NEL CUORE DELLE FREDDE ACQUE DEI PAESI BASSI, UN PROGETTO DI INGEGNERIA ECOLOGICA STA RISCRIVENDO LE REGOLE DELLA RINASCITA AMBIENTALE. L’ESPERIMENTO, NOTO COME MARKER WADDEN, È UN ESEMPIO VIVENTE DI REWILDING, UN APPROCCIO CHE MIRA A REINTRODURRE PROCESSI ECOLOGICI NATURALI E SPECIE NATIVE PER PERMETTERE AGLI ECOSISTEMI DEGRADATI O ESTINTI DI RICOMPORSI E RIGENERARSI AUTONOMAMENTE
Il rewilding e l’arcipelago artificiale di Marker Wadden
Sull’isola di Flevopolder, nelle acque del lago Markermeer, sul quale si affaccia Amsterdam, sorge Marker Wadden, un arcipelago di 1.300 ettari formato da sette isole.
Per realizzare il progetto (iniziato nel 2016), sono state utilizzate avanzate tecniche di ingegneria e di dragaggio dei detriti sabbiosi, così da trasformare un lago morente in un habitat ricco di biodiversità.
Un paradosso naturale tra natura e ingegneria
Marker Wadden è un luogo di contrasti. Da un lato è immerso in una natura selvaggia intatta, con le sue piante di marram che ondeggiano al vento e le conchiglie sparse sui sentieri sabbiosi. Dall’altro, è un’opera altamente ingegnerizzata, un esempio di come l’uomo può modellare l’ambiente naturale.
Gli scienziati stessi faticano a definire il progetto. Eric Higgs, uno specialista di rewilding dell’Università di Victoria in Canada, descrive Marker Wadden come un “simulacro”, una copia di qualcosa che non ha un vero originale. Non è infatti mai esistito un arcipelago d’acqua dolce in quella zona. Ma come ha avuto inizio l’idea?
Ripristinare un lago morto
L’idea di costruire un’isola ha iniziato ad attrarre Roel Posthoorn, un dirigente della Società Olandese per la Conservazione della Natura Natuurmonumenten, intorno al 2010.
Il progettista era preoccupato per il Markermeer, un bacino idrico che un tempo faceva parte di una lunga insenatura del Mare del Nord, che raggiunge la periferia di Amsterdam.
Gli ingegneri avevano costruito una diga nel 1932, creando un vasto specchio d’acqua di 3.570 chilometri quadrati separato dall’oceano. Nel 1975, una seconda diga aveva suddiviso il bacino idrico all’incirca a metà, trasformando il Markermeer in un lago d’acqua dolce.
Ben presto però l’area è diventata una zona morta. A soli 3-4 metri di profondità, era piena di limo che bloccava la luce e rallentava la fotosintesi.
Posthoorn aveva già affrontato sfide simili in ecosistemi danneggiati, dove le barriere costruite per proteggere le zone basse avevano bloccato il passaggio delle maree e ridotto la vita marina. Una possibile soluzione era quella di creare aperture nelle dighe per permettere all’acqua di fluire liberamente, ripristinando così le dinamiche naturali delle maree.
Tuttavia, era convinto che l’ingegno umano potesse trovare soluzioni più innovative. «Nessuno mette in dubbio che siamo capaci di compromettere l’ambiente. Quando non è possibile tornare indietro, dobbiamo inventare nuovi approcci». Il dirigente ha quindi sviluppato l’idea di costruire isole nel Markermeer.
Queste infatti possono migliorare la biodiversità creando nuovi habitat e aree di riparo per la fauna selvatica. Inoltre, aiutano a migliorare la qualità dell’acqua del lago: forniscono strutture naturali che favoriscono la deposizione dei sedimenti e la filtrazione, migliorando così l’ossigenazione e riducendo l’accumulo di limo.
In questo modo, le isole aiutano a ripristinare l’equilibrio ecologico del lago, contribuendo a una ripresa graduale della vita marina e della vegetazione acquatica. Ma veniamo alle sfide incontrate.
La visione di Roel Posthoorn
I problemi del lago erano stati analizzati per decenni e si erano già spesi circa 45milioni di euro per cercare di risolverli. Basandosi su vari suggerimenti per migliorare l’ecosistema del lago, Posthoorn ha presentato il suo progetto per la creazione di isole alla lotteria olandese dei codici postali. Un’iniziativa che distribuisce i proventi della riffa per progetti di utilità pubblica. Grazie a questo concorso, poi, Nel 2012, ha vinto un finanziamento di 15milioni di euro.
In seguito, Natuurmonumenten, organizzazione per la conservazione della natura, ha collaborato con i governi nazionale e regionale per raccogliere ulteriori fondi, raggiungendo un totale di 90 milioni di euro per il progetto.
L’agenzia esecutiva del ministero delle Infrastrutture e della Gestione delle Acque (Rijkswaterstaat) e Natuurmonumenten hanno quindi commissionato i lavori, che sono stati eseguiti dall’appaltatore olandese Boskalis di Papendrecht insieme con altre aziende specializzate nella progettazione e costruzione di isole.
La forma a L
Per realizzare questa vision di rewilding si è adottato un approccio diverso rispetto alla tradizionale ingegneria civile, che di solito costruisce dure difese contro le forze naturali. Invece, qui si è puntato a creare un design che favorisse le dinamiche naturali e i processi ecologici. «Il primo giorno è dedicato alla costruzione. Ma dal secondo giorno, l’ambiente è nelle mani della natura», spiega Posthoorn. Ma scopriamo ulteriori dettagli.
Il perimetro del Marker Wadden ha una forma quasi rettangolare, con un lato corto e uno lungo che formano una protezione a forma di L. La sezione più esposta, lunga 1,8 chilometri e, quindi, più vulnerabile alle onde e al vento, è realizzata in pietra. Il resto della struttura, che forma l’angolo della L, è costituito da lunghe spiagge bianche con dune rialzate, che proteggono le sette isole basse.
Ognuna di esse è costituita da una “diga ad anello” di sabbia, o scomparto, riempita di fango. In totale, sono state utilizzate 37,2 milioni di tonnellate di materiale dragato, quasi interamente prelevato dal fondo del lago.
Tuttavia, il fango ha subito una maggiore contrazione del previsto, costringendo a continui riempimenti. Inoltre, l’intero arcipelago sta lentamente affondando nel fondo del lago.
La prima isola è stata completata nel 2016. Un anno dopo è iniziato il Knowledge and Innovation Programme Marker Wadden (KIMA), un programma di ricerca finanziato con circa 6 milioni di euro da diverse fonti, condotto da università e organizzazioni di ricerca. Sebbene alla fine del 2023 siano state presentate le scoperte, il progetto è ancora in fase di sviluppo e la ricerca è solo all’inizio.
Rewilding e la gestione adattativa
Il progetto Marker Wadden si basa sul concetto di “gestione adattativa”, che implica l’adattamento continuo delle tecniche di costruzione e manutenzione in risposta ai cambiamenti naturali. Un esempio di gestione adattativa è la lotta contro i salici invasivi, che minacciano le canne delle paludi. Ogni anno, i volontari dedicano tre mesi a rimuovere i salici per prevenire la loro diffusione.
Un nuovo habitat per la fauna selvatica
Il vero successo dell’arcipelago è la sua trasformazione in un rifugio per la fauna selvatica. Durante la costruzione, volatili come le sterne hanno iniziato a colonizzare le isole. Nel 2021, erano state osservate 47 specie di uccelli nidificanti. Circa 60mila migratori hanno poi trovato rifugio e cibo annualmente.
Specie rare come fenicotteri e beccapesci hanno arricchito la biodiversità del sito. Liesbeth Bakker, ecologista dell’Istituto olandese di ecologia, ha monitorato l’ecologia delle isole, scoprendo che «l’ecosistema sembra svilupparsi verso una maggiore integrità ecologica».
Un progetto di rewilding unico
L’arcipelago è un esempio eccezionale di come l’ingegneria possa collaborare con la natura per creare un ecosistema sostenibile. Il progetto, nonostante le sfide e i costi elevati, rappresenta un’opportunità unica per testare e apprendere nuove soluzioni ambientali.
Paula Whitfield, ecologista e ricercatrice, sottolinea: «Senza iniziative come questa, non ci sarebbe la spinta per cercare nuove soluzioni basate sulla natura».
Con il tempo, le isole dovranno affrontare ulteriori sfide, come gli effetti del cambiamento climatico. Tuttavia, Marker Wadden rimane un esempio innovativo di come possiamo rispondere alle sfide ecologiche moderne, combinando approcci ingegneristici con strategie di conservazione naturale.
Fonte
National Geographic