Come i danni della plastica diventano “Plastic free”
La plastica fin dal suo concepimento è stata osannata per la sua estrema versatilità e proprietà quali: resistenza alla corrosione, leggerezza, trasparenza, bassa tossicità, durabilità ed economicità.
Per tali motivi, il suo utilizzo ha rivoluzionato le abitudini della generazione post-Seconda Guerra Mondiale.
A testimonianza di ciò, nel 1957 il filosofo Roland Barthes scriveva:
La gerarchia dei materiali è finita: uno solo li ha sostituiti tutti
Qualche cifra preoccupante
Dalla rivoluzione della plastica, in tutto il mondo sono stati prodotti tuttavia 6,3miliardi di tonnellate di rifiuti di plastica, pari a un camion della spazzatura al minuto.
Gli europei generano oltre 25milioni di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno, di cui circa il 40% viene riciclato.
Oltre 10milioni di tonnellate di plastica l’anno vengono scaricate nei nostri oceani, con oltre 247miliardi di pezzi di plastica che galleggiano nel Mar Mediterraneo.
L’inquinamento da plastica costa ai Paesi del Mediterraneo oltre 640milioni di euro l’anno, con conseguenze pesanti per il turismo, il settore marittimo e la pesca.
Impatto ambientale devastante
Purtroppo l’impatto ambientale della plastica si è rivelato devastante e ciò deriva sopratutto dal fatto che si tratta di un materiale non biodegradabile.
La durabilità, una delle maggiori risorse della plastica si è rivelata pertanto una maledizione, visto che per via della sua robustezza, la plastica rimane nel nostro ambiente per centinaia di anni.
A riguardo, uno studio della Commissione Europea ha reso noto che più dell’80% dei rifiuti marini è costituito da plastica: nello specifico gli oggetti di plastica monouso rappresentano il 50%, e la restante percentuale è data da oggetti collegati alla pesca.
In sintesi, le acque sono invase da sacchetti di plastica, bottiglie, flaconi, tappi, stoviglie, tamponi assorbenti e molti altri prodotti che stanno seriamente compromettendo l’habitat e la vita delle creature marine.
Frammenti di plastica riversati in mare, vengono scambiati per cibo da uccelli e creature marine, che muoiono poi per indigestione o soffocamento.
Le correnti trascinano al largo i rifiuti, creando vere e proprie “isole di plastica”
Secondo l’EFSA – European Food Safety Authority, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, la frammentazione delle isole di plastica oceaniche, quindi, produce microplastiche, ossia particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5000 micrometri, ossia 5 millimetri (ogni micrometro è un millesimo di millimetro). Queste, ingerite da pesci di piccola taglia, vanno a contaminare poi specie predatrici, come il tonno o il pesce spada e da questi, l’uomo.
Esempio su tutti la Great Pacific Garbage Patch (GPGP), la più grande delle cinque zone di accumulo di plastica offshore negli oceani del mondo, che si trova a metà strada tra le Hawaii e la California.
Secondo le stime, la GPGP copre una superficie di circa 1,6milioni di chilometri quadrati, un’area due volte più grande del Texas o tre volte più grande della Francia.
A snocciolare tali cifre è stato un team di scienziati che ha condotto il metodo di campionamento più elaborato mai coordinato.
Esso consisteva in una flotta di 30 barche, 652 reti di superficie e due voli sopra la zona per raccogliere immagini aeree dei detriti.
La preoccupazione degli studiosi è che entro il 2050 ci sarà più plastica che pesci.
Un mondo di plastica
La plastica non si trova solo nelle acque, ma anche sulle cime delle montagne, nello stomaco di uccelli e mammiferi, nel cibo che mangiamo (i cibi entrano nella catena alimentare e nell’alimentazione umana) e nell’aria che respiriamo.
Anche se degradata, la plastica non lascia mai veramente l’ambiente ma è presente come pezzi più piccoli invisibili ad occhio nudo (le microplastiche di cui abbiamo appena parlato), che avvelenano le acque con modalità che nemmeno immaginiamo.
Il 35% di esse deriva dal lavaggio di capi sintetici, durante il quale vengono rilasciati residui di nylon o altri materiali plastici che vengono così dispersi e riversati nelle falde acquifere. Il 28% è invece dovuto all’abrasione degli pneumatici durante la guida mentre il 2% da microplastiche aggiunte nei prodotti per la cura del corpo (ad esempio gli scrub). Anche i mozziconi di sigaretta rilasciano microplastiche letali per la fauna e per i nostri mari.
Le soluzioni per ridurre la plastica
Al momento, riduzione, riutilizzo e riciclo sono stati adottati come approccio comune per combattere il crescente problema dei rifiuti di plastica, ma ciò non basta. Serve soprattutto una rivoluzione civica nel quotidiano.
L’ambizione più grande è quella di creare un’economia plastica circolare, in cui i prodotti siano riciclabili al 100%, utilizzati il più a lungo possibile e i loro rifiuti siano ridotti al minimo. Ma al momento, i progressi rimangono lenti nonostante si sia avanzati notevolmente nel riciclaggio a livello molecolare, che consente di riciclare insieme diverse materie plastiche.
Le normative anti plastica
Una direttiva del Parlamento Europeo (marzo 2019) vieterà entro il 2021 l’immissione sul mercato di alcuni prodotti in plastica monouso nell’ambito degli Stati membri. Essa prevede la messa al bando di tutti quei prodotti che intasano sopratutto spiagge e mari, quali posate, piatti, cannucce, aste per palloncini, contenitori e bicchieri in polistirene espanso, agitatori per bevande.
Altri prodotti, come bicchieri in plastica e contenitori per alimenti, saranno invece oggetto di una politica di riduzione del consumo. I tappi di plastica di contenitori in vetro o metallo dovranno restare attaccati ai contenitori per la durata dell’utilizzo. Per i restanti prodotti in plastica, invece, si punta alla differenziazione o alla sensibilizzazione del consumatore.
Il 4 aprile 2019 è stato approvato nel nostro Paese il DDL Salvamare, grazie al ministro dell’Ambiente Sergio Costa.
Il decreto consente ai pescatori di portare a terra i rifiuti raccolti durante la pesca senza più venire inquisiti per trasporto illecito di rifiuti. Di fatto, le convenzioni internazionali impongono ai pescatori di rigettare in acqua i rifiuti raccolti dalle reti insieme ai pesci; grazie al Decreto Salvamare, invece, avrà avvio la pulizia dei mari dalla plastica e dai rifiuti grazie al trasporto a terra dei RAP (Rifiuti Accidentalmente Pescati).
La rivoluzione sociale : Plastic free
Per sensibilizzare l’opinione pubblica e svegliare le coscienze, è iniziata anche una campagna ambientale dal nome “Plastic free”, cioè “libero dalla plastica”, attraverso cui ogni singolo cittadino può contribuire a contenere i danni della plastica.
Si tratta di una battaglia “dal basso”, intrapresa dai consumatori più attenti, che comporta vantaggi ambientali, ma anche economici e di riduzione degli sprechi non indifferenti.
Come diventare Plastic free?
A seguire alcuni semplici esempi su come contribuire ad una riduzione sistematica della plastica, rendendoci dei campioni del “Plastic free”:
- sostituire i sacchetti di plastica con buste di stoffa;
- utilizzare prodotti per la pulizia e per l’igiene personale in formato solido e privo di packaging, oppure alla spina, riempiendo i contenitori presso gli appositi distributori;
- eliminare le stoviglie in plastica;
- prediligere tè e tisane sfusi alle bustine;
- sostituire le bottiglie in plastica con bottiglie in vetro oppure borracce in alluminio;
- utilizzare spazzolini biodegradabili in bamboo;
- sostituire le cannucce in plastica con alternative in bamboo oppure acciaio;
- sostituire le spugne per i piatti con spugne in materiale vegetale;
- comprare uova, frutta e verdura sfuse da portare a casa in sacchetti di stoffa anziché prodotti preimballati;
- preferire prodotti confezionati in vetro o alluminio;
- prediligere sempre prodotti biodegradabili;
- utilizzare capsule per caffè compostabili, o la cara vecchia moka;
- sostituire salviette e dischetti struccanti usa e getta con un asciugamano o un panno di lino;
- abolire pellicole di plastica per conservare cibi;
- evitare tessuti sintetici e preferendo tessuti naturali.
Fonti Laurent C. M. Lebreton, et al., “Evidence that the Great Pacific Garbage Patch is rapidly accumulating plastic,” Scientific Reports 8, no. 4666 (March 2018)