Lovin Kobusingye, 36 anni, fondatrice di “Kati Farms”, è al telefono. Dopo una serie di squilli che hanno fatto vibrare il suo smartphone, sempre a portata di mano, risponde.
Come generare sviluppo sostenibile al centro dell’Africa
Appoggia il telefono sulla spalla mentre chiede «quanti chili di pesce?», con una voce chiara e diligente. È seduta sul sedile del passeggero di una jeep a quattro ruote motrici, condotta da Luke, autista tuttofare. Insieme con lei viaggia una squadra del CTA (Centro tecnico per la cooperazione agricola e rurale in Uganda). Fanno un sopralluogo nel Paese.
La giornata è iniziata alle cinque, prima che il sole facesse capolino all’orizzonte. È seguito un viaggio di due ore fino alla città di Jinja, nell’Uganda meridionale, per visitare uno degli allevamenti ittici da cui provengono le sue innovative salsicce di pesce. Nonostante la levataccia mattutina, lei è un fascio di energia e idee. E non si tira mai indietro.
«I am an accidental entrepreneur», sono una “imprenditrice per caso”, spiega la vincitrice del Best African Innovator della Rabobank Foundation del 2012. Lovin ha ricevuto 15mila euro dal premio. Dopo la sorpresa, «ho piantato quel seme», quindi «l’investimento è decollato», spiega.
«Lavoravo in una cooperativa e lì ho raddoppiato il tempo per sviluppare le mie idee», chiarisce Lovin. Inizia, quindi, a cercare ulteriori finanziamenti.
«È facile lavorare quando hai i soldi. L’UE ha investito molto in Africa ma noi imprenditori locali conosciamo l’approccio e le applicazioni necessarie per andare avanti».
«Ci sono condizioni che gli allevatori devono possedere, per avere successo e io li osservo per aiutarli a crescere insieme».
Mrs. Kobusingye inizia, così, a fornire pesce ad allevatori, i quali, a loro volta, si adeguano al mercato. Il più grande lago dell’Uganda, il Lago Vittoria, era “esausto” e i pescatori hanno scelto un’opzione sostenibile: l’allevamento nelle gabbie.
«C’erano allevatori che mi chiamavano per vendermi i loro prodotti. Ma allo stesso tempo, avevano bisogno di fondi per comprare mangime per i loro pesci. Non puoi avere uno senza l’altro», sottolinea Lovin, mentre risponde rapidamente a un messaggio di testo.
Caso in questione è la Fattoria Masese, vicino alla sorgente del Nilo sul Lago Vittoria. Magumisa Magio, caposquadra della cooperativa composta da 45 agricoltori e 100 lavoratori, spiega che «il lago è stato sovrasfruttato. Avevamo bisogno di… reinventarci e ce l’abbiamo fatta».
Ora i coltivatori allevano pesci, come il tilapia. Ogni pesce pesa 400-500 grammi, come vuole il mercato. E li vendono ad acquirenti come Lovin.
«È uno scambio», dice l’imprenditrice. «Avevo ricevuto chiamate e offerte per il pesce di cui, davvero, non sapevo cosa farne. Il mio cuore si spezzava per gli allevatori; che ne avevano in grandi quantità ma non sapevano dove venderlo».
È stato allora che Lovin ha deciso di “reinventare la ruota”, “she decided to truly reinvent the wheel”: «Salsiccia di pesce!». «C’è voluto tempo prima di ottenere la ricetta giusta. I miei amici erano la mia “tavolozza dei gusti” e dopo mesi di sperimentazione, abbiamo trovato quella giusta».
Da imprenditrice indipendente, solo quattro anni fa, Lovin ora impiega direttamente trentotto persone e indirettamente altre mille.
Al momento, oltre cento clienti vendono il suo prodotto di punta nelle catene nazionali di supermercati. Ha anche ampliato la varietà dei suoi prodotti, che include filetti pronti da cucinare e pesce intero, completamente eviscerato, congelato in un impianto di lavorazione di alta qualità.
«Assicurati che le transazioni siano formalizzate, assisti i tuoi fornitori e pubblicizza te stesso», descrive Lovin. La donna lavora a stretto contatto con i suoi numerosi fornitori. Stabilisce dimensioni e peso dei pesci e detrae i soldi del mangime dalla fattura finale, alla consegna.
«La comunicazione è la chiave di questo rapporto di lavoro», afferma.
La Cooperativa Masese è uno dei mille fornitori con cui Lovin collabora. La donna è un metronomo finemente accordato per ottenere il massimo dai suoi sforzi. Reti di 5×5 metri pescano 8 tonnellate di tilapia, pari a circa 10mila pesci per “raccolto”.
Costa circa 25milioni di scellini ugandesi (circa 5.600 euro) nutrire i pesci in modo che crescano da 0,3 – 1 grammo, quando sono acquistati dall’allevamento, a 400-500 grammi di peso quando sono pronti per essere venduti.
Il processo di crescita dura circa otto mesi, da avannotti a pronti per il consumo. «Moltiplicate quell’importo per il numero di coltivatori e di rete…»
I magazzini e le baracche sul lungolago sono quelli che Magumisa chiama “uffici”. Il caposquadra indica una costruzione di 4×4 metri, di metallo corrugato, quando una giovane coppia gira la chiave nella serratura, per chiudere la giornata.
Molti soci della cooperativa rientrano nella fascia “giovani” (tra i 18 ei 35 anni). Una cosa cui Lovin guarda di buon occhio. «Non guardo solo alla qualità dei prodotti dei miei fornitori, guardo chi sono e come sono. Soprattutto donne e giovani ».
Mentre i giovani, a volte, tendono ad allontanarsi dal lavoro svolto dai propri genitori, Magumisa afferma che non è il caso degli allevamenti ittici. «I giovani che lavorano qui lo vedono come un passo avanti rispetto alla pesca tradizionale. Grazie alla cooperativa, si sentono responsabilizzati. Siamo sempre alla ricerca di nuove tecniche e teniamo corsi di formazione per stare al passo con le innovazioni».
“Kati Farms” acquista 15 tonnellate di pesce ogni settimana e la polpa viene trasformata in 1,5 tonnellate di deliziose salsicce. Ovunque vada, Lovin è pronta a conquistare i clienti.
Dopo un pranzo a base di Tilapia, vicino alla sorgente del Nilo sul Lago Vittoria, Lovin racconta al proprietario del ristorante della sua esemplare vittoria. E con questo, Lovin potrebbe aver aggiunto un altro fan alla sua lista, in continua crescita.
Santos, imprenditore a 13 anni
Suo figlio non le è da meno: Santos ha solo 13 anni e cerca di praticare un’imprenditoria socialmente responsabile, come sua madre: progetta ceste da giardino, come gli hanno insegnato alla scuola agricola. Il legno, di buona qualità, è quasi tutto riciclato.
«Quello che mi piace di lui e del suo progetto», spiega Lovin, «è che, anche se è un modello già utilizzato in altre parti del mondo da tante persone, lui nel suo piccolo – sottolinea che lui è piccolo – vuole diffondere la sostenibilità».
«Sei stata a Kampala o Entebbe? C’è un sacco di sviluppo orizzontale nell’edilizia e la gente non ha più un giardino per coltivare e raccogliere cibo sano. Quindi, acquista cibo scadente e meno costoso…».
Il ragazzino fabbrica queste ceste, progettate per le famiglie che non hanno un orto dove coltivare verdure, spezie ed erbe, come peperoncini ugandesi, spinaci ecc. Fornisce piantine organiche e dice che le ceste «si adattano a un bellissimo balcone» ma sono state concepite soprattutto per «quelli con terreni limitati». Come dice lui. «Sono ideali per le persone nelle baraccopoli, così possono mangiare cibi sani».
L’intervista è di Kate Carlisle. Giornalista texana, esperta in comunicazione, ha vissuto per vent’anni in Italia. Ora vive ad Amsterdam, dove, «orgogliosa proprietaria di una bicicletta e di una carta museo, mi sto rimboccando le maniche (con il mio gatto e il mio cane) per imparare l’olandese».
La traduzione è di Gianni Avvantaggiato