L’Europa vuole salvaguardare l’ecosistema fluviale
La presenza di dighe e sbarramenti fluviali continua a ostacolare le rotte migratorie dei pesci, influendo negativamente sulla biodiversità e sull’ecosistema. Proprio l’enorme numero di dighe è la causa principale della drastica riduzione di pesci migratori in Europa, che hanno registrato un calo del 93% negli ultimi cinquant’anni. Inoltre gli sbarramenti fluviali determinano anche un peggioramento della qualità dell’acqua e delle falde sotterranee, e l’erosione dei canali e delle coste.
Per questo, uno degli elementi chiave della strategia dell’Unione Europea sulla biodiversità per il 2030, inclusa nel Green Deal europeo, è quello di ripristinare uno stato di flusso libero per almeno 25mila chilometri di fiumi. «Ripristinare una natura sana – ha dichiarato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen –è la chiave per il nostro benessere fisico e mentale».
Si stima che in Europa ci siano oltre un milione di sbarramenti nei fiumi. Inoltre, almeno 150mila di essi sono obsoleti e non hanno più alcuno scopo economico. Così, per ripristinare le rotte migratorie dei pesci, tutelare la biodiversità e la resilienza climatica, nel 2021 diciassette Paesi europei hanno rimosso ben duecentotrentanove barriere sui fiumi.
Rispetto all’anno precedente si registra quindi un aumento del 137% delle dighe rimosse. Hanno portato avanti la rimozione di barriere dai fiumi sei Paesi europei in più, un incremento del 55%. Questi sono chiari segnali del crescente interesse a salvaguardare gli ecosistemi fluviali nella comunità europea. Gli interventi cercano di ripristinare:
- aree riproduttive di alcune specie, come il salmone, lo storione, la trota e l’anguilla;
- habitat di altri animali, tra cui aquile e lontre;
- sostanze nutritive e sedimenti presenti nei fiumi.
Le dighe rimosse nel 2021 in Europa
Secondo l’ultimo rapporto di Dam Removal Europe, una coalizione di organizzazioni come la World Fish Migration Foundation, il WWF, The Rivers Trust e Rewilding Europe, il 76% delle rimozioni in Europa riguardava piccoli sbarramenti, mentre il 24% delle dighe rimosse superava i due metri.
Tra gli Stati dell’Unione Europea è la Spagna ad aver primeggiato nella rimozione delle barriere fluviali. Sono ben centootto le dighe rimosse dai suoi fiumi nel 2021, inclusa la diga di tredici metri di Anllarinos, la più alta di Europa.
Mentre, tra i Paesi che hanno iniziato a rimuovere le prime dighe ci sono Portogallo, Montenegro e Slovacchia. In particolare, il Portogallo ha rimosso la barriera che si trovava lungo il fiume Vascão, nella parte sud-orientale del Paese. Infatti, nonostante il suo grande valore ecologico, tanto da essere tutelato da Rete Natura 2000 e incluso nella Convenzione RAMSAR, questo fiume è altamente frammentato e ciò ha un impatto negativo sulla migrazione dei pesci.
Invece le prime rimozioni di dighe nei Balcani occidentali hanno riguardato il Montenegro. Il fine è migliorare le condizioni del fiume Vezišnica che, da anni, patisce gli effetti della frammentazione, dell’inquinamento industriale e delle acque reflue non trattate.
Anche la Slovacchia ha rimosso la sua prima barriera nel 2021. Era uno sbarramento abbandonato sul fiume Hučava, che si trova all’interno dell’Area paesaggistica protetta Poľana. La rimozione è stata eseguita per restaurare la connettività fluviale e migliorare il numero delle popolazioni ittiche e la qualità dell’acqua.
L’esempio virtuoso portato avanti della Finlandia
Uno dei Paesi nel continente europeo più efficienti nella rimozione delle barriere fluviali è la Finlandia. Ha smantellato persino una centrale idroelettrica funzionante sul fiume Hiitolanjoki.
Questo corso d’acqua scorre dalla Finlandia al Russian Lake Ladoga e, da oltre un secolo, è frammentato da ben tre dighe idroelettriche. Ma, nel 2021, Kangaskoski, la prima delle tre dighe, è stata demolita e nei prossimi due anni è prevista la rimozione delle altre due.
In questo modo lo Stato cerca di permettere la migrazione delle popolazioni di salmoni e la loro riproduzione. Così, il fiume Hiitolanjoki diventerà il più importante habitat della Finlandia per il salmone, senza sbocco sul mare, permettendo di sviluppare il turismo ittico e altre attività ricreative.
Sottovalutare l’impatto della frammentazione fluviale
Al contrario di questi Stati, Italia, Grecia e i Paesi dell’Europa orientale, nonostante il drastico calo delle popolazioni ittiche d’acqua dolce, non sembrano avere in programma delle soluzioni per far fronte al problema.
Eppure la situazione in Europa riguardo la frammentazione dei flussi fluviali è critica. Secondo i dati del consorzio Amber (Adaptive management of barriers in european rivers) sono centoquarantasette i fiumi frammentati da barriere di piccole dimensioni. Ma anche rampe, guadi, chiuse e tombinature hanno gli stessi effetti negativi sulla biodiversità delle grandi opere. In media c’è una barriera ogni 0,74 chilometri e la loro diffusione è maggiore nell’Europa centrale.
In particolare, la Romania ha completato la costruzione della diga di Rastolita, che potrebbe provocare la distruzione di 8,5 chilometri di habitat del salmone del Danubio, mentre la centrale idroelettrica di Nenskra in Georgia rischia di avere un impatto negativo sulla biodiversità delle montagne del Caucaso e sugli indigeni Svan, che vivono nella regione.
Anche la diga di Afsluitdijk, costruita dal governo olandese lungo la costa del Mare del Nord, sta provocando gravi danni alla fauna e alla flora marina locale. La struttura, ideata per evitare le catastrofiche inondazioni che colpivano i Paesi Bassi blocca, però, le rotte migratorie di diverse specie di pesci. Ciò ha provocato una riduzione della quantità di fauna, anche in fiumi più distanti come il Reno. Non permette neanche il proliferare di alghe, utili per prevenire l’erosione delle coste.
La presenza di dighe nei fiumi d’Italia
Infine in Italia sono censite ben cinquecentotrentadue dighe. La maggior parte degli impianti idroelettrici è situata nell’arco alpino ma un notevole numero di dighe è presente anche in Sardegna e in Sicilia.
«Nel Paese abbiamo notato una forte correlazione tra l’intensità delle attività antropiche e agricole e la presenza di barriere– ha dichiarato Andrea Castelletti, responsabile del Dipartimento di elettronica, informazione e bioingegneria del Politecnico di Milano, ateneo che aderisce ad Amber -. Ciò si verifica soprattutto in Lombardia, lungo il Po e i suoi affluenti, e nell’area della Pianura Padana».
Pericoli per i pesci migratori d’acqua dolce nel mondo
I pesci migratori d’acqua dolce subiscono molte più minacce rispetto ad altri gruppi ittici, dato che attraversano vari habitat durante la loro vita. Il Report Living Planet Index ha registrato come, tra il 1970 e il 2016, a livello globale, i pesci migratori d’acqua dolce siano diminuiti del 76%. I maggiori cali sono in Europa. Infatti il 37% di questi pesci è minacciato di estinzione nella Lista Rossa Europea. La causa principale è appunto la mancanza di fiumi a flusso libero.
Ma la situazione è critica anche in America Latina e nei Caraibi, dove il calo dei pesci migratori d’acqua dolce è dell’84%, e nel Nord America, con una riduzione del 28%. In particolare, in Sud America, sono molti i grandi fiumi a flusso libero, ma la crescente costruzione di dighe nell’area amazzonica potrebbe determinare in futuro un ulteriore calo della popolazione ittica. Al contrario, la regione nordamericana è caratterizzata dalla mancanza di fiumi lunghi a flusso libero e da alti livelli di frammentazione. Qui la perdita dell’habitat e lo sfruttamento eccessivo contribuiscono alla diminuzione di pesci migratori.
Il declino di questa specie coinvolge anche l’Asia e l’Oceania. Il degrado dell’habitat e l’espansione del settore dell’energia idroelettrica nel bacino del Mekong hanno accelerato la loro diminuzione. In Australia, invece, è la siccità la principale minaccia per i regimi di deflusso dei fiumi e per quella migratoria dei pesci, da essi dipendenti.
Infine, in Africa, dighe e sbarramenti stanno avendo un effetto negativo sui pesci Labeobarbus, che stanno subendo anche le conseguenze del rapido sviluppo della regione, dell’alterazione idrologica, di nuove specie invasive e dei cambiamenti climatici.