VINCENT OTTAVIANI, GEOLOGO E PIANIFICATORE TERRITORIALE, VICEPRESIDENTE NAZIONALE DELLA SIGEA A.P.S., HA MATURATO UNA LUNGA ESPERIENZA PROFESSIONALE NELLA DIFESA DEL SUOLO, NELLA RICOSTRUZIONE SISMICA E NELLA GESTIONE DEL TERRITORIO. IN QUESTA INTERVISTA RIPERCORRE GLI INSEGNAMENTI DEL TERREMOTO DEL 2016-2017 IN ITALIA CENTRALE, OFFRENDO SPUNTI DI RIFLESSIONE PER LA PREVENZIONE FUTURA
Dottor Vincent Ottaviani, vicepresidente nazionale SIGEA APS, cosa possiamo dire in generale sulla storia dei terremoti e sulla loro imprevedibilità?
La storia dei terremoti e dei disastri naturali ha da sempre accompagnato la storia dell’uomo, condizionandone lo sviluppo e le civiltà. I terremoti sono fenomeni inattesi, imprevedibili nel tempo, causati da movimenti di porzioni di crosta terrestre lungo faglie, che possono muoversi in diverse direzioni.
Qual è stato l’evento più rilevante della sequenza sismica del 2016-2017?
Il sisma più forte è stato quello del 30 ottobre 2016, con magnitudo 6.5. È stato generato da un abbassamento di blocchi rocciosi lungo la faglia del Monte Vettore e dei Monti della Laga. Il movimento ha interessato oltre 25 km di lunghezza, provocando fratture in superficie. L’energia si è sprigionata in circa 30 secondi e ha devastato centri storici e comunità.
Quali sono stati i principali effetti su persone ed edifici?
La distruzione è stata enorme: decine di migliaia di edifici danneggiati, 41mila sfollati, ingenti danni ai beni culturali, soprattutto alle chiese. Fortunatamente non ci sono state vittime in questa scossa, oltre a quelle di Amatrice del 24 agosto 2016. I danni economici sono stati stimati in circa 15miliardi per la ricostruzione privata e oltre 4miliardi per quella pubblica.
Dal punto di vista geologico, dottor Ottaviani, cosa ci ha insegnato questo terremoto?
Che il paradigma del “dov’era, com’era” non è più sempre applicabile. Prima di ricostruire è necessario valutare i fattori geologici, come faglie attive, frane, liquefazioni e cavità sotterranee. Dove vi sono condizioni sfavorevoli occorre delocalizzare o adottare specifiche soluzioni tecniche. Gli studi di microzonazione sismica sono fondamentali per individuare amplificazioni locali e fornire indicazioni utili alla ricostruzione.
E dal punto di vista umano?
Abbiamo compreso che non esiste ricostruzione materiale senza ricostruzione sociale. Non basta ricostruire edifici e infrastrutture, ma serve restituire valore identitario alle comunità colpite, con investimenti in servizi, ambiente, lavoro, digitalizzazione e sviluppo locale. Solo così le aree interne appenniniche possono tornare a vivere e ad attrarre.
A quasi dieci anni dal sisma, come giudica l’andamento della ricostruzione?
I tempi sono stati lunghi, soprattutto nei primi anni, a causa di complessità normative e procedurali. La pandemia, la guerra in Ucraina e il Superbonus hanno ulteriormente rallentato i lavori. Soprattutto, con l’Ordinanza n. 100/2020 e con il “Testo Unico della Ricostruzione privata” del 2022, si è avuta una svolta significativa. Oggi assistiamo a una forte accelerazione. Inoltre, la recente legge quadro del 2025 punta a uniformare le procedure per le future ricostruzioni.
Guardando oltre la ricostruzione, quali misure di prevenzione servono per ridurre il rischio sismico?
È indispensabile un Piano nazionale di prevenzione sismica, con risorse stabili e indipendenti dai governi. Occorre ridurre la vulnerabilità degli edifici pubblici strategici e rilevanti (ospedali, scuole, municipi, infrastrutture) con demolizioni, adeguamenti e tecnologie innovative come isolatori e dissipatori sismici.
E per quanto riguarda i beni culturali, così duramente colpiti?
Serve superare le resistenze che ostacolano l’uso di tecnologie moderne. Non possiamo sacrificare la sicurezza per un’illusoria “autenticità” del bene: la priorità deve essere garantire la sopravvivenza dei monumenti e delle opere d’arte.
Come affrontare invece la vulnerabilità del patrimonio residenziale privato?
In Italia oltre il 70% degli edifici abitativi è vulnerabile. Servirebbe un piano ventennale per ridurre progressivamente il rischio, almeno per metà degli edifici più esposti. Senza risorse pubbliche non è possibile. Il “sismabonus” va ripensato con criteri di priorità, premi per miglioramenti sismici significativi e incentivi all’uso di tecnologie antisismiche.
Tra le misure non strutturali, quali ritiene prioritarie?
Tre in particolare:
- Microzonazione sismica preventiva obbligatoria, già nei piani urbanistici e di protezione civile.
- Fascicolo del fabbricato, con dati aggiornati su stato, vulnerabilità e sicurezza degli edifici.
- Assicurazione contro le catastrofi, resa accessibile grazie a un intervento statale che abbassi i costi.
Infine, quanto contano informazione e formazione?
Sono decisive. La società tende a dimenticare i disastri naturali, riducendoli a notizie passeggere. Serve educazione alla prevenzione sin dalle scuole, con campagne strutturate e continue. La SIGEA propone di destinare l’1×1000 dei fondi per la sicurezza a queste attività. È anche necessario rilanciare le professioni tecniche, oggi in calo, per non trovarci senza geologi e ingegneri nei prossimi anni.




