SABATO 15 APRILE 2023 LA GERMANIA HA CHIUSO LE SUE ULTIME TRE CENTRALI NUCLEARI. SI CHIUDE, COSÌ, L’ERA DELL’ENERGIA ATOMICA TEDESCA INIZIATA SESSANT’ANNI FA. CON QUALCHE RITARDO DOVUTO ALL’ATTENZIONE ALLA GUERRA IN UCRAINA
La fine dell’era atomica tedesca segna il culmine di oltre venti anni di graduale uscita dall’energia nucleare della Germania. Le centrali elettriche Isar 2 (sud-est), Neckarwestheim (sud-ovest) ed Emsland (nord-ovest) sono state disconnesse dalla rete elettrica, come previsto dagli operatori, che ne hanno dato notizia. Le tre centrai, insieme, nel 2022 hanno fornito il 6.5% del fabbisogno energetico tedesco.
In merito a questa decisione ci sono vari punti di vista, e non è tutto bianco o nero
Da un lato il nucleare è visto come insostenibile, pericoloso e macchiato dall’eterna domanda: dove e chi si prenderà i rifiuti che saranno radioattivi per l’eternità? Dall’altro ci sono quelli che, invece, vedono le scorie come un non-problema. Vista l’urgenza di generare energia a basso costo e a basse emissioni carbonifere e soprattutto in modo indipendente dalla Russia. Della serie: alle scorie ci penserà un altro. Molto probabilmente i nostri nipoti.
Il programma di transizione energetica del Paese risale ai primi anni 2000 ma, in seguito al disastro di Fukushima, nel 2011 la Cancelliera Angela Merkel ha accelerato il piano di denuclearizzazione della Germania. Dal 2003 il Paese aveva già chiuso sedici reattori, questo, però, non convince quanti ritengono il nucleare importante per la decarbonizzazione dell’energia.
I primi movimenti anti-nucleare tedeschi risalgono agli anni ‘70 ed erano mirati contro la costruzione delle centrali, viste come pericolose anche perché potenzialmente associate alla costruzione di armi atomiche. Da questi movimenti, nasce anche il partito dei Verdi di Germania.
Il nucleare fa paura
Il nucleare genera problemi: inquinamento e distruzione di habitat per scavare le miniere di uranio. Oppure surriscaldamento di fiumi e laghi usati per raffreddare i reattori. È quanto è successo in Francia nel 2022 e che ha portato al ridimensionamento della produzione di energia in alcuni centri di Oltralpe. La maggior parte dell’uranio delle centrali tedesche, fra l’altro, arriva dalla Russia.
Poi arrivano gli incidenti di Three Mile Island in Pennsylvania nel 1979 e, soprattutto, a Chernobyl nel 1986. La nuvola radioattiva giunse dall’URSS fino in Germania e l’opinione pubblica si infiammò ancora di più.
E così, nel 2000, si decise di iniziare a smantellare i reattori. Anche perché ci si rendeva conto dei costi di manutenzione e di messa in sicurezza di impianti che iniziavano ad invecchiare. Il piano sarebbe stato a lungo termine. Anzi, nel 2009 ci fu pure una piccola tregua, quando si pensò di poter usare l’energia dall’atomo come parte di un mix energetico verso la transizione dal petrolio a una economia decarbonizzata.
Fu la cancelliera Angela Merkel ad annunciare la chiusura di diciassette centrali nucleari nel 2010, dandosi tempo fino al 2036. Un termine lungo un quarto di secolo. Ma la mazzata finale arrivò da Fukushima, in Giappone nel 2011.
Nessuno credeva più ad alcuna garanzia sulla sicurezza delle centrali nucleari di qualsiasi tipo. Se era successo in Giappone poteva succedere ovunque.
Tre giorni dopo Fukushima la Merkel non esitò e decise che la Germania avrebbe accelerato il processo di chiusura annunciato nel 2010, iniziando con il fermo immediato delle centrali più vecchie.
La marcia verso la chiusura totale dei reattori è continuata fino al 2022 quando arriva un’altra tregua, con l’invasione russa dell’Ucraina. Fino a quel momento erano state chiuse quasi tutte le centrali tedesche, eccetto le tre indicate. Invece di chiuderle il 31 Dicembre 2022, si decise di chiuderle quasi quattro mesi dopo, il 15 Aprile 2023.

Cosa succederà adesso?
Ovviamente quello che NON deve succedere è che il posto del nucleare venga preso dalle fonti fossili, carbone e petrolio in primis.
E no, questo non è una remota possibilità: per ora i tedeschi hanno costruito ex novo un impianto di rigassificazione di gas liquefatto che sarà importato dall’estero, probabilmente dagli USA. La decisione è stata presa dal governo di Olaf Scholz qualche settimana dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
In più, nel corso degli anni passati, nonostante i passi da gigante fatti dalle rinnovabili, in Germania il consumo di energia da carbone è aumentato. Anzi, ci sono progetti per costruire nuove centrali a carbone, distruggendo per esempio il villaggio di Lützerath per scavare il carbone che c’è sotto.
In questo momento il carbone fornisce ancora il 30% dell’energia del Paese, anche se le rinnovabili sono arrivate quasi al 47% del totale.
Ma anche in questo caso, nonostante l’uso dell’energia da fossile sia ancora importante, la Germania ne ha decretato la fine. Le centrali elettriche a carbone dovranno chiudere tutte entro il 2038, qualcuna entro il 2030.
L’intento di Berlino è di arrivare all’80% di energia da rinnovabili entro il 2033, di migliorare la rete elettrica e il sistema di stoccaggio di energia.
Per molti il ricorso al carbone di questi anni è visto come una soluzione temporanea, un ultimo colpo di coda delle fossili, “vis a vis”, a eventi inaspettati, come appunto la guerra in Ucraina. Ma le centrali vanno chiuse, come da programma, visto che chiuderle è un processo lungo e complicato. Per cui, ci vogliono anni, proprio da un punto di vista operativo.
Che fine fanno le scorie tedesche?
E torniamo alla domanda di sempre: che fine fanno le scorie tedesche? Sessant’anni dopo l’avvio dell’era nucleare, nella super organizzata Germania, non hanno ancora trovato un posto dove metterle in sicurezza per… un milione di anni. Si, perché questo cercano: un deposito che possa stoccare le scorie nucleari per un milione di anni. Nessuno ha trovato il posto giusto che deve essere a centinaia di metri sottoterra, con roccia stabile, senza rischi di terremoti, senza falde acquifere.
In Germania hanno pure un ente apposito per trovare questo sito speciale, il BGE, Bundesgesellschaft für Endlagerung, la cui decisione finale arriverà fra il… 2046 e il 2064. Cioè minimo fra ventitré anni.
E poi ci vorranno decenni per costruire il deposito e per riempirlo. Totale: almeno cinquant’anni, da oggi, per sistemare i rifiuti radioattivi. Se tutto va bene. Dunque, è evidente che la strada del nucleare darà un sacco di grattacapi a svariate generazioni future.
Nucleare no, petrolio no, carbone no. Cosa fare?
E torniamo alla domanda più importante: il nucleare no, il petrolio no, cosa fare mentre che lavoriamo ancora per una economia al 100% rinnovabile e dati eventi inaspettati come la guerra in Ucraina? Non è facile rispondere e certo gli imprevisti occorre affrontarli in emergenza.
Ma c’è una differenza fra l’emergenza e la sincerità nel porsi obiettivi concreti e volerli davvero quegli obiettivi. Sarà necessario lavorare sodo verso quella economia 100% rinnovabile, in modo intelligente e determinato. Occorre volerla ogni giorno, con la tecnologia e il cambiamento e coinvolgere i cittadini al risparmio e all’efficienza. Occorre non adagiarsi, non fingere, non mentire.
L’emergenza non può essere usata come scusa per continuare lo “status quo sine die” perché non si ha il coraggio di fare la cosa giusta. E nell’emergenza stessa si deve usare la soluzione meno impattante possibile, senza mai perdere di vista la vera transizione ecologica (o di sicurezza energetica come piace dire alla Meloni!).
Tutto questo in modo che i Putin venturi non possano più farci un baffo.