LE EMISSIONI DI CO₂ DEL 2023 HANNO RAGGIUNTO LIVELLI STRAORDINARIAMENTE ELEVATI, E GLI SCIENZIATI TEMONO CHE LA CAPACITÀ DEGLI ALBERI E DI ALTRI ELEMENTI DELLA NATURA DI AGIRE COME “POLMONE VERDE” STIA PROGRESSIVAMENTE DIMINUENDO
Il fallimento dei “pozzi di carbonio”: la natura in stallo?
Abbiamo sempre considerato la natura come un alleato prezioso nella nostra lotta contro il cambiamento climatico. Le foreste, gli oceani e gli ecosistemi terrestri hanno infatti la capacità di assorbire grandi quantità di anidride carbonica e mitigare parzialmente i danni che le attività umane infliggono all’atmosfera. Oggi, tuttavia, questa certezza è messa in discussione.
Le conseguenze di questa eventualità sono devastanti: se la capacità di assorbimento della Terra venisse compromessa, il nostro approccio alla crisi climatica dovrà necessariamente essere rivisto in modo radicale.
Per comprendere la gravità della situazione, è necessario approfondire il ruolo dei “pozzi di carbonio” naturali. Questi sistemi, rappresentati principalmente dalle foreste, dagli oceani e dai terreni, agiscono come enormi serbatoi naturali che catturano e trattengono una parte significativa della CO₂ rilasciata dalle attività umane. In sostanza, i pozzi di carbonio assorbono quasi metà delle emissioni globali, contribuendo a mitigare l’impatto delle attività industriali, agricole e dei trasporti sull’atmosfera.
Gli oceani, ad esempio, non solo assorbono biossido di carbonio, ma lo trattengono grazie alla circolazione delle correnti profonde, un processo che può durare secoli. Allo stesso modo, le foreste e i suoli catturano il carbonio durante la fotosintesi e lo stoccano all’interno della biomassa e del terreno.
Questo complesso meccanismo naturale è stato finora capace di bilanciare una parte consistente delle emissioni prodotte dall’uomo. Come sottolinea Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, questo “compenso” offerto dai pozzi di carbonio ha finora attenuato l’effetto dell’eccessivo rilascio di anidride carbonica, riducendo in parte il riscaldamento globale.
Tuttavia, il 2023 ha segnato un punto di svolta.
Un drastico aumento di CO₂: la natura sotto assedio
Un team internazionale di ricercatori, sotto la guida dell’ecologista Piyu Ke dell’Università di Tsinghua a Pechino, in Cina, ha rilevato un drastico aumento della concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera, pari all’86% rispetto al 2023 , pur avendo registrato un incremento delle emissioni di soli 0,6%.
I dati, raccolti alla stazione di monitoraggio del Mauna Loa (Hawaii), mostrano un indebolimento significativo di questi pozzi di carbonio, suggerendo che la loro capacità di assorbire CO₂ potrebbe essere in declino.
Ma quali sono le cause di questa diminuzione di efficienza dei pozzi naturali?
L’impennata delle temperature
La causa di questo fenomeno potrebbe risiedere nelle temperature record degli ultimi anni. Gli scienziati ipotizzano che i cambiamenti climatici stiano influenzando la capacità degli ecosistemi di funzionare come serbatoi di carbonio. Gli oceani, ad esempio, riscaldandosi, trattengono meno biossido di carbonio e lo rilasciano in superficie, riducendo la loro funzione di “spugna” carbonica. Le foreste, invece, sono sempre più colpite da incendi, siccità e deforestazione, fenomeni che ne compromettono la capacità di catturare e trattenere il carbonio.
La foresta pluviale amazzonica, uno degli ecosistemi più ricchi di biodiversità, ha subito gli effetti devastanti di siccità estreme e incendi sempre più frequenti. Questi eventi, resi più intensi e frequenti dal cambiamento climatico, stanno trasformando questa immensa foresta da “polmone verde” della Terra a fonte di emissioni. Gli alberi, infatti, che per millenni hanno catturato anidride carbonica, contribuendo a mantenere l’equilibrio atmosferico e restituendo ossigeno, ora rilasciano più CO₂ di quanta ne riescano ad assorbire. Questa situazione, che sembra in costante aggravamento, non solo annulla il ruolo di mitigazione climatica dell’Amazzonia, ma amplifica la crisi climatica stessa a livello globale.
Il ruolo delle foreste boreali
Mentre l’Amazzonia è sempre più devastata, non solo dal cambiamento climatico ma da un’intensa pressione antropica — incendi spesso dolosi e massicci tagli di alberi per fare spazio a pascoli e coltivazioni di soia — le foreste boreali stanno affrontando altre trasformazioni drammatiche.
In Canada, per esempio, vasti incendi hanno devastato milioni di ettari di boschi nel 2023, liberando nell’atmosfera quantità impressionanti di biossido di carbonio. Secondo i ricercatori, per queste foreste potrebbero essere necessari decenni, se non secoli, per recuperare il proprio potenziale di stoccaggio del carbonio, fondamentale per contrastare l’aumento dei gas serra.
Gli alberi boreali, infatti, hanno un ciclo di crescita estremamente lento e possono impiegare fino a un secolo per ristabilire la loro biomassa. Questo significa che i danni inflitti oggi continueranno a gravare sull’equilibrio climatico per molte generazioni a venire.
Gli oceani: anche i giganti hanno i loro limiti
Anche gli oceani, che finora hanno assorbito circa il 25% del carbonio prodotto dalle attività umane, stanno mostrando segni di cedimento. Il fenomeno dell’acidificazione marina, derivato dall’assorbimento di quantità enormi di CO₂, sta compromettendo in modo significativo la salute degli ecosistemi acquatici.
Nello specifico, le barriere coralline, veri e propri bastioni di biodiversità, subiscono gravi danni a causa della ridotta disponibilità di carbonato di calcio, essenziale per la costruzione dei loro scheletri. Il fitoplancton, invece, rappresenta il primo anello della catena alimentare marina e svolge un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio. La loro sofferenza si ripercuote dunque sull’intero ecosistema.
La progressiva incapacità degli oceani di assorbire e immagazzinare anidride carbonica aumenterà la pressione sugli ecosistemi terrestri e sull’atmosfera, accelerando ulteriormente il riscaldamento globale e intensificando l’urgenza di soluzioni per mitigare questo drammatico processo.
I pozzi di carbonio, una perdita permanente?
La domanda che attanaglia gli scienziati è se i grandi pozzi di carbonio, terrestri e oceanici, possano effettivamente recuperare la loro capacità di catturare e trattenere anidride carbonica. La risposta è complessa e sfumata. Gli studiosi sperano che fenomeni climatici come La Niña, che solitamente portano maggiori precipitazioni in alcune aree, possano offrire alle foreste e ad altri ecosistemi la possibilità di ripristinare parte della loro funzione di assorbimento del carbonio.
Tuttavia, si teme che molti dei danni subiti dagli ecosistemi siano permanenti o richiedano secoli per essere riparati. Un barlume di speranza arriva tuttavia dal bacino del Congo, una delle ultime aree che continuano a immagazzinare più carbonio di quanto ne rilascino. Ma, per quanto vitale, il suo contributo non è sufficiente a compensare le perdite complessive e non può sostituire il ruolo di altre regioni in declino.
Con il declino dei pozzi di carbonio naturali, come foreste e oceani, la comunità scientifica sta sviluppando soluzioni tecnologiche avanzate per contrastare l’accumulo di gas serra nell’atmosfera. Due metodi che suscitano particolare interesse sono la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) e la rimozione diretta dell’anidride carbonica dall’aria (DAC).
Cattura e stoccaggio del carbonio (CCS)
Il sistema CCS (Carbon Capture and Storage) si basa sul prelievo delle emissioni di carbonio direttamente dalle fonti principali, come centrali elettriche o impianti industriali, impedendo loro di raggiungere l’atmosfera. Questa tecnologia permette di “bloccare” il carbonio in formazioni geologiche sotterranee, come vecchi giacimenti di petrolio o strati rocciosi porosi, per una conservazione a lungo termine e sicura. La CO₂, una volta isolata, viene compressa e iniettata in profondità, dove rimane intrappolata, riducendo l’impatto delle attività industriali.
Il CCS si rivela prezioso nei settori più difficili da decarbonizzare, ma presenta sfide legate ai costi e alla necessità di strutture apposite per il trasporto e il deposito. Nonostante queste difficoltà, la cattura e lo stoccaggio del carbonio offrono un modo immediato per contenere le emissioni dei settori industriali pesanti.
Rimozione diretta del carbonio dall’atmosfera (DAC)
La rimozione diretta, o DAC (Direct Air Capture), adotta un approccio diverso, aspirando il carbonio già presente nell’aria. Questo metodo impiega appositi impianti che filtrano l’atmosfera, isolando il biossido di carbonio con sostanze chimiche che ne facilitano il trattenimento. Una volta catturato, il gas può essere stoccato in modo permanente o riutilizzato, ad esempio, nella produzione di combustibili sintetici o materiali edili.
La tecnologia DAC ha il vantaggio di poter essere applicata ovunque, non essendo vincolata alla vicinanza di impianti emissivi e offre quindi la possibilità di ridurre l’eccesso di gas accumulato nell’atmosfera nel tempo. Tuttavia, la rimozione diretta richiede energia in grandi quantità e comporta costi significativi. Per massimizzare l’efficacia della DAC, è fondamentale combinare questa tecnologia con fonti di energia rinnovabile, evitando così un impatto ambientale aggiuntivo.
Soluzioni tecnologiche per salvaguardare la natura? Ancora lontane dalla realizzazione
Purtroppo, queste tecniche innovative sono ancora ben lontane dall’essere adottate su larga scala, e molti dei progetti pilota realizzati fino a oggi hanno deluso le aspettative. Anche nei Paesi più avanzati, dove le risorse per investire in sperimentazioni sono maggiori, i risultati non sono stati all’altezza delle speranze.
La realtà è che, per quanto la scienza e l’innovazione possano contribuire a mitigare la crisi climatica, non possiamo affidarci unicamente a soluzioni ingegneristiche. Come ha affermato Pierre Friedlingstein, meteorologo dell’Università di Exeter, «l’unico modo sicuro per cambiare realmente le cose è affrontare il problema alla radice: le emissioni di combustibili fossili».
Ogni settore, dall’energia ai trasporti, dall’agricoltura all’industria, deve adottare misure concrete per tagliare le emissioni. La sfida è titanica, ma non abbiamo altra scelta. La sopravvivenza del nostro pianeta e delle future generazioni dipende da questo. La natura va tutelata.
Fonti
Rockström, J., et al. (2024). Potsdam Institute for Climate Impact Research.
Ke, P., et al. (2024). The State of Carbon Sinks in 2023.