lunedì, Dicembre 2, 2024

Gli uccelli marini migratori e il tragico “ponte biologico” di sostanze chimiche che intossicano l’Artico

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OGNI ANNO, MILIONI DI UCCELLI MARINI COMPIONO LUNGHE MIGRAZIONI DALL’EMISFERO MERIDIONALE ALL’ARTICO, CONTRIBUENDO INVOLONTARIAMENTE ALLA DIFFUSIONE DI SOSTANZE CHIMICHE TOSSICHE IN UNA DELLE REGIONI PIÙ REMOTE DEL PIANETA. UN NUOVO STUDIO HA DIMOSTRATO CHE QUESTI VOLATILI, IN PARTICOLARE I GABBIANI TRIDATTILI, TRASPORTANO CON SÉ PERICOLOSE SOSTANZE CHIMICHE NOTE COME PFAS (SOSTANZE PER- E POLIFLUOROALCHILICHE) DALLE AREE PIÙ INQUINATE DEL MONDO VERSO L’ARTICO, PORTANDO COSÌ ALL’ACCUMULO DI CONTAMINANTI IN UN AMBIENTE GIÀ FRAGILE

Gli uccelli, la migrazione e il trasporto di sostanze tossiche

Ogni anno, tra marzo e maggio, circa quindici milioni di gabbiani tridattili dalle zampe nere (Rissa tridactyla) migrano dalle coste dell’Atlantico e del Pacifico settentrionali verso le scogliere artiche per nidificare.

Molti partono da località lontane come la Florida e il Nord Africa, trasportando con sé sostanze inaspettate e potenzialmente dannose. Una ricerca condotta da Don-Jean Léandri-Breton dell’Università McGill, Québec, Canada, ha infatti rivelato che questi uccelli non arrivano a mani vuote: portano nel loro organismo elevate quantità di PFAS. Una classe di composti chimici tossici usati in prodotti industriali come pentole antiaderenti, schiume antincendio e imballaggi. I gabbiani accumulano queste sostanze, soprannominate “sostanze chimiche per sempre” per la loro persistenza nell’ambiente, nelle acque inquinate a sud, dove si nutrono di pesci contaminati.

La caratteristica dei PFAS di resistere alla degradazione fa sì che essi si accumulino nelle catene alimentari, trovando infine una via verso gli ecosistemi artici tramite i gabbiani migratori. Durante il loro soggiorno nell’Artico, infatti, gli uccelli trasferiscono tali composti nell’ambiente attraverso i loro escrementi e le uova, contaminando così un ecosistema che dovrebbe essere relativamente libero da tali tossine.

Esperimenti all’avanguardia

Per comprendere l’origine di questi contaminanti, Léandri-Breton e il suo team hanno ideato un esperimento all’avanguardia. Gli scienziati hanno catturato alcuni gabbiani tridattili nelle Svalbard, un arcipelago situato nel Mar Glaciale Artico, tra la Norvegia e la Groenlandia e li hanno equipaggiati con geolocalizzatori solari. Prima di rilasciarli, hanno misurato i livelli di PFAS nel loro sangue, stabilendo così una base di riferimento.

Grazie ai dispositivi di geolocalizzazione, i ricercatori hanno potuto seguire i percorsi migratori degli uccelli e identificare le aree di svernamento. L’anno successivo, gli studiosi hanno ricatturato gli stessi gabbiani per effettuare nuove analisi del sangue, scoprendo che le concentrazioni di PFAS erano strettamente correlate alle latitudini meridionali frequentate durante l’inverno.

Sorprendentemente, hanno osservato una diminuzione dei livelli di PFAS nel sangue degli uccelli mentre soggiornavano nell’Artico. Il che suggerisce che i gabbiani rilasciano i contaminanti nell’ambiente, in particolare attraverso gli escrementi. Questo processo contribuisce all’accumulo di tossine nel fragile ecosistema artico, dove le specie autoctone, già vulnerabili, sono esposte agli effetti dannosi di tali composti.

Implicazioni per l’ecosistema artico

Anche altri uccelli migratori seguono schemi simili a quelli dei gabbiani tridattili. Le pulcinelle di mare, ad esempio, trasportano mercurio

Lo studio ha dimostrato per la prima volta come i gabbiani tridattili trasportano attivamente sostanze tossiche nell’Artico. Tuttavia, Léandri-Breton ipotizza che altri uccelli migratori potrebbero seguire schemi simili. Precedenti ricerche avevano già evidenziato casi di altre specie, come le pulcinelle di mare, che trasportano mercurio, e i gabbiani minori neri, che introducono pesticidi come il DDT raccolti in Africa.

Sebbene la quantità totale di PFAS trasportata da questi volatili sia inferiore rispetto a quella convogliata dai venti o dalle correnti oceaniche, i ricercatori sostengono che l’impatto localizzato sia devastante. I predatori artici, come le volpi, i gyrfalcon e gli orsi polari, accumulano tossine nei loro organismi attraverso la catena alimentare, poiché si nutrono degli uccelli contaminati.

Questo fenomeno compromette la salute dell’intero ecosistema artico, dove questi abitanti alati rappresentano una componente cruciale della rete alimentare, apportando nutrienti essenziali tramite il guano (accumulo di escrementi di uccelli marini, pipistrelli o altri volatili, ricco di sostanze nutritive come azoto, fosforo e potassio), che sostiene le comunità vegetali e favorisce la sopravvivenza di una vasta gamma di altre specie.

Un ponte geografico tra inquinamento e biodiversità

Léandri-Breton spera che il suo studio possa offrire una nuova prospettiva sul ciclo dell’inquinamento e sul “ponte biologico”, evidenziando come l’inquinamento chimico non sia confinato alle aree di origine ma possa diffondersi attraverso le rotte migratorie delle specie che attraversano vaste regioni geografiche.

Studiando l’intero ciclo di vita di questi organismi, il ricercatore mira a comprendere a fondo i flussi di contaminazione e a sensibilizzare sull’importanza di considerare l’inquinamento come un fenomeno globale. Il concetto di ponte biologico diventa così fondamentale per sviluppare strategie di protezione ambientale che rispondano alla natura complessa e interconnessa dell’inquinamento.

Fonte

“Migrating Seabirds Are Bringing Forever Chemicals into the Arctic” Hakai Magazine

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