Già nel 2013 era arrivata al mare acqua radioattiva
La decisione è ormai presa dal governo giapponese, saranno rilasciate nell’Oceano Pacifico 1,23 milioni di tonnellate di acqua radioattiva proveniente dalla centrale di Fukushima.
Quest’acqua viene impiegata per raffreddare i reattori danneggiati dall’incidente di Fukushima Daiichi. La manutenzione giornaliera della centrale nucleare genera l’equivalente di 140 tonnellate di acqua contaminata, nonostante questa sia trattata negli impianti di bonifica. Infatti, continua a contenere il trizio, un isotropo radioattivo dell’idrogeno.
Secondo il ministro dell’Ambiente giapponese la decisione potrebbe essere stata giustificata da motivi di spazio. Nei serbatoi della Tokyo Electric Power Company (Tepco) sono stati stipati oltre 1milione di tonnellate di liquido contaminato. La compagnia giapponese gestisce la centrale nucleare danneggiata dallo tsunami.
“Quando lo spazio sarà esaurito – ha affermato il ministro dell’Ambiente Yoshiaki Harada – l’unica opzione sarà liberarla in mare. Tuttavia, l’intero governo dovrà discuterne”.
Secondo la Tepco, le cisterne raggiungeranno la massima capacità di contenimento dell’acqua entro l’estate del 2022. Eppure, anni fa, la Tepco era stata indagata proprio a causa dell’accumulo di acqua radioattiva. Infatti, l’acqua di falda che scorre sotto la struttura, una volta che entra in contatto con quella usata per raffreddare i nuclei dei tre reattori, si contamina.
Acqua radioattiva: sistema di purificazione non efficace
Il governo giapponese ha investito 34,5 miliardi di yen (291 milioni di euro) per costruire una barriera ghiacciata sotterranea per impedire all’acqua di falda di raggiungere i reattori. Ma questa è riuscita soltanto a ridurre il flusso da 500 a 100 tonnellate al giorno.
Quindi, nel 2013 l’azienda dovette ammettere che una quantità di acqua contaminata proveniente dai basamenti degli edifici dei reattori era arrivata fino al mare.
Ancora, nel 2018 la Tepco ammise che l’acqua doveva essere purificata dalla maggior parte dei suoi elementi radioattivi perché il sistema utilizzato non era stato efficace.
Questo sistema – l’Advanced Liquid Processing System (ALPS) – doveva rimuovere tutte le sostanze radioattive tranne il trizio, poco dannoso e difficile da separare dall’acqua. Ma così non è stato. Erano rimaste tracce in molte taniche di stronzio-90 e altri elementi radioattivi, ammise la Tepco.
Opposizione della Corea del Nord
Gli Stati confinanti con il Giappone si sono dichiarati contrari al rilascio delle acque contaminate nell’Oceano. Anche la popolazione giapponese, l’industria della pesca e i rappresentanti dell’agricoltura locale si sono opposti. Nonostante questo, il premier giapponese Yoshihide Suga ha incontrato i membri dell’esecutivo, incluso il ministro dell’Industria Hiroshi Kajiyama, per formalizzare la decisione. Il provvedimento arriva a 10 anni esatti dalla catastrofe del marzo 2011.
Il ministero degli Esteri sudcoreano ha convocato l’ambasciatore giapponese Koichi Aiboshi presentando una protesta formale. Seul “si oppone con forza” al rilascio in mare di oltre 1,25 milioni di tonnellate di acqua contaminata.
Tokyo, “rilascerà l’acqua radioattiva dopo averla diluita a livelli non dannosi per l’uomo. Ma la diluizione non cambierà il totale della dispersa radioattività in Giappone”, ha denunciato a Seul un’alleanza di 31 gruppi civici antinucleare e pro-ambiente.
Acqua radioattiva: la Cina contraria al rilascio in mare
No secco della Cina, “senza autorizzazione” da parte di altri Paesi e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). “La Cina si riserva il diritto di dare ulteriori risposte”, alla mossa di Tokyo, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian.
Le associazioni ambientaliste condannano la decisione
Anche Greenpeace Giappone ha espresso la sua contrarietà rispetto alla decisione del governo.
In una nota si legge che: “questa decisione ignora completamente i diritti umani e gli interessi di Fukushima vittime e in generale del Giappone e della parte di Asia che si affaccia sul Pacifico“.
Greenpeace sostiene che “il governo ha preso la decisione del tutto ingiustificata di contaminare deliberatamente l’Oceano Pacifico con acqua radioattiva”. L’associazione ambientalista afferma che abbiano ignorato sia i rischi legati all’esposizione alle radiazioni sia l’evidenza della sufficiente disponibilità di stoccaggio dell’acqua contaminata nel sito nucleare e nei distretti circostanti.
Avrebbero potuto usare la migliore tecnologia esistente per minimizzare i rischi di esposizione a radiazioni. In che modo? Immagazzinando l’acqua a lungo termine e trattandola adeguatamente per ridurre la contaminazione. Invece hanno deciso di optare per l’opzione più economica, scaricando l’acqua nell’Oceano Pacifico.
Il più grave incidente nucleare dopo Chernobyl (1986)
Era l’11 marzo del 2011 quando uno tsunami, seguito al terremoto di magnitudo 9 colpì il Giappone e mise fuori uso l’impianto elettrico di backup della centrale. I tre noccioli del reattore si fusero, liberando gas di idrogeno e rilasciando nell’ambiente grandi quantità di materiale radioattivo. Purtroppo, ancora oggi ancora oggi i livelli di radiazione sono altissimi (da 5 a oltre 100 volte più alti del limite massimo raccomandato). Gli scienziati pensano che rimarranno alti ancora per decenni.
Conseguenze delle radiazioni nucleari
Già nel 2015, secondo uno studio del team guidato dall’epidemiologo Toshihide Tsuda dell’Università di Okayama, il tasso di tumori alla tiroide nei bambini e negli adolescenti è aumentato da 20 a 50 volte. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista online “International Society for Environmental Epidemiology”.
La ricerca si è basata sugli screening di 370mila ragazzi che al momento dell’incidente alla centrale nucleare avevano meno di 18 anni.
“È improbabile che questi tassi si possano giustificare solo con un aumento degli screening – avvertono i ricercatori – è stata l’esposizione alle radiazioni di questa fascia di popolazione ad avere causato l’aumento dei casi di cancro alla tiroide“.
L’importanza della prevenzione e il ruolo dell’ONA
Anche l’ONA-Osservatorio Nazionale Amianto è dalla parte di chi difende il pianeta e i cittadini. L’associazione e il suo presidente, l’Avvocato Bonanni, sono in prima linea per salvaguardare la salute dei cittadini e proteggerli dall’esposizione a cancerogeni, come l’amianto ma non solo.
Il principale obiettivo è quello di prevenire il rischio eliminando la presenza di siti contaminati.
“Noi insistiamo per la bonifica – dichiara l’Avvocato Bonanni-perchè è l’unico modo per rispettare il principio di precauzione“.