SECONDO ISRAEL21C, ORGANIZZAZIONE NO PROFIT DI INFORMAZIONE DI TEL AVIV, I GRANI ANTICHI DI ISRAELE POTRANNO RISOLVERE LA FUTURA CRISI ALIMENTARE MONDIALE. ECCO IL PUNTO DI VISTA DI ELANA SHAP, GIORNALISTA E COLLABORATRICE DELLA ONG
Il grano è uno tra gli alimenti più consumati al mondo. Quello che arriva quotidianamente sulla nostra tavola, viene definito dai ricercatori come grano moderno.
Ciò, per distinguerlo dalle cultivar (varietà agrarie di piante coltivate) di origine antichissima, legate alla biodiversità dei territori.
Visto il preoccupante calo della produzione del cereale – causa climate change e guerra in Ucraina -, un gruppo di scienziati israeliani ha elaborato un “piano B”. Ha, cioè, recuperato un ingente numero di varietà di grani antichi, per sopperire a una futura crisi alimentare globale.
Israel21c
Questo è quanto riporta Israel21c, una ong con sede a Tel Aviv, che si occupa di informazione, grazie al supporto di un team di giornalisti e digital creators.
La mission, fare approfondimento su tutte quelle notizie connesse al territorio, che non ricevono la dovuta attenzione dai media e che, invece, sarebbero utili per la comunità. Tra queste, anche il recupero dei grani antichi, su cui la penna di Elana Shap fa luce.

La scarsità di grano e di cibo
Come afferma Shap, «il grano moderno scarseggia e manca di diversità genetica e resilienza», per cui difficilmente esso potrà durare negli anni a venire. Anche perché, aggiunge, «un quarto del cibo mondiale proviene da un solo raccolto. Cresce abbondantemente in Russia e Ucraina, ma la guerra ne ha ostruito la filiera. Aggiungete a questo gli effetti del cambiamento climatico e una grave crisi alimentare sembra inevitabile». Un quadro piuttosto disastroso, dunque.
Ricordiamo che il frumento è il cereale più coltivato al mondo. Esso può arrivare, infatti, a coprire fino all’80% dell’apporto di carboidrati e proteine in alcuni Paesi africani.
Ma, purtroppo, la crisi climatica sta incidendo molto negativamente sulle colture (pensiamo alla forte siccità, sempre più ricorrente in vaste zone del Pianeta). Si stima, infatti, che per ogni grado di temperatura in più, la produzione decresca di circa il 7% (fonte – Le Scienze). Tutto ciò, nel terribile e controproducente scenario bellico. Tuttavia Israele pensa di poter risolvere il problema. Vediamo come
L’accumulo delle cultivar antiche
Elana ci racconta che «gli investigatori di semi israeliani stanno accumulando un tesoro di cultivar antiche». Queste sono state raccolte e catalogate dalla Israel Plant Gene Bank,del Volcani Centre Agricultural Research Organization, vicino Tel Aviv.
Il primo ente è una banca genetica delle piante, il secondo è un’organizzazione di ricerca agricola che gestisce predetta banca. Lo scopo di Volcani è quello di conservare tutti i pool genetici (bagaglio genetico di una specie) delle cultivar antiche esistenti nella regione, a beneficio dello sviluppo presente e futuro.
In altri termini, essendo alcune specie in pericolo di estinzione, il centro cerca di preservarle, tramite avanzate tecniche di ricerca e con l’ausilio della biotecnologia. E proprio grazie ai grandi mezzi a disposizione, mira a cooperare, per il funzionamento delle banche genetiche nazionali e internazionali, per la conservazione dei semi e la varianza.

La Gene Bank, nello specifico, provvede a raccolta, conservazione e catalogazione dei semi selvatici di tutte le piante sul territorio israeliano. Tiene, quindi, aggiornato un database genetico dei tratti vegetali più importanti.
Infine, investe nella continuità e nella sopravvivenza di quelle particolari varietà “antenate” (pertanto antichissime), che hanno sviluppato un record evolutivo genetico nel tempo.
«Abbiamo costruito una collezione di oltre novecento linee di grano. Una collezione enorme e ricca rispetto alle banche di altre parti del mondo», afferma Sivan Frenkin, ricercatore di Volcani. E questo risulta utilissimo, perché, come osserva Shap a riguardo, «il grano moderno manca di diversità genetica e non è abbastanza inalterabile per resistere a siccità, inondazioni e parassiti. Ed è qui che le antiche linee di grano (autoctone) provenienti da Israele hanno un netto vantaggio».
Il grano Aviv e Mizpor37
L’iniziativa di studio e stoccaggio è frutto di un’idea di Ben Davi, direttore della ricerca agricola presso il Volcani Centre e risale al 2015. L’indagine, come detto, ha permesso di riportare in vita diverse varietà autoctone della tradizionale agricoltura israeliana.
«Israele è geograficamente seduto su un tesoro genetico. Queste sono linee di grano che risalgono all’inizio dell’agricoltura, dove è iniziata la coltivazione del grano», afferma il direttore. Riferendosi al fatto che la posizione geografica e, di conseguenza, climatica del luogo permette il mantenimento e la sopravvivenza di specie resistentissime.
Grazie anche a questo determinante fattore e dopo lunghe ricerche, in cui sono stati recuperati grani dalla Russia o da zone desertiche come il Sinai, i ricercatori hanno provato sul campo le cultivar.
«La propagazione – spiega Shap – è stata effettuata durante due stagioni in due diverse regioni climatiche. Nelle serre di Vulcani nel centro del Paese con il suo clima mediterraneo e alla sua stazione sperimentale di Gilat, nella parte settentrionale semiarida del Negev».

Nonostante, però, alcune linee non siano riuscite a germogliare, l’istituto non si è arreso e ha progettato una varietà chiamata Aviv. Essa ha un ciclo di vita brevissimo, fiorisce presto, in pieno inverno, e sfugge agli attacchi del clima torrido. Queste caratteristiche, secondo gli scienziati, dovrebbero risultare molto vantaggiose, per la produzione in climi estremamente secchi.
Altra varietà ricavata è il Mizpor37, a fioritura tardiva, invece, molto più resistente e ideale per l’alimentazione animale.
Inoltre, per testare la resa di queste varietà in tavola, sono stati organizzati dei panel sperimentali di cottura e assaggio, in forni dedicati. Tra i vari tipi, la qualità Eikorn è piaciuta molto. La resa, a detta dei panificatori, è stata entusiasmante e dall’ottimo riscontro gustativo.
Tuttavia, come prevede Davi, «l’allevamento di nuove varietà per affrontare le immense sfide richiederà tempo, dieci anni al massimo». Per cui serviranno risultati stabili ed economicamente sostenibili dagli agricoltori, prima di poter immettere questi grani sul mercato.