È il titolo del nuovo libro di Giuseppe Ungherese. Il responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace ci racconta come potremmo salvare il mare.
“Non tutto il mare è perduto è un titolo che dà speranza. Perché il libro affronta una delle emergenze ambientali più gravi dei nostri tempi che è quella dell’inquinamento da plastica”.
Così inizia a parlare del suo libro Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia dal 2015. Dopo anni da ricercatore universitario (e con un dottorato in tasca), ora combatte tutti i giorni quelle sostanze tossiche e pericolose, per noi e per il pianeta, che prima affrontava in laboratorio.
L’inquinamento da plastica mostra i suoi effetti più evidenti e devastanti proprio nelle acque, ci spiega. Il mare è una sorta di grande recettore di tutto l’inquinamento che produciamo sulle terre emerse.
«Possiamo dire che, rispetto ad alcuni decenni fa, la scienza ha fatto molti passi da gigante – afferma Ungherese -. Sappiamo come intervenire per riuscire a mitigare e ridurre il problema, quindi il titolo del libro parte proprio da questa consapevolezza. Cioè dal fatto che c’è speranza per invertire lo stato delle cose. Come tutti i problemi complessi, non abbiamo una bacchetta magica per risolverle, ma bisogna mettere in piedi tutta una serie di azioni e di soluzioni coordinate, però non tutto il mare è perduto perché possiamo veramente cambiare lo stato delle cose. Basta volerlo».
Quindi diciamo che il libro è una sorta di spiegazione della minaccia peggiore delle acque che sono le microplastiche?
«Il libro è un viaggio nei mari di casa nostra. Negli ultimi anni ho avuto modo di coordinare diverse attività che ha svolto Greenpeace, campagne e spedizioni di ricerca in mare con il CNR e con importanti università italiane, dove siamo andati proprio a misurare lo stato di salute dei mari.
E una delle minacce più subdole e quanto invisibili (che il più delle volte non possiamo vedere) sono queste particelle, le microplastiche, che hanno invaso ogni angolo degli ecosistemi marini.
In questo viaggio vado a toccare alcune delle aree più iconiche dei nostri mari che ho avuto la fortuna di poter visitare. Ognuna, in qualche modo, è caratterizzata da un record negativo dovuto all’inquinamento da plastica. Per cui è un viaggio tra le bellezze, non solo naturali e paesaggistiche, ma anche storiche che descrivono queste aree. In ogni capitolo vado ad affrontare le varie sfaccettature del problema dell’inquinamento da plastica e microplastiche e a provare ad individuare in un quadro coerente tutte quelle soluzioni che possono permetterci di cambiare lo stato delle cose».
Pensa che se tutti ci impegniamo anche singolarmente le cose possano cambiare?
«Questo è verissimo, lo menziono anche nel libro. Perché il mare sembra un enorme distesa blu. Placida, tranquilla e quasi imperturbabile, però è fatto di tante piccole gocce che unite insieme possono generare il più devastante degli tsunami.
E la singola goccia, quindi in questo caso la singola persona di fronte a problemi così ampi e complessi si sente quasi inerme, sfiduciata dal fatto che la singola azione può fare la differenza».
Può farmi un esempio di come le cose possono cambiare anche se ci si impegna singolarmente?
«Certo. Basta guardare l’agricoltura biologica e i prodotti biologici che oggi troviamo in commercio. Fino a 40 anni fa i prodotti biologici erano di nicchia e difficilmente reperibili sul mercato. Oggi invece tantissimi prodotti in commercio sono biologici. E questo perché, in qualche modo, tanti consumatori e consumatrici consapevoli hanno indirizzato il mercato con i propri acquisti quotidiani verso quel tipo di soluzione».
Lo stesso si potrebbe fare per la plastica
«Sì, se le persone incominciassero a comprare prodotti sfusi, prodotti ricaricabili, ridurremmo drasticamente l’uso di plastica. Oltretutto anche le aziende, siccome c’è una domanda dovrebbero adeguarsi. In questo modo possiamo generare un cambiamento e anche abbastanza rapidamente perché l’inquinamento, ogni secondo che passa, peggiora.
Non bisogna sottovalutare il fatto che con il nostro potere d’acquisto quotidiano possiamo indirizzare il mercato verso le soluzioni più sostenibili ed è uno dei temi di cui parlo nel libro».
La plastica e le aziende
«C’è anche una parte in cui descrivo le soluzioni adottate da tante aziende che sono riuscite ad eliminare la plastica invertendo i propri modelli di business e si sono create una nuova veste grazie alla quale a vincere son tutti. Sia l’azienda che continua a sopravvivere sul mercato ma, soprattutto, chi acquista. E chi vive su questo pianeta perché si trova, con il proprio acquisto quotidiano, a fare un’azione lodevole e di cui beneficeremo non solo noi esseri umani ma anche tutte le creature che vivono sul pianeta».
Come mai ha pensato di scrivere un libro proprio sul mare?
«L’amore per il mare nasce da lontano. Il mare rappresenta, a mio avviso, un rifugio per ognuno di noi, cioè qualcosa che può cullare i nostri sogni e nella cui infinità, almeno a livello personale, piace perdermi. Allo stesso tempo, poi, il mare sembra un ecosistema imperturbabile. Resta lì e sembra che non venga scalfito da niente, ma in realtà nella sua vastità si regge su delicati equilibri da cui dipende anche la nostra sopravvivenza. Questo perché il mare gioca un ruolo chiave, ad esempio, come fonte di cibo per noi e anche nel mitigare il cambiamento climatico perché assorbe gran parte dell’anidride carbonica immessa in atmosfera.
Non solo. Noi dobbiamo un respiro su due proprio alla grande distesa blu perché è il produttore primario di ossigeno. Inoltre, il mare ospita creature straordinarie un patrimonio il cui valore non si può misurare. Come i cetacei e le tartarughe marine che noi dobbiamo difendere e tutelare. Perché dal mare dipende la nostra vita».
Siamo legati al mare e più di quanto si pensi
«Tanto è vero che le prime fasi della nostra vita le passiamo in un ecosistema fatto di acqua, nel grembo materno. Il nostro legame è più forte di quanto si possa immaginare.
Noi purtroppo pensiamo più a dove trascorriamo gran parte del tempo. Cioè sulla terra rispetto al mare. Quindi pensiamo al verde pubblico e poco al ruolo del mare, fondamentale nell’equilibrio generale del pianeta Terra e si tende spesso a sottovalutarlo».
Lei si occupa da anni di inquinamento da plastica. Ci parli della situazione italiana
«A mio avviso, si fa molto poco per cambiare le cose. Perché l’Italia, sui temi ambientali e della sostenibilità predica bene, ma poi a livello politico non arrivano quelle risposte che noi tutti aspettiamo. E quindi a tal proposito servirebbe proprio un’azione più incisiva.
Dal punto di vista politico perché, al di là di tutto, chi ha realmente il potere di cambiare radicalmente lo stato delle cose sono due entità: che fa leggi e chi vende e produce. Consapevoli di questo contesto bisogna ritagliarci un ruolo. Al di là di fare l’azione lodevole di cui si parlava prima possiamo veramente diventare attori del cambiamento.
Diventare attivisti e pretendere che ci siano soluzioni di un certo tipo perché dobbiamo chiederle e pretenderle da chi ci governa. Di questo abbiamo avuto un esempio positivo, di cui do conto anche nel libro, che è la Direttiva Europea sulle plastiche monouso.
È stato il provvedimento che ha avuto, a livello di tempo, il processo legislativo più breve della storia perché all’epoca c’era un enorme consenso. Quindi, qualsiasi politico che a quel tempo avesse deciso di far qualcosa sulla plastica, avrebbe trovato un consenso unanime. Era una battaglia che non aveva colori politici e a quel punto siamo riusciti a ottenere, per il bene di tutti, un provvedimento approvato a tempo di record.
Quando la società civile, quindi la cittadinanza, fa qualcosa e chiede alla politica di intervenire si possono innescare dei meccanismi positivi che possono generare risultati fino a pochi mesi prima insperati».
L’esempio della Francia e della Spagna
«Siamo indietro soprattutto sulle politiche attive. Se prendiamo per esempio la Francia, ha introdotto il divieto di vendere frutta e verdura confezionata in plastica nei supermercati.
Noi siamo abituati ad andare al supermercato e trovare frutta e verdura sfusa ma anche confezionata. Invece la Francia, con la legge approvata diversi mesi fa, ha introdotto, a partire dal primo gennaio 2022 questo divieto che è stato già copiato dalla Spagna dove entrerà in vigore a partire dal primo gennaio 2023. In Italia, invece, di un divieto del genere non se ne parla e sarebbe un provvedimento immediatamente alla portata per risparmiare miliardi di imballaggi. E di queste cose parlo anche nel mio libro».
Salviamo il mare e l’ambiente e salveremo noi stessi, il futuro e tutto ciò che verrà.