DI RECENTE, LIBRERIAUNIVERSITARIA.IT EDIZIONI HA PUBBLICATO UN PICCOLO INTERESSANTE TRATTATO DAL TITOLO “FRATELLI ANIMALI. CONSIDERAZIONI SU UNA VITA ETICA”. IL TESTO CONTIENE QUATTRO LETTERE CHE EDGAR KUPFER-KOBERWITZ SCRISSE A UN AMICO IMMAGINARIO DURANTE LA SUA PRIGIONIA NEL LAGER NAZISTA DI DACHAU (1940-1945). KUPFER DESCRIVE DAL SUO PUNTO DI VISTA LO SFRUTTAMENTO E IL DOLORE CHE L’UOMO CAUSA AGLI ANIMALI
Durante una ricerca sulla questione animale, Giannella Biddau – ricercatrice all’Università di Sassari -, si imbatte nel testo di Edgar Kupfer-Koberwitz dal titolo “Die Tierbruder. Eine Betrachtung zum ethischen Leben” (Fratelli Animali. Considerazioni su una vita etica).
«Stare dalla parte degli animali è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita», afferma Biddau, dopo aver letto e tradotto il testo.
L’intento della curatrice è di fornire, grazie a questo libro, chiavi di lettura a livello didattico-pedagogico a chi si occupa della questione animale per attivismo, ricerca, insegnamento o studio.
Questo trattato contiene, infatti, anche un piccolo glossario, una proposta didattica con relative schede e un’ampia bibliografia destinate a studenti e studentesse delle scuole superiori.
“La versione in lingua italiana è qui contestualizzata da una ricerca sulla vita e sul pensiero dell’autore – scrive Biddau – e accompagnata da una sezione dedicata al ruolo della scuola e dell’università nello sviluppo di un atteggiamento empatico nei confronti degli animali, oltre che da una scheda di lavoro utilizzabile in vari contesti formativi – dal triennio delle scuole superiori alle università, ai corsi di aggiornamento per adulti – e da una panoramica sugli approcci didattici adottati”.
Un pensiero estremamente moderno, libero, attuale
Edgar Kupfer-Koberwitz, che ha scritto il testo di nascosto durante gli ultimi mesi di prigionia nel campo di concentramento di Dachau, utilizzando una forma narrativa epistolare per descrivere lo sfruttamento e il dolore degli animali, fornisce anche una ulteriore documentazione sul suo pensiero. Un pensiero estremamente moderno, libero, attuale. Ma anche il rapporto tra la violenza sugli animali e la violenza sull’essere umano.
Le quattro lettere che compongono questo trattato, Kupfer le ha scritte in un periodo durante il quale «la morte si impadroniva di noi ogni giorno e dodicimila persone persero la vita in quattro mesi e mezzo».
L’autore dimostra un atteggiamento empatico nei confronti degli animali. E, pertanto, vuole sensibilizzare il lettore alla causa animalista e apportare un contributo alla battaglia anti-specista, attraverso le sue preziose argomentazioni di uomo e di autore.
«Ascolta – scrive Kupfer nella “lettera prima” -, non mangio animali perché non voglio nutrirmi della sofferenza e della morte di altre creature, poiché io steso ho sofferto cosi tanto che posso sentire il dolore altrui come fosse il mio dolore».
L’uomo uccide ciò che potrebbe amare
Koberwitz – è il nome di un paesino polacco da cui l’autore ha preso il nome d’arte -, descrive in maniera ineguagliabile anche la figura del cacciatore.
Il cacciatore è un uomo affascinato dalla bellezza della foresta che lo circonda e la sua gioia è autentica. Osserva le gocce di rugiada scintillanti, il verde delle foglie, la luce che filtra tra gli alberi e il canto degli uccelli. Ascolta incantato gli animali e si sente felice in mezzo a tutto questo.
Tuttavia, scrive Kupfer nella “lettera terza”, il cacciatore non verrebbe mai nella foresta solo per questa sensazione. È un uomo con uno scopo. Non è tradizione nobile e antica praticare l’arte della caccia? Pertanto, quest’uomo – scrive l’autore – che ama la natura, che ne sente l’armonia e potrebbe facilmente immergersi completamente in essa, preferisce, invece, perseguire, ferire, infliggere sofferenza e morte.
«Così uccide ciò che potrebbe amare, distrugge il suo paradiso, invece di amarlo».
Il cacciatore è un uomo che cede a un istinto inferiore che lo fa regredire a uno stato di animale feroce.
Quella che Edgar Kupfer Koberwitz vuole trasmettere al lettore è la sua presa di coscienza di come «la violenza che l’uomo esercita sulle altre specie non differisce da quella che esercita sugli individui della propria specie».