La forza erosiva del mare, nel corso dei secoli, ha reso vario il paesaggio marino e lasciato solchi su lunghi tratti di costa, di volta in volta sommersi e poi riemersi dalle acque quando la tettonica è risalita, per effetto di eventi sismici.
Dallo studio di questi solchi si desume la stabilità del litorale
L’osservazione della costa rocciosa, però, sfugge a satelliti e imbarcazioni. È stato, quindi, necessario trovare un altro sistema di esplorazione. Nasce, così, nel 2011, Geoswim.
Fine del progetto scientifico, condotto da ENEA e Università degli studi di Trieste, mappare i 23mila chilometri di costa rocciosa del Mediterraneo «un mare molto attivo dal punto di vista tettonico», a nuoto: solchi marini, pareti, anfratti, e sorgenti sottomarine del Mare Nostrum che i ricercatori ispezionano stando in acqua con maschera e pinne, spingendo a nuoto un piccolo laboratorio galleggiante.
Questo è equipaggiato con telecamere, macchine fotografice, sonar, sonda per le analisi chimico-fisiche e Gps per la georeferenziazione, cioè l’attribuzione della dislocazione geografica ai dati registrati.
«Esplorando la costa da vicino – spiega il geomorfologo Fabrizio Antonioli del laboratorio ENEA di Modellistica climatica e impatti – riusciamo a osservare quello che satelliti e imbarcazioni non riescono a vedere, rivelando le variazioni della costa, i meccanismi di erosione costiera e formazione di grotte marine e individuando la presenza di sorgenti d’acqua dolce».
Il progetto Geoswim ha inizio con brevi test nel Golfo di Trieste e Istria orientale, nel 2011. A questi fece seguito, il 2 luglio 2012, la prima tappa nell’Istria sudoccidentale, per l’iniziativa in solitaria di Stefano Furlani, del dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università degli studi di Trieste.
Il ricercatore, a nuoto, ha esplorato i 250 chilometri di costa a falesia che caratterizza il litorale istriano tra Croazia e Slovenia fino a Trieste.
Obiettivo di Geoswim è osservare tutte le coste rocciose del Mediterraneo, perché «lo studio delle loro caratteristiche geologiche e geomorfologiche può essere utile a individuare i rischi naturali e a mappare le zone del territorio più vulnerabili».
Dopo la prima campagna del 2012, Geoswim ha fatto tappa a Malta e Gozo, in Sicilia (Egadi e Ustica), in Sardegna (alcune isole dell’arcipelago della Maddalena, Capo Caccia e Tavolara), nel Lazio (promontorio di Gaeta) e in Grecia (Paros), per un totale di oltre 550 km percorsi a nuoto.
L’edizione 2018 di Geoswim comprende l’esplorazione dell’Argentario e del limitrofo promontorio di Ansedonia.
«l nostro metodo – spiega il responsabile del progetto Geoswim Stefano Furlani, geomorfologo dell’Università di Trieste – prevede lo studio di tutte le forme costiere: dalle grotte, che forniscono dati sulle variazioni storiche della costa e del livello del mare, ai solchi marini, fino alle cavità della roccia. Inoltre l’indagine prevede la raccolta di dati come temperatura e conducibilità, nonché l’analisi dei meccanismi di erosione e formazione dei solchi marini, che vengono anche georeferenziati, vale a dire abbinati a una precisa posizione geografica».
Alla tappa all’Argentario hanno preso parte anche i ricercatori Valeria Vaccher e Federica Muro dell’Università di Trieste, Marco Taviani di ISMAR – CNR, Silas Dean dell’Università di Pisa ed Eleonora De Sabata di Medshark, associazione dedita allo studio e alla conservazione dell’ambiente mediterraneo.
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