“LE LAME DI BARI E LE LORO ANTICHE STORIE; LE GROTTE, GLI INSEDIAMENTI RUPESTRI FRA IONIO E ADRIATICO E I LORO PERSONAGGI”. MOLTO SIMILI AI CANYON DELL’AMERICA SETTENTRIONALE, E SCAVATE DALLE ACQUE METEORICHE NELLA ROCCIA CALCAREA, VI SONO LE GRAVINE. OSSIA INCISIONI EROSIVE DEL TERRENO, A VOLTE PROFONDE ANCHE PIÙ DI 100 METRI, DOVE HA AVUTO ORIGINE E SI È SVILUPPATA LA “CIVILTÀ RUPESTRE” (terza puntata)
Le quattro puntate
Prima puntata: Le lame, le grotte e gli insediamenti rupestri in Puglia
Seconda puntata: Lama Balice e le diecimila orme: “quando a Bari passeggiavano i Dinosauri”
Terza puntata: La Civiltà Rupestre fra Ionio e Adriatico
Quarta puntata: Gli insediamenti rupestri di Fasano e Monopoli
Testi a cura della professoressa Angela Campanella
Gli insediamenti rupestri di Mottola e Massafra
Non ci sono balenottere né giganteschi dinosauri in questo terzo capitolo dedicato come gli altri alle tante tracce del lontano e lontanissimo passato che si rinvengono in terra di Puglia. C’è invece il racconto di un curioso rapporto simbiotico fra una natura millenaria aspra e difficile e l’uomo medievale. E c’è la storia di un complesso fenomeno geologico, della durata di milioni di anni, che fa da supporto a una circoscritta espressione di vita contadina, un unicum che va sotto il nome di “civiltà rupestre”, intendendo per rupestre tutto ciò che vive ed è reperibile su pareti rocciose.
La caduta dell’Impero Romano, il dominio dei barbari e l’origine della “civiltà rupestre”
Tanti e tanti anni sono trascorsi da quando il fenomeno ha avuto vita, ma in quei luoghi è rimasta la suggestione di sempre!
Nella determinazione delle cause che diedero origine alla “civiltà rupestre” vanno separate le due componenti della simbiosi, quella antichissima, inanimata, di natura geologica, e quella umana, storica, connessa alla inquieta situazione generata dalla caduta dell’Impero Romano.
Il passaggio dall’antichità al Medioevo viene simbolicamente segnato da una data. Era il 4 settembre del 476: l’imperatore romano Romolo Augustolo veniva deposto da Odoacre, primo re barbaro in Italia. Si chiudeva così l’ultimo capitolo della leggendaria storia di Roma e si apriva il tragico scenario delle invasioni barbariche che fra guerre, lutti e carestie era riuscito a dimezzare la popolazione italica dagli 8-10 milioni dell’età augustea, ai non più di 4-5 milioni a conclusione della guerra greco-gotica.
Il dominio dei barbari non incise però in maniera rilevante sulla struttura etnica e sociale dell’Italia in genere, e della Puglia in particolare. Più caratterizzanti invece per i pugliesi furono i contatti con l’Oriente, soprattutto con Costantinopoli, erede della civiltà greca e romana e centro propulsore della civiltà bizantina.
Un altro aspetto di rilevante importanza in questo periodo fu rappresentato dal consolidarsi del Cristianesimo in Puglia e dalla costituzione delle diocesi che raggruppavano la popolazione intorno alla sede vescovile. Si sovrapposero cosi ai luoghi di culto pagani, quelli cristiani, come la grotta santuario di San Michele sul Gargano.
Grande rilievo sul territorio pugliese ebbero anche le incursioni dal mare che costrinsero le popolazioni costiere ad arroccarsi sulle alture dell’entroterra. Questi tre fattori furono alla base del fenomeno rupestre, sicuramente agevolato dalla particolare struttura del terreno.
Le gravine
Osservando la connotazione geografica pugliese infatti si evidenzia subito la presenza dell’altopiano della Murgia. Limitato a sud ovest dalla fossa bradanica e a nord ovest dalla valle dell’Ofanto, degrada a nord con una ripida scarpata di faglia verso il mare Adriatico. A sud est invece scende dolcemente in un susseguirsi di ripiani e di piccoli pendii verso le pianure di Taranto e di Brindisi.
Su queste “zolle calcarenitiche” degradanti, su una fascia altimetrica compresa fra i cento e i trecento metri, si sviluppa la civiltà rupestre. Alla base di questo articolato sistema vi sono le gravine: incisioni erosive del terreno, a volte profonde anche più di 100 metri, scavate dalle acque meteoriche nella roccia calcarea.
Molto simili ai canyon dell’America Settentrionale hanno pareti molto inclinate, in alcuni casi a strapiombo, distanti l’una dall’altra da poche decine di metri a più di 200.
Sul fondo delle gravine scorrono in genere corsi d’acqua torrentizi che possono diventare anche tumultuosi in occasione di precipitazioni meteoriche abbondanti.
Le proprietà geologiche delle gravine
La proprietà dei terreni calcarei di essere resi teneri dall’umidità consente l’erosione del letto della gravina anche quando il corso d’acqua è di portata modesta. Il calcare delle pareti che invece è secco si indurisce e viene così protetto dal disfacimento, ciò consente alle gravine di non subire frane e di conservare intatto nel tempo il profilo scosceso.
Le rocce calcarenitiche sono formate da calcari con elevato contenuto di carbonato di calcio di origine marina. Derivano da un processo di sedimentazione durato milioni di anni di alghe, molluschi, coralli e spugne, con i loro scheletri e gusci a base di calcite, precipitati sul fondo di antichissimi mari e laghi. L’area in cui il fenomeno assume grandi e vistose proporzioni è situata fra le estreme propaggini meridionali delle Murge e il Mar Jonio.
La “civiltà rupestre”
È qui che le rocce calcarenitiche, lisce e compatte, facili all’escavazione, hanno consentito a gruppi di persone in cerca di rifugi sicuri la realizzazione di una architettura abitativa variegata che pare comunque rispettare, al negativo, le tipologie costruttive degli impianti urbani, sviluppatisi contemporaneamente sul territorio.
Ma chi erano questi abitanti delle gravine che sceglievano una vita in grotta in luoghi impervi? Sicuramente provenivano da popolazioni costiere costrette dalle incursioni provenienti dal mare a rifugiarsi sulle colline fino a creare in questi anfratti una vera e propria struttura urbana, come se si trattasse di un borgo o di un piccolo paese, ma messo al contrario rispetto al livello del suolo; anziché svilupparsi verso l’alto si sviluppava verso il basso.
Vivere in un insediamento così non sarà stato affatto facile. Una vita nella pietra la sceglievano gli anacoreti, eremiti dediti alla contemplazione o piccoli gruppi di monaci che seguivano l’ora et labora di San Benedetto nel silenzio delle gravine o come temporaneo appoggio vi si fermavano pellegrini e crociati diretti in Terra Santa. In ogni caso si trattava di un rifugio sicuro lontano da incursioni di saraceni, di ladri e lestofanti e di eserciti invasori.
La maggiore complessità ed espressività degli insediamenti rupestri si riscontra nelle gravine tra Matera e Massafra, Ginosa, Laterza, Castellaneta, Palagianello fino a Mottola. É in quest’ultima località che si aprono gli incomparabili scenari di Casalrotto e Petruscio, e la serie delle chiese rupestri di Sant’Angelo, san Michele Arcangelo, santa Margherita, san Nicola e san Gregorio. È a Massafra invece che si riscontra una successione di grotte e di cripte ricavate nelle emblematiche gravine della Madonna della Scala e di san Marco tra le quali è incastonata ad ovest e ad est la città.
Comunità in grado di provvedere a sé stesse
E poi c’è la terra e c’è la pietra, dura e fragile, che qui diventa lavoro e dimora. Scalette di pietre, a volte solamente tracce nella roccia impervia per raggiungere l’acqua sul fondo della valle o per risalire in superficie a studiare i pericoli esterni per preservare la sicurezza del villaggio.
Per accedere solamente pochissimi ingressi ben nascosti. Una comunità in grado di provvedere a sé stessa e ai propri bisogni utilizzando le risorse dell’ambiente naturale ed elaborandole nei più svariati prodotti. Da quello che è rimasto si può dedurre che senz’altro la vita di questi villaggi era vissuta intensamente e da comunità molto progredite. Un’attività agricolo-pastorale alla cui base era la famiglia che spesso ospitava nella casa dove abitava o in quelle attigue, i collaterali.
Tutti provvedevano a tutto. Sono state trovate vasche, macine e mensole, accanto a camini, nicchie, lucernai e profonde buche (le fovee) scavate nella pietra atte a conservare le provviste di frumento e di legumi; all’esterno delle grotte erano altri pozzetti per la raccolta e lo smaltimento dei liquami e delle immondizie. Le persone generalmente vivevano con gli animali la cui presenza contribuiva nei periodi freddi a tenere caldo l’ambiente.
La particolare disposizione delle grotte manteneva il fresco d’estate anche in quelle esposte ai raggi diretti del sole. Sulle pareti delle abitazioni non mancavano molteplici anelli attraverso i quali si lasciava passare una fune per reggere le provviste alimentari o legare gli animali; e ancora innumerevoli fori, ove venivano fissati dei paletti. Questi servivano per appendere oggetti di uso comune o per sostenere culle di bambini, giacigli, sedili e piani di lavoro.
Petruscio (Mottola)
Petruscio, il più vistoso insediamento rupestre di Mottola, generato dalle acque del fiume Patemisco: un complesso che non può esaurirsi in un elenco di nomi e generiche descrizioni. È uno spettacolo senza eguali.
Per giungere alla gravina si attraversa una vasta piattaforma poco coltivata, brulla e petrosa, che si apre improvvisamente sulla rigida scarpata di faglia verdeggiante di cedri del Libano, portati chissà da chi e chissà quando a creare un inusuale gioco di colori.
Il verde brillante di questi alberi d’oriente risalta infatti sul verde scuro della macchia mediterranea che qui si esprime in tutta la sua molteplicità con profusione di lecci, carrubi, ulivi, pruni, perastri, ginepri, corbezzoli, terebinti, filloree, lasciando ben poco spazio alla roccia e al sapiente gioco di erbe e arbusti che crescono indisturbati in ogni anfratto. Sono centinaia le specie spontanee.
Molte sono medicamentose, le utilizzavano certamente i monaci che furono fra i primi abitatori delle grotte, soprattutto quelli provenienti dall’Oriente dove, nell’ottavo secolo, erano in atto le persecuzioni dell’Imperatore bizantino Leone III l’Isaurico. E i monaci, si sa, erano maestri nella preparazione di unguenti, pozioni e, perché no, anche di digestivi liquorosi a base di erbe.
È difficile distinguere quale specie di pianta erbacea o di arbusto sia prevalente sugli altri, anche perché i profumi intensi si mescolano. Non mancano la borracina rupestre, utile per curare le ferite che all’epoca erano più che frequenti, il timo per decotti e infusi utili nelle affezioni respiratorie, la santoreggia, antisettica e digestiva, l’issopo per saponi e profumi, e poi capperi, campanule, parietarie, malva, rosmarino, biancospino e nelle zone più umide persino il leggero e sofisticato capelvenere. Una macchia mediterranea ricca e variegata che a Petruscio ha trovato il suo ideale habitat naturale.
Madonna della Scala (Massafra)
Ai monaci si devono certamente le espressioni figurative e gli elementi decorativi delle chiese rupestri. Come per l’architettura di questi modesti edifici di culto, anche per gli affreschi i rimandi alla cultura bizantina sono rilevanti.
Ma, accanto a questo filone legato alla penetrazione religiosa dei monaci italo-greci si afferma anche la cultura pittorica pugliese con le influenze del romanico e del nordico benedettino. Questo è evidente nelle chiome, nelle corone regali, nei gioielli e nelle vesti dei santi. In particolare Santa Caterina e Santa Lucia nella chiesa della Buona Nuova a Massafra, inserita nel grande complesso rupestre della Madonna della Scala.
Gli autori della pittura parietale rupestre potevano essere nativi del luogo stesso o artisti vaganti. In ogni caso le tracce delle loro espressioni artistiche sono molteplici. Anche se spesso il tempo e l’incuria degli uomini hanno consentito all’umidità di coprire di grigio i colori brillanti degli affreschi e lasciato cadere al suolo intere pareti dipinte, un attento e accurato lavoro riesce a ridare vita a queste preziose testimonianze artistiche e storiche.
Una testimonianza delle possibilità figurative degli artisti rupestri la troviamo nella chiesa della Madonna della Candelora a Massafra, dove accanto alle numerose figure di San Nicola Pellegrino e Santo Stefano vi è la rappresentazione di una scena del Nuovo Testamento: la presentazione al Tempio con San Simeone.
Il Cristo Pantocratore
Altri affreschi di santi e anacoreti e scene dal Nuovo Testamento si rinvengono in tutte le cripte sparse nel territorio di Massafra. Ricordiamo in particolare l’Annunciazione e l’Ultima Cena in quella di san Simeone a Famosa. In quasi tutte le raffigurazioni è presente il Cristo Pantocratore. Accanto alle figure non mancano numerose iscrizioni, molto spesso divenute illeggibili. Le iscrizioni sono in greco e in latino e la maggior parte di esse si riferisce al nome del santo oppure è una semplice epigrafe dedicatoria.
Anche per le abitazioni della gravina della Madonna della Scala, a Massafra, come per Petruscio ci si può rifare a schemi abitativi molto semplici: alcove rudimentali, sale di soggiorno, camini, bacini per l’acqua, silos, ripostigli. Fra le tante grotte si distingue quella del Ciclope, uno spazio di grandi dimensioni che probabilmente ospitava le riunioni degli abitanti del villaggio.
La leggenda popolare di Mago Greguro
Particolare struttura presenta la cosiddetta Farmacia di Mago Greguro, costituita da ambienti collegati fra loro. Tre di questi hanno sui muri piccoli incavi quadrati che fanno pensare alla columbaria ove i romani deponevano le urne cinerarie.
Rifacendosi invece a consuetudini di eremiti di Oriente o di monaci benedettini potevano servire per deporre unguenti e tisane ricavate dalle numerose erbe e piante medicinali che crescevano nella gravina. Questi incavi e le tante erbe officinali che crescono nella gravina hanno alimentato la leggenda popolare che racconta di Mago Greguro e di Margaritella, l’unica figlia nata dal matrimonio fra il vecchio cerusico, greco di origine e una nobildonna bizantina del villaggio, morta subito dopo il parto.
Da piccola aiutava il padre nella preparazione di unguenti e tisane medicamentose, raccogliendo le erbe nella gravina. Crescendo Margaritella era diventata una bella ragazza e nel paese le comari gelose cominciarono a mormorare che la giovane utilizzasse speciali intrugli in grado di far innamorare di lei fidanzati, mariti e amanti. Fu tanta l’invidia e la gelosia delle altre donne che chiesero al giustiziere di mandarla al rogo.
Neanche il padre Greguro riuscì a salvare la figlia dalla dura sentenza che le era stata inflitta. Ma pare che, mentre la sentenza stava per essere eseguita, arrivò il superiore del monastero, l’Igumeno Anselmo, a salvare la fanciulla e a rimproverare tutti, soprattutto le donne, per questo loro voler credere alle superstizioni. Liberata così dalle grinfie delle popolane, la bella ragazza si ritirò con il padre nella gravina in un punto poco accessibile per dedicarsi alla profonda conoscenza di piante ed erbe officinali, che lì crescevano in gran quantità e varietà.
Un grande patrimonio di storia, civiltà e cultura
Molti altri insediamenti si sono trasformati successivamente in casali “sub divo” (a cielo aperto) o masserie fortificate. La scelta del luogo era infatti estremamente strategica. La presenza dell’acqua nelle gravine e la difficile accessibilità hanno sempre rappresentato un ottimo elemento di difesa anche in epoche successive.
Mottola, Massafra, Fasano, Monopoli sono luoghi in cui gli insediamenti rupestri hanno raggiunto le più alte espressioni. Ma sono esempi che solo in parte esprimono tutta la singolarità del fenomeno.
Con le innumerevoli cripte e abitazioni scavate in grotta sparse in tutto il territorio pugliese, dal Gargano al Salento, rappresentano un grande patrimonio di storia, civiltà e cultura che non va dimenticato.