Indipendente indaga sulle soluzioni dell’emergenza climatica
La COP 26 si è appena conclusa ma già emergono retroscena oscuri sulle politiche scelte dai governi per fronteggiare l’emergenza climatica.
Proprio di questo tratta l’edizione speciale pubblicata da L’Indipendente, testata che fa dell’informazione coraggiosa, verificata e senza filtri il suo vanto.
Nel Report di novembre “Emergenza climatica. La transazione necessaria e il gioco delle élite globali”, i giornalisti hanno cercato non solo di fare chiarezza sulle verità scientifiche dell’emergenza climatica e sulle possibili soluzioni, ma raccontano anche di come le élite politiche e le multinazionali presenti alla COP 26 vogliano tutelare di più i propri interessi che quelli del pianeta e delle generazioni future.
Secondo il direttore della testata, Andrea Legni, infatti, «il fine è quello di risolvere l’emergenza nel modo desiderato dalle élite».
Lotta all’emergenza climatica come modo per fare profitto
Ciò che ha spinto i giornalisti di L’Indipendente a indagare è il fatto che durante la Conferenza globale sul clima, a Glasgow, le soluzioni per affrontare l’emergenza climatica sono state proposte proprio da chi ha creato il problema. Gli attori decisionali sono le stesse realtà che da sempre hanno sfruttato le risorse naturali per trarne profitto.
Il vero obiettivo che si nasconde dietro questa transizione ecologica pianificata è quello di generare elevati rendimenti dalle attività a minori emissioni. E in che modo? Tutto sarà possibile grazie agli investimenti pubblici. Ciò che evidenzia l’analisi di L’Indipendente è che miliardi di investimenti pubblici serviranno a trasformare progetti climatici estremamente necessari in investimenti redditizi. Così sarà il pubblico ad assumersi il rischio finanziario che le aziende private non sono disposte a correre per salvare il mondo.
«È questa l’anima green di quella che le élite chiamano “Quarta rivoluzione industriale”. Cucinare una nuova torta miliardaria, pagata dagli Stati e quindi dai cittadini, le cui fette saranno spartite dai soliti colossi del capitalismo finanziario ed estrattivo», commenta il direttore Legni.
Anche le parole del premier Mario Draghi confermano come le imprese debbano essere sostenute dal settore pubblico allo scopo di «condividere con il settore privato i rischi che quest’ultimo non può sopportare».
In più dei 248miliardi previsti dai fondi UE, si destinano circa 70miliardi al comparto ambientale. Ma, di questi, solo 1,7miliardi sono spettati alla salvaguardia della biodiversità e degli ecosistemi. Invece oltre 3 miliardi sono stati indirizzati a promuovere la produzione, la distribuzione e gli usi finali dell’idrogeno. Tuttavia l’uso di questa risorsa, seppur rinnovabile, è ancora immaturo e arricchisce, in parte, chi già detiene il predominio del settore energetico.
Anche gli Stati vogliono mitigare le azioni di tutela ambientale
Ma non solo le aziende private sono colpevoli di manipolare in loro favore le decisioni su come affrontare l’emergenza climatica. Anche gli Stati mirano a mitigare le azioni da compiere per la salvaguardia dell’ambiente al fine di non avere un impatto economico negativo.
Infatti, secondo quanto riportano Unearthed e BBC, Paesi come Australia, Giappone, Arabia Saudita e l’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) hanno fatto pressioni sull’IPCC, (Intergovernmental Panel on Climate Change) la principale autorità mondiale sui cambiamenti climatici, per rimuovere o indebolire conclusioni chiave, che hanno lo scopo di eliminare rapidamente i combustibili fossili.
Invece Brasile e Argentina, due dei maggiori produttori mondiali di carne bovina e mangimi, hanno cercato di far eliminare le note che riportavano i benefici climatici della promozione di diete “a base vegetale” e del contenimento del consumo di carne e latticini.
Lotta all’emergenza climatica come strategia di greenwashing
La COP26 non è stata però solo l’occasione per alcuni di “tirare l’acqua al proprio mulino” ma anche di “tingersi di verde” e mostrare un’immagine green del proprio operato.
Il fenomeno del greenwashing non è nuovo. Da anni aziende, istituzioni ed enti attuano questa strategia di comunicazione e di marketing allo scopo di presentare come ecosostenibili le proprie attività, cercando, al tempo stesso, di occultarne il reale impatto ambientale negativo.
Questa pratica è attuata anche dai partner promotori di questo evento globale dedicato al clima. Infatti secondo l’analisi di The Ferret, pubblicata anche da GreenMe, le undici aziende sponsor della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici hanno prodotto, nel 2020, un’impronta di carbonio di quasi 350milioni di tonnellate di CO2 superiore, secondo i dati ufficiali provvisori, a quelle prodotte in Paesi come Italia, Francia, Spagna o il Regno Unito.
Greenpeace definisce un “greenwash” anche il famoso metodo delle compensazioni di carbonio. Con questo termine si descrive il processo che è entrato in vigore nel 2005 con il Protocollo di Kyoto.
Grazie a esso le imprese inquinanti possono comprare diritti di emissione e crediti di carbonio attraverso il finanziamento di programmi di riforestazione o investimenti in tecnologie pulite che dovrebbero generare una corrispondente riduzione di gas serra. In questo modo non è necessario che le aziende modifichino le proprie strutture produttive per renderle meno inquinanti, ma basta solamente finanziare un progetto che compensi l’inquinamento di anidride carbonica prodotto.
Il rischio delle tecnologie Carbon capture and storage
Infine un’altra questione di rilievo che getta un velo oscuro sulle politiche previste per affrontare l’emergenza climatica è quella riguardante le metodologie di Carbon Capture and Storage (CCS).
Queste tecnologie possono catturare le emissioni di carbonio da siti industriali, come per esempio le centrali elettriche. In questo modo si tolgono dall’atmosfera e possono essere utilizzate nei processi industriali.
L’IPCC riconosce che la “cattura del carbonio” potrebbe teoricamente ridurre l’impatto climatico dei combustibili fossili. Tuttavia afferma anche che è ancora incerta la fattibilità delle tecnologie previste.
Perciò la scelta di questa soluzione, costosa e potenzialmente dannosa, costituisce un rischio. Privilegiare il finanziamento di questo tipo di tecnologie ha il solo scopo di “nascondere” l’anidride carbonica generata soprattutto da un’industria impiegata in un settore che si sarebbe dovuto già abbandonare.
Tutti questi aspetti sembrano mettere in evidenza come determinate decisioni siano state prese per assicurare un vantaggio a pochi invece di perseguire un bene comune e di condurre alla salvezza l’intero pianeta.
Qual è a questo punto la soluzione? Informare i cittadini. Ed è proprio questo che ha fatto l’edizione speciale di L’Indipendente. E lo facciamo anche noi.
«Una transizione ecologica è necessaria, ma deve essere al servizio del 99% della popolazione mondiale e non del solito 1%. Per questo occorre mobilitarsi», conclude l’editoriale il direttore Andrea Legni.