IL MAMMUT LANOSO (MAMMUTHUS PRIMIGENIUS BLUMENBACH, 1799), PARENTE STRETTO DEGLI ELEFANTI ASIATICI, POTREBBE TORNARE IN VITA GRAZIE ALLE INNOVAZIONI GENETICHE? È QUANTO STA PROVANDO A FARE LA SOCIETÀ DI DE-ESTINZIONE COLOSSAL BIOSCIENCES DI DALLAS, TEXAS. LA DOMANDA PONE MILLE INTERROGATIVI, SIA DAL PUNTO DI VISTA ETICO, SIA IN MERITO ALLA FATTIBILITÀ DEL PROGETTO. MA CHI ERANO QUESTI ANIMALI?
Conosciamo il mammut lanoso
Il termine mammut deriva dal russo “мамонт”, “mammont”, che a sua volta ha origine dal finlandese antico “mammot”, cioè “terra bassa” o “depressione”, poiché le prime ossa di mammut furono scoperte in terreni paludosi.
Il loro nome scientifico è invece Mammuthus primigeniu.
I mastodontici animali, una famiglia estinta di proboscidati, sono tra le creature più iconiche del Pleistocene, periodo noto anche come l’ “Era glaciale”. Da cui i miti film dell’omonima saga, nei quali il mammut è uno dei protagonisti principali.
Con ogni probabilità, si sarebbero evoluti dalla famiglia Elephantidae in Asia, circa 5-6 milioni di anni fa e si sono estinti circa 4mila anni fa, a causa di una combinazione letale di cambiamenti climatici e pressione antropica. Parliamo cioè di tutti quegli effetti che le attività dell’uomo hanno avuto e hanno sull’ambiente che lo circonda, a livello peggiorativo…
Le maestose creature possedevano una lunga proboscide simile a quella degli elefanti e spesso avevano enormi zanne ricurve, che potevano raggiungere anche i 4 metri di lunghezza. Queste “appendici”, non solo erano utili per scavare il terreno alla ricerca di cibo, ma anche per difendere il territorio e corteggiare le femmine durante la stagione degli amori.
I mammut lanosi, tra le specie più famose di mammut, si adattarono agli ambienti freddi e si diffusero ampiamente nelle regioni settentrionali di Eurasia e America del Nord. Vivevano in branchi e si nutrivano principalmente di erbe, arbusti e alberi.
Attraverso il loro pascolo, contribuirono alla creazione delle steppe e delle praterie.
Per migliaia di anni, questi giganteschi esseri coesistettero con l’uomo preistorico. Ma, una notevole contrazione del loro habitat finì per ridurne le popolazioni, rendendole più vulnerabili alla caccia. Non solo per ricavarne cibo ma anche per realizzare rifugi e costruire utensili, utilizzando la pelle e gli ossi.
Ma veniamo al singolare progetto di biogenetica.
I mammut di Colossal Biosciences
Tutto ha avuto inizio diciotto anni fa, quando i ricercatori della società di de-estinzione Colossal Biosciences hanno dimostrato che le cellule della pelle dei topi potevano essere trasformate in cellule embrionali, chiamate cellule staminali pluripotenti indotte (iPS).
Da allora, le cellule (capaci di differenziarsi in qualsiasi tipo di cellula animale), sono diventate la chiave per il singolare progetto: creare branchi di elefanti asiatici geneticamente modificati per assomigliare ai maestosi mammut lanosi, i parenti estinti più prossimi.
E il co-fondatore di Colossal George Church, un genetista di fama mondiale dell’Harvard Medical School di Boston, Massachusetts, si è spinto oltre i confini della possibilità. «Penso che siamo certamente in corsa per il record mondiale di cellule iPS più resistenti».
Detta così, sembra semplice…
In realtà, la creazione di queste cellule iPS di elefante ha presentato e presenta tuttora enormi ostacoli tecnici. Ripercorriamo le tappe.
Un salto nel passato
Nel 2011, la biologa Jeanne Loring dello Scripps Research Institute di La Jolla, in California, compì un “miracolo scientifico”.
La donna riuscì a creare delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPS) da un rinoceronte bianco settentrionale e persino da una scimmia trapano.
Quest’ultima, per chi non lo sapesse, appartiene ai Primates, famiglia Cercopithecidae, che comprende anche macachi e mandrilli. Ma torniamo al nocciolo della questione.
Fu un evento senza precedenti, poiché erano le prime cellule del loro genere ottenute da animali in via di estinzione!
Da quel momento, la corsa alla creazione di cellule iPS da specie minacciate fu lanciata. Il leopardo delle nevi, l’orango di Sumatra, persino la pernice bianca giapponese, cedettero le loro cellule staminali per il “bene della scienza”.
Ma quando arrivò il turno dell’elefante, le cose si fecero difficili. «L’elefante è stato impegnativo», spiegò all’epoca la dott.ssa Loring. Tanti team si erano scontrati con la sfida, e il mistero di come riprogrammare le cellule di questi maestosi animali sembrava indecifrabile.
Ma proprio quando sembrava che tutti i tentativi fossero destinati al fallimento, entrò in scena il team di Colossal, guidato da Eriona Hysolli.
I ricercatori si lanciarono nell’impresa di ricreare le misteriose cellule dell’elefante asiatico.
Ma il compito non fu facile. Anche il loro primo tentativo, seguendo la ricetta provata e testata dal premio Nobel (2012) Shinya Yamanaka, si rivelò un fallimento.
Per chi non lo sapesse, Yamanaka e John B. Gurdon scoprirono come le cellule mature e specializzate possano essere riportate alla condizione di cellule staminali pluripotenti indotte, ossia cellule immature e capaci di sviluppare quasi qualunque tipo di tessuto del corpo umano.
Ebbene, Eriona e il suo team non si arresero. Continuarono a sperimentare, a modificare, a innovare.
Non mollare mai…
E così, dopo aver affrontato molte sfide e superato numerosi ostacoli, gli scienziati decisero di trattare le cellule di elefante con un misterioso “cocktail chimico”, lo stesso utilizzato per riprogrammare cellule umane e di topi.
Alcuni temevano che questo trattamento avrebbe portato alla fine delle cellule dell’elefante, oppure alla loro inattività. Tuttavia, durante alcuni esperimenti le cellule presero una forma arrotondata, simile a quella delle leggendarie cellule staminali. Ma la vera svolta arrivò quando decisero di aggiungere i quattro fattori “Yamanaka” a queste cellule, e di ridurre l’espressione di un gene antitumorale chiamato TP53.
Risultato?
Crearono quattro linee di cellule iPS da un elefante. Ma non si trattava di cellule qualsiasi!
Potevano formare i tre “strati germinali”, che determinano le formazioni degli organi di tutti i tessuti di un vertebrato:
- Enoderma: cellule del rivestimento interno del tubo digerente e gli organi da esso derivati;
- Ectoderma: lo strato più esterno dell’embrione;
- Mesoderma: lo strato intermedio fra i due tessuti.
Il viaggio verso la creazione di elefanti con tratti di mammut lanoso era finalmente iniziato!
Il salto tecnologico
Oggi il team di Colossal sta pianificando di utilizzare una tecnologia di clonazione rivoluzionaria, che non richiede l’impiego delle cellule iPS.
Per riuscirci, bisognerà affrontare numerosi passi avanti nel campo della biologia riproduttiva. Una possibilità consiste nel trasformare le cellule iPS geneticamente modificate in spermatozoi e ovuli per creare embrioni, un’operazione già riuscita nei topi.
Ma, secondo Church, la vera rivoluzione potrebbe arrivare dalla possibilità di convertire direttamente le cellule iPS in embrioni “sintetici” vitali. Ed è su questo che sta lavorando Colossal. In che modo?
Evoluzione del progetto: i mammut ritorneranno a vivere?
Per non interferire con la riproduzione naturale delle specie in via di estinzione, Church pensa di utilizzare degli uteri artificiali, derivati in parte proprio dalle stesse cellule iPS. «Non vogliamo interferire con la meraviglia della natura – dichiara il visionario ideatore del progetto -, quindi stiamo lavorando per aumentare la gestazione in vitro».
Jeanne Loring, la cui esperienza è stata fondamentale nel campo delle cellule staminali, sottolinea l’importanza di aggiungere gli elefanti alla lista delle specie con cellule iPS. Tuttavia, chiarisce che questa nuova scoperta non cambia le regole del gioco, ma sarebbe di grande aiuto per coloro che si trovano ad affrontare le stesse difficoltà nel riprogrammare altre specie animali.
Tuttavia, secondo Sebastian Diecke, biologo esperto di cellule staminali, «ci sono ancora dei passaggi da compiere prima di definirle completamente come cellule iPS».
Uno studio parallelo
Mentre si cerca di far tornare in vita il mammut lanoso, Vincent Lynch, un genetista evoluzionista, continua la sua ricerca per creare cellule iPS di elefante. Pur non avendo ancora avuto successo, intende provare il nuovo metodo sviluppato da Hysolli e dal suo team, in un progetto parallelo: comprendere meglio perché gli elefanti sembrano sviluppare il cancro solo raramente.
Grazie a ulteriori studi e risorse finanziarie, Lynch è convinto che sarà possibile superare gli ostacoli tecnologici.
Quanto ai mammut. Torneranno in vita? Bella domanda…
Fonte
Nature.com