sabato, Gennaio 25, 2025

Il Ponte Morandi e l’Italia da ricostruire

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Una delle cose fondamentali da cambiare nel nostro Paese è la “pianificazione delle città” e del territorio circostante. Il paesaggio delle grandi città e, nello specifico, quello di Genova nelle ultime settimane, dei comuni, de borghi, dei centri minori, delle campagne e della costa, dimostrano visivamente e fisicamente il dramma e le storture gestionali degli ultimi cinquant’anni, di “pianificazione imperfetta” che è, inoltre, la distanza vera che ci separa dalle città dell’Europa.

Un programma per il territorio dopo il crollo del Ponte Morandi

Genova, il ponte progettato dall’ing. Riccardo Morandi e costruito tra il 1963 e il 1967 dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua

A seguito del crollo del Ponte di Riccardo Morandi a Genova (vedi il filmato a fondo pagina), in questi giorni, si sta misurando l’entità dei cambiamenti necessari e imprescindibili da introdurre sia nelle istituzioni dello Stato italiano, sia nei comportamenti degli uomini. È un grande cambiamento ma preciso e va inserito nel tema più globale dell’urbanistica programmata, superando le continue e insufficienti fasi di emergenza.

L’urbanistica in Italia sconta la sua mancata applicazione corretta per tre motivi. Il primo motivo è l’impreparazione della classe politica e amministrativa ad affrontare i molteplici aspetti dell’urbanistica contemporanea, che deve essere fondata sulla pianificazione territoriale, nella prospettiva di una “vera priorità nazionale”.

Mentre, nel pensiero politico e amministrativo va introdotto un nuovo modello di sviluppo fondato su nuovi parametri quali: la protezione dell’ambiente naturale e costruito, una nuova gestione del territorio e delle infrastrutture esistenti e di progetto, un’organizzazione amministrativa gestionale più adatta alla vita sociale odierna, con uno sforzo per limitare la degradazione delle periferie, delle infrastrutture, dei centri urbani e la desertificazione delle campagne.

Bisogna dare atto, inoltre, che questa situazione si è creata nel tempo perché nessun politico e amministratore “importante” dello Stato italiano, sino a oggi, si è seriamente interessato alla pianificazione territoriale. A conferma di ciò, l’assenza di questi discorsi nel dibattito pubblico odierno. Il rinnovamento appare definito solo nei termini giuridici, economici, sociali e di funzionalità settoriale del Paese. Si sono affermati solo obiettivi generici del risanamento ambientale, della tutela dei valori naturali, storici e architettonici, della qualità della vita urbana. Senza individuare, discutere e attuare le “grandi scelte” per ottenerli, perché gli esperti economi contemporanei sono abituati a definire la politica economica solo in termini globali, senza considerare la “distribuzione territoriale” delle attività economiche e le infrastrutture necessarie al territorio.

Il secondo motivo è la lentezza delle scelte politiche e dell’attuazione amministrativa con l’obiettiva limitazione degli interventi correttivi sulle infrastrutture (ponti, viadotti, gallerie) e la rete squilibrata dei trasporti tra nord e sud, dei provvedimenti sulle periferie degradate, sulle coste, le colline e le montagne abbandonate a se stesse, sui centri storici deturpati, che portano, già oggi, i segni visivi e fisici che peseranno sempre più nel paesaggio italiano.

Il terzo motivo il contrasto tra l’emergenza e la continuità nei “tempi lunghi”, che è indispensabile e imprescindibile combattere per una pianificazione territoriale “attiva”. Perché la pianificazione dell’ambiente fisico è, per sua natura, lenta e comprensiva di una vasta gamma di aspetti fisici, sociali e infrastrutturali che, per essere considerati nel giusto modo esigono tempo e competenza: tutti elementi che mancano nell’attuale momento storico politico e amministrativo. Con la consapevolezza che governare la “forma del territorio” è una sfida nei tempi lunghi, dove ogni dettaglio è essenziale nel progetto generale e qualunque semplificazione e sottovalutazione diventa disastrosa (vedi il caso del Ponte Morandi a Genova), considerando inoltre che tutti i dati, i calcoli e le scelte, devono passare al vaglio di una progettazione globale, appoggiata a previsioni e attuazioni durevoli nel tempo.

Pertanto, l’unico modo appropriato per governare il paesaggio italiano, un bellissimo territorio, è considerarlo un tutt’uno agli occhi e alla mente di chi lo gestisce a vario titolo, passando dall’idea dello Stato “esattore”, all’idea dello Stato “governatore”.

Barcellona

A conferma di tale pensiero, è l’esempio di pianificazione territoriale attuata e governata in altre città europee, anche nella continua turbolenza del quadro politico ed economico. Come Barcellona e Berlino che, con il loro operare in tal senso, hanno creato una continuità storica tra passato e futuro, di tradizione politica e culturale, nella cui visione hanno sorretto e ricostruito intere aree urbane degradate e distrutte, costituendo esperienze positive del governo del territorio.

Bibliografia essenziale:

Leonardo Benevolo, “L’Italia da costruire: un programma per il territorio”, Giuseppe Laterza e Figli, Bari, 1996.

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