (fonte ISPRA “Rapporto rifiuti speciali” ed. 2017).
I rischi legati all’uso dell’amianto, alle operazioni di bonifica e al risanamento degli spazi urbani e delle aree industriali dismesse sono notevoli, pertanto ogni intervento oggi richiede l’impegno di specialisti. A cominciare dai geologi: in occasione dei venticinque anni di SIGEA, la Società Italiana di Geologia Ambientale, ha realizzato una pubblicazione «che affrontasse sia gli aspetti sanitari sia di bonifica sia quelli ambientali, nel senso più ampio del termine», ci spiega Salvatore Valletta, presidente delll’Ordine dei Geologi di Puglia.
Il volume è stato presentato lunedì 12 marzo, alla sala convegni della Camera di Commercio di Bari, alla presenza di iscritti agli Ordini di Architetti, Chimici e Geologi.
«L’amianto, in primis, rappresenta un insieme di sei minerali e i geologi per definizione studiano i minerali e le rocce che contengono questi minerali – continua Valletta -, la cui caratteristica principale è quella di essere minerali fibrosi, composti da fibre sempre più piccole, quindi respirabili, che possono interagire con i tessuti polmonari e creare grossi problemi sanitari».
Dove poter scaricare la pubblicazione?
Il volume “Rischio amianto in Italia: da minerale pregiato a minaccia per la salute e per l’ambiente”, scaricabile via internet dal sito di SIGEA, affronta i vari aspetti tecnici e normativi nel nostro Paese, associati all’uso e al riciclo dei materiali che contengono l’amianto e i relativi rischi ambientali e sanitari.
Dalla gestione, riutilizzo e smaltimento dei rifiuti di Materiale Contenente Amianto, (MCA) alle tecniche avanzate per la mappatura fino ai grandi interventi di bonifica nei Siti di Interesse Nazionale. Tra questi ultimi, Bari da oltre dieci anni è impegnata nella bonifica dell’area su cui sorgeva la Fibronit.
Amianto e Fibronit: cosa accadde?!
Quella che poi per definizione è diventata “la fabbrica della morte” ha funzionato dal 1935 al 1985 per diventare poi una discarica: in quattro dei capannoni dello stabilimento saranno in seguito trovati sacchi che contenevano 70 metri cubi di polvere di amianto, alcuni datati luglio 1997 e marzo 1998, oltre frammenti di lastre ondulate di eternit e contenitori pieni di fanghi di lavorazione; quantità imprecisate di altri rifiuti di amianto sono state invece scoperte nei cortili fino a 2 metri di altezza e poi ricoperti di terra e, dopo il carotaggio, nel sottosuolo della fabbrica stessa, fino a 5 metri di profondità.
Il nesso causale tra la presenza dell’opificio al centro di tre quartieri del capoluogo pugliese e l’elevato numero ammalati e morti di mesotelioma pleurico, convince, a gennaio del 2002, il sostituto procuratore del tribunale di Bari Roberto Rossi a mettere i sigilli a capannoni e terreni dell’intera superficie dell’ex stabilimento di via Caldarola.
L’area, contaminata, ha continuato a essere una bomba ecologica fino a giugno 2007 quando l’Amministrazione Emiliano ha dato il via alla bonifica del sito facendo rimuovere le oltre 1500 tonnellate di amianto presenti sul suolo; a luglio 2010 il sindaco presenta il progetto di messa in sicurezza permanente e di un parco cittadino che sorgerà sull’intero spazio occupato dalla Fibronit.
Finalmente parte la bonifica
I lavori, partiti a ottobre 2016, sono affidati alla ditta Teorema, che si è aggiudicata l’appalto da 14 milioni di euro, finanziato con fondi della Regione Puglia.
«La conclusione di tutti i lavori di messa in sicurezza permanente del sito – circa 14 ettari – è prevista a fine 2018 – ammette il presidente dei Geologi pugliesi -. L’obiettivo è di realizzare un parco, a memoria di chi ci ha lavorato e di chi ci ha lasciato la vita. Il “Parco della rinascita”, da un luogo di morte a un luogo dove domani la popolazione, i bambini, possono giocarci sopra».
La ricerca, negli ultimi anni, ha portato alla messa a punto di una serie di brevetti italiani ed europei che permetterebbero di trasformare i Rifiuti Contenenti Amianto (RCA) in risorsa, utilizzando fondi UE.
Dottor Valletta, come l’amianto da un rischio può diventare una risorsa?
«Nel corso del convegno di oggi si è anche riflettuto su come trovare una destinazione diversa ai manufatti contenenti amianto, che sono distribuiti in tutto il Paese. Bisogna pensare anche alla possibilità di riutilizzarlo. Questo minerale a determinate temperature si trasforma e diventa un minerale di tutt’altra natura e non pericoloso – spiega Salvatore Valletta -. Il problema è dare anche spazio alla ricerca, ci stanno tantissimi brevetti, per trovare la soluzione più efficace per trattarlo, inertizzarlo, renderlo innocuo».