venerdì, Aprile 19, 2024

Patto di pace con la natura, buoni propositi per il 2023

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PER IL NUOVO ANNO I PAESI DEL MONDO SI IMPEGNANO A TUTELARE LA NATURA E LA BIODIVERSITÀ, MANTENENDO GLI IMPEGNI PRESI ALLA COP15

Si saluta il 2022 con nuovi propositi per l’anno nuovo e tra questi non bisogna dimenticare quelli per la tutela della biodiversità. I Paesi del mondo, o almeno le centonovantaquattro Nazioni riunite a Montréal, in Canada, per la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, hanno infatti firmato il “patto di pace con la natura”, che rappresenterà la base per le politiche di conservazione e tutela delle specie viventi e degli ecosistemi.

«Siamo giunti a un momento storico, al termine di un lungo viaggio pieno di ostacoli – ha commentato Huang Runqiu, presidente della COP15 e ministro dell’Ambiente della Cina, Paese che originariamente avrebbe dovuto ospitare l’evento -. Ma siamo arrivati a destinazione: abbiamo un patto mondiale sulla biodiversità».

Patto di pace con la natura: i risultati della COP15

L’accordo firmato prende il nome di Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, in onore della Cina e del Canada, il Paese partner che ha ospitato l’evento, e comprende ben quattro obiettivi e ventitré target. Rispettare tutti i propositi è più importante che mai.

«Stiamo conducendo una guerra contro la natura – ha così aperto la conferenza il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres -. Gli ecosistemi sono diventati giocattoli di profitto. Le attività umane stanno devastando foreste, giungle, terreni agricoli, oceani, fiumi, mari e laghi un tempo fiorenti. L’umanità è diventata un’arma di estinzione di massa, con un milione di specie che rischiano di scomparire per sempre. Tutta questa distruzione ha un prezzo enorme: posti di lavoro persi, devastazione economica, fame in aumento, costi più elevati per cibo, acqua ed energia, diffusione di malattie e un pianeta degradato. La guerra dell’umanità contro la natura è in definitiva una guerra contro noi stessi».

Patto di pace con la natura e la biodiversità marina

La situazione attuale è allarmante. Lo conferma l’ultimo aggiornamento della Lista rossa delle specie minacciate, presentato alla COP15 dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN). Secondo la fonte più completa riguardo lo stato e il rischio di estinzione delle specie animali, fungine e vegetali, di 150.388 specie complessive ben 42.108 sono a rischio di estinzione.

È soprattutto la biodiversità marina quella più minacciata dalle attività umane. Più di 1.550 delle 17.903 specie di piante e animali che vivono nelle acque salate sono infatti a rischio di estinzione. Le principali cause sono il cambiamento climatico, l’inquinamento e il sovrasfruttamento. Basta pensare che solo tra il 1950 e la fine del ventesimo secolo la quantità di pescato annuale è aumentata di circa sei volte. I Paesi che compiono il maggior numero di catture in alto mare sono Cina, Indonesia, Perù, India, Russia, Stati Uniti e Vietnam. Il collasso degli ambienti marini e il crollo del settore della pesca colpirebbero economicamente circa 250 milioni di persone.

Le specie marine più a rischio: dugonghi, abalone e coralli

Tra le specie più a rischio ci sono i dugonghi, conosciuti come “mucche di mare” per le loro abitudini alimentari. Nel settembre del 2022 questo mammifero marino è già stato valutato come funzionalmente estinto in Cina a causa della caccia spietata che l’ha perseguitato per secoli, della distruzione del suo habitat e della scomparsa della sua principale fonte alimentare: le praterie di fanerogame. Queste ultime, infatti, vengono distrutte durante le attività di estrazione di gas e petrolio in Mozambico e a causa dell’inquinamento da nichel nel Pacifico.

A rischiare l’estinzione è anche l’abalone, un mollusco gasteropode che ha un grande valore non solo economico ma anche culturale in molti Paesi, come gli Stati Uniti. Oggi ben venti delle cinquantaquattro specie esistenti sono a rischio di estinzione. A minacciarlo non sono solo la pesca intensiva e il bracconaggio ma anche i cambiamenti climatici e l’inquinamento. Infatti, nel 2011, in Australia, le ondate di calore hanno causato la morte del 99% degli esemplari di abalone rosso e contribuito alla diffusione di malattie che hanno colpito duramente l’abalone nero e quello verde.

A rischio critico di estinzione sono, infine, anche ventisei specie di corallo che vivono nell’Oceano Atlantico, tra cui Dendrogyra cylindrus, coralli duri la cui popolazione è diminuita dell’80% nella maggior parte del suo areale di distribuzione in soli trent’anni. Le principali cause sono i cambiamenti climatici, lo sbiancamento e la diffusione di patologie. I luoghi in cui sono più a rischio sono l’area indopacifica, Madagascar, Hawaii, Maldive, Malesia, Indonesia e Australia.

Patto di pace con la natura: si inizia con 30-by-30

Ma quali sono le nuove misure stabilite per tutelare la biodiversità? Il primo obiettivo è il cosiddetto “30-by-30”: estendere almeno al 30% dei territori e degli ecosistemi marini lo status di area protetta entro il 2030. Al momento purtroppo stiamo proteggendo solo il 17% degli habitat terrestri e il 10% degli habitat marini a livello mondiale.

Dovrà essere ridotta a zero la perdita di biodiversità per quegli ecosistemi ad alta integrità ecologica, prevenendo l’introduzione di specie aliene. Inoltre dovrà essere bonificato il 30% delle terre degradate a causa delle attività antropiche.

Anche il settore agricolo dovrà subire dei cambiamenti, riducendo del 50% i rischi legati ai pesticidi e puntando all’agroecologia. In più bisognerà ridurre del 50% lo spreco alimentare così da eliminare sempre più le disuguaglianze sociali.

Un traguardo importante raggiunto dall’accordo alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità è anche quello di attuare maggiori tutele per i diritti e la cultura delle popolazioni autoctone, che ospitano nei loro territori circa l’80% della biodiversità mondiale.

Inoltre anche in questo contesto si è concordato di supportare i Paesi più poveri per sostenerli nella lotta al cambiamento climatico. Saranno devoluti 20 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2025 e l’importo crescerà a 30 miliardi a partire dal 2030.

Infine, insieme agli obiettivi legati alla tutela della natura, le Nazioni hanno raggiunto un accordo per sviluppare un meccanismo finanziario al fine di condividere i benefici delle scoperte di farmaci, vaccini e prodotti alimentari che derivino da forme digitali di biodiversità, cioè informazioni sulla sequenza digitale o DSI (Direzione Sistemi Informativi).

Alla COP15 tanti propositi ma pochi obblighi

Tanti passi avanti sono stati fatti per tutelare le specie, ma sono ancora molti i problemi e gli interrogativi a cui non viene data risposta. Uno dei principali elementi di delusione dell’accordo sulla biodiversità è legato alla mancanza di un sistema di monitoraggio degli avanzamenti effettuati da ciascun Paese, efficace e tempestivo. È stato stabilito che sarà fornito un nuovo sistema di raccolta dati, che verrà combinato con la ricerca scientifica indipendente. Spetterà poi alla Convenzione sulla Biodiversità mettere insieme i report nazionali e analizzare i trend globali nel 2026 e nel 2029.

Un altro punto critico dell’accordo è che non è stata introdotta nessuna regola che avrebbe obbligato le aziende a rendere pubblici il loro sviluppo nella difesa della biodiversità e dell’ambiente, limitandosi a dare solo un “incoraggiamento”. È stato tralasciato anche di indicare un target specifico riguardo le azioni di riduzione dell’impronta ecologica di produzione e consumo a livello nazionale.

Patto di pace con la natura: tutti sono davvero d’accordo?

Questi sono tutti segnali che indicano come è stato difficile raggiungere un accordo. E nonostante le lacune che riporta ci sono state altre controverse tra gli Stati che hanno preso parte alla COP15. In particolare, come riporta “The Guardian”, è stato il negoziatore della Repubblica Democratica del Congo a bloccare l’accordo finale presentato dalla Cina poiché mirava alla creazione di un nuovo fondo per la biodiversità separato dal già esistente fondo delle Nazioni Unite.

Per questo il rappresentante della Repubblica Democratica del Congo, quello del Camerun e dell’Uganda erano molto sorpresi quando il presidente della Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, Huang Runqiu, ha annunciato la conclusione dell’accordo e la plenaria è esplosa in un applauso. Secondo il Camerun questa è stata una “frode”, mentre le parole del rappresentante dell’Uganda sono state ancora più forti, dichiarando che alla COP15 si è compiuto un vero e proprio “colpo di Stato”.

Numero verde ONA

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